TRIBUNALE DI MILANO – SEZ. PRIMA CIVILE

G.U. dr. FLAMINI  – R.G. 64293/2015

NOTE CONCLUSIVE

Nell’interesse di:

avv. Felice Carlo Besostri, residente in Milano, avv. Biagio Di Maro residente in Monza, e avv. Angelo Iannaccone residente in Milano, tutti del Foro di Milano

che agiscono in proprio e stanno in giudizio personalmente ai sensi dell’art.86

cpc, nonché dei signori:

1)Roberto Biscardini; 2) Carlo Rutigliano; 3) Stefano Carluccio; 4) Stefano Giuseppe Pizzi; 5) Mario Matarrese; 6) Francesco Cesare Somaini; 7) Daniele Farina; 8)Roberto Brambilla; 9) Antonio Pierpaolo Giuseppina Autuori; 10) Giovanna Fierro; 11) Patrizia Virdis; 12) Jasmine Rita Maria La Morgia e 13) Danilo Toninelli, tutti difesi e rappresentati dall’Avv. Giuseppe Sarno del foro di Avellino, CF: SRNGPP47H25A509Z, dall’Avv. Felice Besostri del foro di Milano, (CF:BSSFCC44D23M172R), dall’Avv. Emilio Zecca del Foro di Milano, (CF: ZCCMLE34M25H501K), dall’Avv. Angelo Iannaccone del foro di Milano (CF:NNCNGL54C04L304S) e dall’Avv. Biagio di Maro del Foro di Milano, (CF:DMRBGI58E27F799W), tutti elettivamente domiciliati presso la persona e lo studio dell’Avv. Giuseppe Sarno, in Milano, Corso di Porta Vittoria n. 54. Essi avvocati dichiarano di voler ricevere le comunicazioni di cancelleria ai sensi dell’art. 170 c.p.c. all’ indirizzo di posta elettronica certificata

giuseppe sarno@avvocatiavellinopec.it

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Nelle more del deposito del ricorso e della prima udienza del 21 marzo 2016 in due Tribunali italiani quello di Messina e quello di Milano venivano pubblicati due provvedimenti in giudizi che, come si può evincere dall’atto introduttivo di questo giudizio, hanno coincidenza, analogia e/o sovrapponibilità dei motivi dedotti a Milano e Messina. Il Tribunale di Messina con ordinanza ex art. 23 l.n. 87/1953 del 17 febbraio 2016[1], resa nel giudizio R.G. n. 4316/2015, ha ritenuto non manifestamente infondati e rilevanti al fine del giudizio  6 dei 13 Motivi dedotti ad illustrazione delle questioni incidentali di legittimità costituzionale, che secondo i ricorrenti contrastavano con il loro diritto di votare in conformità  alla Costituzione e di cui chiedevano l’accertamento sulla scorta dei precedenti di cui all’ordinanza n. 12060 del 17 maggio 2013 della Sez. Prima Civ. della Corte di Cass., alla sentenza n. 1/2014 della Corte Cost. ed alla sentenza n. 8878/2014 della Sez. Prima Civ. della Corte di Cass., tuttavia eccepiva l’inammissibilità in subiecta materia  di un ricorso ex art. 702 bis c.p.c. in quanto la decisione spettava a un Tribunale in composizione collegiale e con l’intervento obbligatorio del P.M.. Di contro il Tribunale Ordinario di Milano, Sez. Prima Civile, ritenuta la propria competenza con sentenza n. 3708/2016 pubbl. il 22/03/2016 in causa RG n. 41364/2015,  “in composizione monocratica, ogni diversa domanda, eccezione e deduzione disattesa e definitivamente pronunziando, così provvede:

1) Dichiara inammissibili le domande formulate da parte attrice;

2) Compensa integralmente tra le parti le spese di lite.

Poiché questo giudizio è stato introdotto con ricorso sommario ordinario ex art. 702 bis c.p.c e senza evocare in giudizio il PM e formulando conclusioni coincidenti con e/o analoghe, ad eccezione della domanda risarcitoria, a quelle formulate con l’atto di citazione deciso con la sentenza n.3708/2016 del Tribunale di Milano sopra citata,  i ricorrenti hanno chiesto un termine per note illustrative.  I problemi posti dalle due decisioni tra loro contraddittorie sono rilevanti anche per evitare che questioni in procedura vengano sollevate in prosieguo in assenza di contraddittorio sul punto e per precisare le questioni di illegittimità costituzionale dedotte, che non costituiscono domande, ben potendo le stesse essere sollevate d’ufficio dal giudice senza  altri limiti che quelli derivanti dall’art. 23 della l.n. 87/1953.

