“DISCUSSIONE SUI VITALIZI E’ VIZIATA
DALLA CATTIVA REPUTAZIONE DEI POLITICI”

“SOLO UNA LEGGE PUO’ DISCIPLINARE
I VITALIZI DEI PARLAMENTARI”.

“UN FONDO A CAPITALIZZAZIONE CON I CONTRIBUTI DEI PARLAMENTARI PER NON GRAVARE SULLE CASSE DELLO STATO
SAREBBE UNO SPECCHIO DI TRASPARENZA”

 

Roma, 28 settembre 2017

L’Avv. Felice Besostri, senatore dal 1996 al 2001, quest’oggi è stato audito in qualità di giurista esperto in materia dalla Prima Commissione Affari Costituzionali del Senato della Repubblica sul Disegno di Legge Richetti che intende disciplinare i vitalizi dei Parlamentari.

Approvato alla Camera lo scorso 26 luglio la proposta di legge introduce un sistema previdenziale identico a quello vigente per i lavoratori dipendenti, e la sua estensione a tutti gli eletti, compresi gli ex parlamentari che attualmente beneficiano dell’assegno vitalizio.

“I profili costituzionali della questione affrontata dal disegno di legge a prima firma Richetti, già approvato dalla Camera e all’esame di codesta onorevole Commissione, sono molti ed attengono alla stessa fonte prescelta per la disciplina degli istituti giuridici che vengono richiamati” ha illustrato l’Avv. Besostri.

“Va denunciata risolutamente l’insostenibilità del sistema dell’autodichia delle Camere perché non offre alcuna garanzia di una soluzione secondo diritto del contenzioso, che nascerebbe da atti amministrativi assunti dalle Camere”.
“Deve essere chiaro che l’unica fonte, per discipline aventi effetti sfavorevoli anche patrimoniali, non può che essere la legge” ha precisato Besostri.

“La discussione intorno ai vitalizi è viziata nella pubblica opinione da una reputazione non buona, addirittura pessima, sui politici in generale e sui parlamentari in particolare – ha commentato Besostri – che si è accentuata da quando non sono più percepiti come rappresentanti degli elettori, ma dei partiti o addirittura dei propri interessi.

L’Avv. Besostri ha poi argomentato come leggi elettorali maggioritarie incostituzionali e liste bloccate abbiano contribuito alla diffusione e al radicamento di un giudizio sommario nei confronti degli rappresentanti delle Istituzioni.

Besostri ha inoltre illustrato alcune proposte alla Commissione “Va anzitutto eliminata la più evidente misura di incostituzionalità, cioè quella che fa proseguire il regime previgente per coloro che, nel sistema contributivo, si troverebbero a percepire di più di quanto ricevono con il sistema dei vitalizi pre-2012 – e ha  spiegato – Si tratta di pochissimi colleghi che stanno in Parlamento da oltre vent’anni, il principio però è troppo importante per piegarlo quando beneficia qualcuno e non quando penalizza molti altri”.

Il giurista ha proposto più in generale una summa divisio tra chi gode del regime anteriore al 2012 (per intero o pro quota), e chi è stato eletto per la prima volta nella XVII legislatura.

Inoltre che per coloro che già sono destinatari di vitalizi sotto il regime pre-2012, ovvero che lo saranno al conseguimento del requisito anagrafico, sarebbe anzitutto utile conoscere – da un apposito interpello al Servizio delle competenze dei parlamentari delle due Camere – quanti siano coloro che hanno altri periodi contributivi giacenti o regolati presso altre gestioni previdenziali.

Questo dato dovrebbe consentire di rivolgere all’interessato una proposta, solo al diniego della quale si applicherebbero le più rigorose norme del disegno di legge Richetti. La proposta dovrebbe essere di chiudere la posizione previdenziale con l’erogazione di un ammontare, non superiore ai contributi versati, da erogare in unica soluzione all’interessato ovvero, su sua indicazione, da versare all’altra gestione di cui gode, al fine di ricongiungimento e di ricalcolo di quella pensione.