Per le proprie difese i ricorrenti intendono fare alcune premesse per illustrare aspetti del proprio ricorso che presenta sue peculiarità, che appare opportuno evidenziare per evitare decisioni negative in procedura e nel merito.

PREMESSO IN FATTO E IN DIRITTO

A)che la legge 6 maggio 2015, n. 52 Disposizioni in materia di elezione della Camera dei deputati è entrata in vigore il 23/05/2015 dopo l’ordinaria vacatio legis decorrente dalla pubblicazione in GU Serie Generale n.105 del 8-5-2015, tuttavia molte disposizioni, ma non tutte, per l’elezione della Camera dei Deputati decorrono dal 1° luglio 2016; B) che la  data di decorrenza di molte delle disposizioni è il 1°luglio 2016 (art. 1 c.1 lett. i l.n. 52/2015) e non del 10 luglio 2016, come erroneamente indicato nella sentenza n.3708/2016 del Trib. di Milano, che, comunque, la decorrenza dell’applicazione delle suddette disposizioni  è questione diversa ed ininfluente nell’azione di accertamento del diritto di voto in conformità alla Costituzione poiché per fondare l’interesse ad agire è sufficiente l’incertezza sul suo esercizio, bastando l’incertezza oggettiva sull’esatta portata del diritto politico e costituendo la sua rimozione un risultato utile conseguibile dalle parti interessate solo con l’intervento dell’A.G. (Cass. sez. II civ. n. 13556/08) ed è l’ineludibile corollario del principio che impone di assicurare la tutela del diritto inviolabile di voto, pregiudicato – secondo l’ordinanza del giudice rimettente – da una normativa elettorale non conforme ai principi costituzionali, indipendentemente da atti applicativi della stessa, in quanto già l’incertezza sulla portata del diritto costituisce una lesione giuridicamente rilevante (Corte Cost.n.1/2014); C) Nel ricorso (pagg.26-28) il MOTIVO PRIMO (error in procedendo Violazione dell’art. 72 c. 1 e 4 Cost. e del Regolamento parlamentare Camera per legge in materia elettorale e costituzionale. Illegittimità della procedura di approvazione) non è manifestamente infondato e tale circostanza sarà ulteriormente illustrata con riferimento alla fase di approvazione nel Senato della  Repubblica dove è stato omesso il completamento della fase referente, essenziale nella normale procedura di approvazione di un ddl e l’emendamento premissivo “Esposito” non era ammissibile ed è stato approvato in patente violazione delle norme regolamentari del Senato. L’illegittimità costituzionale della procedura di approvazione della legge n. 52/2015 comporterebbe la caducazione dell’intera legge e quindi anche del termine del 1° luglio 2016 per la decorrenza di sue disposizioni; D) che le leggi elettorali sono leggi costituzionalmente necessarie e che deve essercene sempre una applicabile in ogni momento; ne discende che tale legge deve essere conforme a Costituzione, anche per la ragione che l’indizione dei comizi elettorali può essere disposta in ogni momento dal Presidente della Repubblica con provvedimento non impugnabile (sentenze TAR Lazio, Sezione Seconda bis n.1855/2008 del 27/02/2008 in ricorso R.G. 1616/2008 e Cons Stato, Sez. Quarta, n.1053/2008 del 11/03/2008 depositata il 13/03/2008 in R.G. 1692/2008;   sentenza TAR Lazio, Sezione Seconda Bis n.5163/2013 del 04/04/2013, depositata il 22/05/2013 in R.G. n. 651/2013); E)  che la questione di costituzionalità non può essere sollevata in occasione di impugnazione delle operazioni elettorali preparatorie per la Camera dei Deputati malgrado la previsione dell’art. 44 c. 2 lett.d) l.n. 69/2009, perché non recepita nel d.lgs n.104/2010 di approvazione del c.p.a; F) che comunque ed in ogni caso  i Motivi 11° (pagg. 56-64), 13°(pagg. 65-68) e 14°(pagg. 68-69) attengono a norme oggi in vigore e già applicabili ed applicate.

Nell’11° MOTIVO si parla del comma 2, primo periodo dell’art 18-bis del DPR n. 361/1957 che, per l’art. 2 c. 36 l.n. 52/2015,  si applica alle”[Per le]  prime elezioni successive alla data di entrata in vigore della presente legge, …” e ” le disposizioni di cui al comma 2, primo periodo, dell’articolo 18-bis del decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 1957, e successive modificazioni, si applicano anche ai partiti o ai gruppi politici costituiti in gruppo parlamentare in almeno                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                    una  delle due Camere al 1° gennaio 2014“.

Il 13°  MOTIVO è fondato sull’incontrovertibile fatto che l’art.4 della l.n.52/2015 (norma di delegazione legislativa) è entrato in vigore decorsa la vacatio legis, tanto che nel termine previsto il Governo ha emanato il d.lgs n. 122/2015, che ha ridisegnato  le circoscrizioni ed i collegi elettorali in violazione dell’art. 1 l.n.52/2015 come numero e dell’art. 4 della stessa legge, come criteri[2] .

Il 14° MOTIVO riguarda addirittura norme appartenenti alla l.n. 270/2005, sopravvissute all’annullamento parziale del cosiddetto “Porcellum”; G) che ai sensi dell’art. 66 Cost. nessun rimedio giurisdizionale è dato avverso la proclamazione degli eletti,  ancorché non convalidati, cosicché da escludere per analogia  le argomentazioni desumibili dalla sentenza n. 110/2015 della Corte Cost. e infine H)  che un annullamento dopo le elezioni sarebbe inutiliter datum visto che le Camere  elette con legge incostituzionale potrebbero modificare le norme costituzionali violate: previsione non teorica dal momento che la nostra Costituzione non è mai stata cambiata in misura massiccia e incoerente, come in questa legislatura da un parlamento eletto con legge incostituzionale che è stata applicata anche alle convalide degli eletti disposte successivamente alla  pubblicazione della sentenza n. 1/2014, nonché alle surroghe degli eletti conseguenti alle elezioni 2014 per il rinnovo dei Parlamentari spettanti all’Italia nel Parlamento Europeo.

In tali condizioni negare l’interesse a ricorrere costituisce  vulnus alla tutela DI UN DIRITTO FONDAMENTALE più grave di quello compiuto  in primo grado dalla sentenza del Tribunale di Milano sez. Prima Civ., nella sentenza 5330/2011, emessa nel giudizio concluso dalla nota  sentenza n. 8878/2014. Sarebbe meglio che si decidesse a chiare lettere, invertendo di 180° gradi la  direzione indicata dalla sentenze n. 1/2014 e 8878/2014, che non c’è alcun diritto di votare secondo Costituzione, ma solo il diritto di essere ammessi alle elezioni e di impugnarne gli esiti davanti all’A.G.A., quando e se è ammessa (elezioni, comunali, provinciali, regionali e per il Parlamento Europeo ex art. 126 c.p.a.[3]) ovvero ricorrendo ex art.87 DPR n. 361/1957, come fece l’elettore Franco Ragusa, che costrinse a riunirsi e a pronunciarsi le Giunte delle elezioni della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica, rispettivamente in data 17 giugno 2009 e 3 novembre 2009 ( docc. 9 e 10). All’unanimità le due Giunte delle elezioni statuirono che la legge n. 270/2005 non presentasse profili di costituzionalità!!!. IN CONCLUSIONE: DIFFERIRE LA TUTELA DEL DIRITTO DI VOTO IN CONFORMITA’ ALLA COSTITUZIONE  IN PRESENZA DI SUOI ATTI APPLICATIVI SIGNIFICA VIOLARE GLI ART. 24, 25, 111 E 113 COST. NONCHE’ GLI ARTT. 6 E 13 C.E.D.U. E 47 CDFUE.

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Premessi in diritto i principi desumibili da 1)ordinanza n. 12060 del 17 maggio 2013 della Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione, 2) sentenza n. 1/2014 Corte Cost. e 3) sentenza n. 8878/2014 del 16 aprile 2014 della Prima Sezione Civile Corte di Cassazione.