“Quanto al maggior rigore in cui incorrerebbe chi non risponde, sarei anche più drastico del testo Richetti – ha affermato Besostri – ad esempio, appare di tutta evidenza che quegli sparuti casi di vitalizio accordato secondo il vecchio regime dei riscatti vanno differenziati dal totale di coloro che hanno completato il mandato senza riscattarne alcuni periodi”. Ovvero che ne abbiano riscattata meno della metà della durata della legislatura.

“Infine, per i titolari dei vitalizi pre-2012 che non si avvalgano delle possibilità sopra descritte, la formula del contributo di solidarietà permanente non mi pare inibita dalla giurisprudenza costituzionale, proprio perché la Corte ha imposto la temporaneità per le pensioni e qui abbiamo acclarato che non si tratta di pensioni”.

In prospettiva, la soluzione a regime potrebbe essere l’istituzione di un fondo di previdenza complementare a capitalizzazione, alimentato unicamente dai contributi dei parlamentari (che non si siano valsi della facoltà di cui sopra) e con esclusione di ogni onere a carico del bilancio dello Stato: essa risolve definitivamente il problema del trattamento previdenziale per coloro che svolgono, per un periodo della loro vita, attività pubblica mediante appartenenza ad assemblee elettive con poteri legislativi (Camere del parlamento e Consigli regionali).

Se un tale Fondo di previdenza degli organi costituzionali fosse creato, non solo per i parlamentari ma per tutti i dipendenti  degli organi costituzionali (Quirinale, Parlamento, Corte Costituzionale) non solo si abbatterebbe l’incidenza dei pensionati sull’ammontare complessivo dei bilanci delle massime Istituzioni del Paese[1], ma si conseguirebbero evidenti obiettivi di trasparenza[2] e di uniformità di disciplina[3]: inoltre il passaggio al contributivo, oramai introdotto per i nuovi dipendenti dal 2008 e per i nuovi parlamentari pensionati dal 2012, coinvolge una massa contributiva assai più vasta (che attingerebbe ai contributi ad oggi già versati dal datore e dal beneficiario).

[1] Come recita il citato ordine del giorno, “le tabelle della relazione dimostrano un’incidenza per oltre il 25% della spesa complessiva del Senato (tra ex senatori ed ex dipendenti) e l’attuazione dell’articolo 18 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 attesta analogamente l’ingente mole della quota della dotazione destinata a tale fine”.

[2] Secondo l’ordine del giorno, “la trasparenza di un ente previdenziale autonomo di tutti gli organi costituzionali o a rilevanza costituzionale – dotato di un apposito bilancio cui il datore di lavoro-organo costituzionale conferisca per ciascuno dei suoi dipendenti contributi in misura uniforme supererebbe l’opacità di un sistema in cui il dato previdenziale è celato nelle pieghe del bilancio generale di ciascun organo costituzionale interessato”. Lo stesso ordine del giorno G100, a firma Gasparri, Finocchiaro, Bricolo, Sbarbati, Viespoli, Baio, auspicava, nel testo approvato dal Senato, che fossero messe “in adeguata evidenza le spese direttamente connesse al funzionamento dell’Istituzione e quelle di natura previdenziale”.

[3] Ancora l’ordine del giorno ricorda che “la separazione netta tra gestione ordinaria delle spese correnti e gestione delle spese previdenziali è da tempo un conper i seguimento acquisito di ciascuna pubblica amministrazione rientrante nell’ambito dell’ente territoriale Stato, il quale conferisce la spesa ad appositi enti previdenziali con cui le singole amministrazioni mantengono rapporti regolati dalla disciplina generale dei contributi del datore di lavoro; le specificità degli organi costituzionali o a rilevanza costituzionale giustificano un loro trattamento separato dalla previdenza generale, ma non che tra di loro proliferino trattamenti differenziati e normative di nicchia”.

 

AUDIZIONE ALLA PRIMA COMMISSIONE DEL SENATO

DELL’ON. AVV.  FELICE CARLO BESOSTRI