Queste sentenze  e l’ordinanza ex art. 23 l.n. 87/53, con la quale era stata sollevata questione di legittimità costituzionale in via incidentale di parti della l.n. 270/2005 di modifica dei TT.UU. per l’elezione della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica, hanno posto fine ad un contezioso promosso da cittadini elettori che avevano infatti chiesto, come nel presente giudizio, di “accertare e dichiarare il diritto dell’attore di esercitare il proprio diritto di voto libero e diretto, così come costituzionalmente attribuito e garantito nel suo esercizio” dal combinato disposto di numerose norme della Carta Costituzionale richiamata.

Orbene il Tribunale di Milano sez. Prima Civ., nella sentenza 5330/2011 del 16/03/2011 pubblicata il 18/04/2011, pur respingendo nel merito la domanda, riconosceva sia la giurisdizione del giudice ordinario, sia l’interesse ad agire ex art. 100 cpc “essendo sufficiente l’incertezza oggettiva sull’esatta portata del diritto politico e costituendo la sua rimozione un risultato utile, conseguibile dalle parti interessate solo con l’intervento dell’A.G. (Cass. sez. II civ. n. 13556/08)”, sia la non coincidenza tra petitum del giudizio principale e questione di costituzionalità sollevata in via incidentale (presupposto necessario per la remissione alla Corte Costituzionale), in quanto “La discussione sulla legittimità costituzionale dell’attuale legge elettorale – seppur strumentalmente – è stata introdotta in via incidentale ai sensi dell’art. 23 della l. n. 87/53 e non esaurisce la controversia di merito, che ha portata più ampia in quanto introdotta mediante la formulazione di una domanda di accertamento suscettibile di accoglimento soltanto previa caducazione di disposizioni della legge n. 270/05 (Corte Cost. sentenza n. 270/2010; Corte Costituzionale sentenza n. 349/85; Corte Costituzionale sentenza n. 59/57)”.

La Corte di Cassazione, nella ordinanza di remissione (n. 12060/2013), pur rilevando che la questione doveva ritenersi in buona parte superata dal giudicato implicito, non essendo stata la statuizione censurata dalla avvocatura né riproposta in sede di legittimità, trovava comunque modo di ritornarci sopra ampiamente e puntualmente, prospettandosi alcuni dubbi, si potrebbe dire allo scopo di eliminare qualunque incertezza sul punto.

La Suprema Corte, nella suddetta ordinanza, dopo aver ricordato che il Tribunale di Milano aveva valutato positivamente l’interesse ad agire in capo ai ricorrenti, implicitamente ritenendo “più ampia (la) latitudine dell’interesse ad agire, della legittimazione e della facoltà di azione concessa a ogni elettore” (in tal senso è Cass. 4103/82) andava oltre precisando “E tuttavia, una volta riconosciuto l’interesse ad agire per ottenere il riconoscimento della pienezza del diritto di voto in conformità della disciplina costituzionale, quale diritto politico di rilevanza primaria, in funzione del suo esercizio in occasione delle elezioni per il rinnovo delle camere, ci si deve pur sempre confrontare con la possibile obiezione secondo cui quella in esame sarebbe un’azione di mero accertamento con l’unico fine di ottenere dal giudice solo un “visto di entrata” per l’accesso al giudizio costituzionale, in tal modo rivelandosi la sua pretestuosità. In questa prospettiva sarebbe un’azione inammissibile, per difetto di meritevolezza o di rilevanza dell’interesse azionato, che si risolverebbe in una mera ed astratta prospettazione di un pregiudizio incerto quantomeno nel quando e perciò inidoneo ad assurgere a giuridica consistenza, in quanto strumentale alla soluzione di questioni di diritto soltanto in via teorica.

A prescindere dal rilievo che l’(indagine sulla) meritevolezza dell’interesse non costituisce un parametro valutativo richiesto a norma dell’art. 100 c.p.c. (a differenza di quanto previsto in materia negoziale dall’art. 1322, 2° comma, C.C.), si può replicare che, ai fini della proponibilità delle azioni di mero accertamento (ammesso che quella proposta sia realmente tale), è sufficiente l’esistenza di uno stato di dubbio o incertezza oggettiva sull’esatta portata dei diritti e degli obblighi scaturenti da un rapporto giuridico di fonte negoziale o anche legale, in quanto tale idonea a provocare un ingiusto pregiudizio non evitabile se non per il tramite del richiesto accertamento giudiziale della concreta volontà della legge, senza che sia necessaria l’attualità della lesione di un diritto ( v. Cass. nn. 13556 e 4496 del 2008)”.

Aggiungeva poi che peraltro “è discutibile che si tratti realmente di un’azione di mero accertamento, posto che l’interesse dei ricorrenti non è tanto quello di sapere di non avere potuto esercitare (nelle elezioni già svolte) e di non potere esercitare (nelle prossime elezioni) il diritto fondamentale di voto in modo conforme a Costituzione, ma è quello di rimuovere un pregiudizio che invero non è dato da una mera situazione di incertezza ma da una (già avvenuta) modificazione della realtà giuridica che postula di essere rimossa mediante un’attività ulteriore, giuridica e materiale, che consenta ai cittadini elettori di esercitare realmente il diritto di voto in modo pieno e in sintonia con i valori costituzionali. In tal modo ci si allontana dall’archetipo delle azioni di mero accertamento per avvicinarsi a quello delle azioni costitutive o di accertamento-costitutive.

Se così è, senza affermare la natura in re ipsa dell’interesse ad agire in siffatte tipologie di azioni (pure predicata da parte della dottrina), sarebbe ben difficile sostenere che l’accertamento richiesto abbia ad oggetto una questione astratta o meramente ipotetica o che si risolva nella mera richiesta di un parere legale al giudice.

L’espressione del voto – attraverso la quale si manifestano la sovranità popolare (art. 1, 2° comma, Cost.), e la stessa dignità dell’uomo – costituisce oggetto di un diritto inviolabile (art. 2, 48, 56 e 58 Cost., art. 3 del protocollo 1 della Cedu) e “permanente” dei cittadini, i quali possono essere chiamati ad esercitarlo in qualunque momento e devono poterlo esercitare in modo conforme a Costituzione. Lo stato di incertezza al riguardo è fonte di un pregiudizio concreto e ciò è sufficiente per giustificare la meritevolezza dell’interesse ad agire in capo ai ricorrenti.

Un’interpretazione della normativa elettorale che, valorizzando la tipicità delle azioni previste in materia (di tipo impugnatorio o concernenti l’ineleggibilità, la decadenza o l’incompatibilità dei candidati), escludesse in radice ovvero condizionasse la proponibilità di azioni come quella qui proposto al maturare di tempi indefiniti o al verificarsi di condizioni non previste dalla legge (come, ad esempio, la convocazione dei comizi elettorali), entrerebbe in conflitto con i parametri costituzionali (art 24 e 113, 2°comma)”.

Approfondendo ulteriormente la problematica, la Suprema Corte si è posta il problema della possibilità o meno di “distinguere tra l’oggetto del giudizio di merito principale e quello del giudizio avente ad oggetto l’esame della questione di costituzionalità”, in quanto laddove “il petitum del giudizio di merito consista esclusivamente nell’impugnazione diretta di una norma di legge ritenuta incostituzionale…omissis…”….“o non sia possibile individuare, venuta meno la norma censurata, un provvedimento ulteriore emanabile dal giudice a quo per realizzare la tutela della situazione giuridica fatta valere dal ricorrente nel processo principale”, la domanda sarebbe inammissibile .

E lo ha risolto in senso favorevole agli attori, “condividendo” il giudizio del Tribunale ed affermando che “non potrebbe ritenersi che vi sia coincidenza (sul piano fattuale e giuridico) tra il dispositivo della sentenza costituzionale e quello della sentenza che definisce il giudizio di merito. Quest’ultima accerta l’avvenuta lesione del diritto azionato e, allo stesso tempo, lo ripristina nella pienezza della sua espansione, seppure per il tramite della sentenza costituzionale.”.

Per concludere che risulta “irrilevante la questione di fatto se le parti del giudizio a quo si possano o meno giovare degli effetti della decisione con la quale si è chiuso il giudizio medesimo (Corte cost. 241/08, id. 2009, I, 2946), né ha effetti sulla rilevanza della questione l’avvenuto svolgimento della competizione elettorale” (Corte Cost. 236/10, id. 2011, I. 38)”.

I cittadini ricorrenti sono strumenti della tutela costituzionale accordata a tutti gli elettori in quanto espressione del popolo , che  esercita la sovranità nelle forme e nei limiti della Costituzione, escludendosi pertanto che possano essere limitati da una legge ordinaria, quale è quella elettorale, che pure è parte importante del sistema politico e dell’ordinamento costituzionale, tanto che l’art. 72 Cost. equipara le leggi in materia elettorale e costituzionale .

Si noti che la questione viene affrontata in relazione alla fattispecie di elezioni già svolte al momento della decisione(elezioni politiche nazionali 2013), ma promossa dapprima impugnando il decreto di convocazioni e dei comizi elettorali delle politiche 2008, sulle quali vi era stata pronunzia di carenza assoluta  di giurisdizione ex art. 66 Cost. del TAR Lazio sez. 2 bis, citata a pag. 4 delle presenti NOTE, risulta pienamente utilizzabile, con identico risultato, in relazione alla presente fattispecie di elezioni non ancora svolte e nemmeno indette al momento di deposito del ricorso. La loro indizione costituisce un fatto normale in qualunque democrazia e certamente sussiste l’interesse ad una pronuncia prima che i comizi elettorali vengano convocati per la prossima naturale scadenza del 2018 ovvero in via anticipata, come è sempre possibile per decisioni inappellabile e non impugnabile del Capo dello Stato: elezioni, che se convocate per data anteriore  al 1°  lugli 2016 , circostanza che non si poteva escludere ( tempus regit actum) al momento del deposito del ricorso all’inizio di Novembre.

Si può aggiungere che la Consulta ha più volte ribadito (vedi sentenze 15 e 16/2008, 13/2012) che le leggi elettorali sono leggi costituzionalmente necessarie.

Se così è, non può sussistere dubbio sul fatto che le stesse debbano, in ogni momento, essere conformi a Costituzione.

Se – come ribadisce la Corte Costituzionale nella decisione 1/2014 – il voto è una delle massime espressioni della sovranità popolare ribadita, come cardine dello Stato democratico, dall’art. 1 comma 2° della Costituzione, non è concepibile che la garanzia del suo corretto esercizio venga pregiudicata dalla esistenza di un fatto accidentale quale è la indizione o meno, in un determinato momento, delle elezioni.

Per completezza osserviamo che, non paga di ciò, la Suprema Corte ha ritenuto, nella ordinanza di rimessione, di prendere posizione anche in relazione alla questione della giurisdizione, pur essa coperta dal giudicato implicito, affermando essere “opportuno evidenziare che la conclusione qui raggiunta, in ordine all’ammissibilità dell’azione introdotta avanti al giudice ordinario, non collide con la competenza riservata alle camere tramite le rispettive giunte parlamentari (art. 66 Cost.), alle quali spetta di conoscere ogni questione concernente e operazioni elettorali,  ivi comprese quelle relative all’ammissione delle liste in materia di convalida dell’elezione dei propri componenti, nonché al giudizio definitivo su ogni contestazione, protesta o reclamo presentati ai singoli uffici elettorali circoscrizionali e all’ufficio centrale durante la loro attività o posteriormente (v. Cass., sez. un., 3731/13, id, Mass.; 9151/08, id, Rep. 2008, voce Elezioni, n. 62). Tale competenza, infatti, non interferisce con la giurisdizione del giudice naturale dei diritti fondamentali e dei diritti politici in particolare, che è il giudice ordinario, senza bisogno di invocare il pur vigente art. 2 . 2248/1865, all. E (non essendo parte nella controversia una pubblica amministrazione intesa come articolazione del potere esecutivo)”.

A sua volta la Corte Costituzionale nella susseguente pronuncia 1/2014, pur non essendo la cosa totalmente necessaria, ha ritenuto di prendere posizione.

Così, dopo avere richiamato ampiamente le considerazioni in proposito del giudice remittente e dopo averle punto per punto condivise, ritiene opportuno ribadire che «in ordine ai presupposti della rilevanza della questione di legittimità costituzionale, va ricordato che, secondo un principio enunciato da questa Corte fin dalle sue prime pronunce, “la circostanza che la dedotta incostituzionalità di una o più norme legislative costituisca l’unico motivo di ricorso innanzi al giudice a quo non impedisce di considerare sussistente il requisito della rilevanza, ogni qualvolta sia individuabile nel giudizio principale un petitum separato e distinto dalla questione (o dalle questioni) di legittimità costituzionale, sul quale il Giudice rimettente sia chiamato a pronunciarsi” (sentenza n. 4 del 2000; ma analoga affermazione era già contenuta nella sentenza n. 59 del 1957), anche allo scopo di scongiurare “la esclusione di ogni garanzia e di ogni controllo” su taluni atti legislativi (nella specie le leggi-provvedimento: sentenza n. 59 del 1957).

Nel caso in esame, tale condizione – afferma la Corte Costituzionale – è soddisfatta, perché il petitum oggetto del giudizio principale è costituito dalla pronuncia di accertamento del diritto azionato in ipotesi condizionata dalla decisione delle sollevate questioni di legittimità costituzionale, non risultando l’accertamento richiesto al giudice comune totalmente assorbito dalla sentenza di questa corte, in quanto residuerebbe la verifica delle altre condizioni cui la legge fa dipendere il riconoscimento del diritto di voto”, per poi aggiungere “Per di più, nella fattispecie qui in esame, la questione ha ad oggetto un diritto fondamentale tutelato dalla Costituzione, il diritto di voto, che ha come connotato essenziale il collegamento ad un interesse del corpo sociale nel suo insieme, ed è proposta allo scopo di porre fine ad una situazione di incertezza sulla effettiva portata del predetto diritto determinata proprio da “una (già avvenuta) modificazione della realtà giuridica”, in ipotesi frutto delle norme censurate.

L’ammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale sollevate nel corso di tale giudizio si desume precisamente dalla peculiarità e dal rilievo costituzionale, da un lato, del diritto oggetto di accertamento; dall’altro, della legge che, per il sospetto di illegittimità costituzionale, ne rende incerta la portata. Detta ammissibilità costituisce anche l’ineludibile corollario del principio che impone di assicurare la tutela del diritto inviolabile di voto, pregiudicato – secondo l’ordinanza del giudice rimettente – da una normativa elettorale non conforme ai principi costituzionali, indipendentemente da atti applicativi della stessa, in quanto già l’incertezza sulla portata del diritto costituisce una lesione giuridicamente rilevante. L’esigenza di garantire il principio di costituzionalità rende quindi imprescindibile affermare il sindacato di questa Corte – che “deve coprire nella misura più ampia possibile l’ordinamento giuridico” (sentenza n. 387 del 1996) – anche sulle leggi, come quelle relative alle elezioni della Camera e del Senato, “che più difficilmente verrebbero per altra via ad essa sottoposte” (sentenze n. 384 del 1991 e n. 226 del 1976).

Nel quadro di tali principi, le sollevate questioni di legittimità costituzionale sono ammissibili, anche in linea con l’esigenza che non siano sottratte al sindacato di costituzionalità le leggi, quali quelle concernenti le elezioni della Camera e del Senato, che definiscono le regole della composizione di organi costituzionali essenziali per il funzionamento di un sistema democratico-rappresentativo e che quindi non possono essere immuni da quel sindacato. Diversamente, si finirebbe con il creare una zona franca nel sistema di giustizia costituzionale proprio in un ambito strettamente connesso con l’assetto democratico, in quanto incide sul diritto fondamentale di voto; per ciò stesso, si determinerebbe un vulnus intollerabile per l’ordinamento costituzionale complessivamente considerato».

Alla difesa dei ricorrenti è parso essenziale citare ampi stralci  delle sentenze della Corte Costituzionale e della Corte di Cassazione, pur sapendo, alcuni dei difensori erano parti e difensori in quei giudizi, che sul punto la dottrina si è divisa, ma pure in assenza nel nostro sistema giudiziario del principio dello stare decisis, tipico della common law , il dissenso dalla Cassazione richiede una motivazione, che non può risolversi  in una mera non condivisione, ma soprattutto la questione dell’ammissibilità è riservata alla Corte Costituzionale e il giudice è vincolato dall’art. 23 l.n. 87/1953.

Come nel caso del Tar Lazio Sez. Seconda bis   e del Cons. Stato, Sez. Quarta[4] che se la cavarono nel 2008 eccependo una carenza assoluta di giurisdizione, appare un espediente rifugiarsi dietro  l’insussistenza dell’interesse ad agire ex art. 100 c.p.c. prendendo a pretesto  un semplice differimento temporale, cioè la data del 1° luglio 2016, per non prendere posizioni sulle questioni incidentali di costituzionalità dichiarandole manifestamente infondate ovvero che non c’è il diritto di votare secondo Costituzione.

A questo ricorso, che censura addirittura la suddivisione in collegi della Circoscrizione Lombardia( MOTIVO 13°) e l’esenzione dalla raccolta delle firme le liste collegate a gruppi parlamentari costituiti al 1° gennaio 2014, in una delle due Camere, cioè non solo quelli costituii in seguito  alle elezioni generali del 2013 corrispondenti a liste presentate in quella tornata, ma anche effetto della transumanza da una coalizione ad altra[5]( MOTIVO 11°), non si applicano le argomentazioni svolte  a pag. 9 della sentenza del Tribunale di Milano, sez. Prima civile, n. 3708/16[6] 

Sull’attualità dell’interesse ad agire ex art. 100 cpc

L’Avvocatura ha eccepito l’inammissibilità del ricorso, per carenza di interesse ad agire, sia sotto il profilo dell’asserita carenza dell’attualità dell’interesse sia sotto il “diverso” profilo della carenza del lamentato pregiudizio, in ragione del fatto che la Legge 52/2015, seppur già entrata in vigore, sarà applicabile per le elezioni della Camera dei deputati solo a decorrere dal 1 luglio 2016.

I due profili dedotti dall’Avvocatura, a ben guardare, sono riconducibili ad un unico aspetto dell’interesse ad agire (quello della attualità del pregiudizio lamentato) e pertanto l’eccezione avversaria, di cui si contesta la fondatezza, viene esaminata unitariamente.

È principio pacifico quello secondo cui l’interesse ad agire consiste in una situazione oggettiva derivante da un fatto lesivo, inteso in senso ampio, di un diritto che, senza l’intervento del giudice, resterebbe sfornito di tutela, con conseguente danno per il titolare di quel diritto. Da tanto deriva che l’interesse ad agire deve avere necessariamente il carattere dell’attualità, perché solo in tal caso trascende il piano della mera prospettazione soggettiva ed assurge a giuridica ed oggettiva esistenza. Non sussiste quindi interesse ad agire quando il giudizio sia strumentale alla soluzione di un’astratta questione di diritto, per esigenze accademiche in vista di situazioni future o ipotetiche.

Nel caso in esame il tema dell’interesse ad agire va esaminato tenendo conto della natura (di accertamento) dell’azione esperita e delle peculiarità del diritto in questione (il diritto di voto).

Illuminanti sul punto sono i principi sanciti in un noto caso simile dai seguenti provvedimenti, che hanno riconosciuto la fondatezza delle doglianze dei cittadini elettori: ordinanza n. 12060 del 17 maggio 2013 della Prima Sezione Civile della Corte di Cassazione, dalla  sentenza n. 1/2014 Corte Cost. e dalla sentenza n. 8878/2014 del 16 aprile 2014 della Prima Sezione Civile Corte di Cassazione.

Queste sentenze  e l’ordinanza ex art. 23 l.n. 87/53, con la quale era stata sollevata questione di legittimità costituzionale in via incidentale di parti della legge n. 270/2005 di modifica dei TT.UU. per l’elezione della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica, hanno posto fine ad un contenzioso promosso da cittadini elettori che avevano  chiesto, proprio come nel presente giudizio, di “accertare e dichiarare il diritto dell’attore di esercitare il proprio diritto di voto libero e diretto, così come costituzionalmente attribuito e garantito nel suo esercizio” dal combinato disposto di numerose norme della Carta Costituzionale.

Dirimendo la suddetta questione, la Corte di cassazione ha sancito che l’espressione  del  voto  –  attraverso cui  si manifestano la sovranita’ popolare   e  la stessa  dignita’  dell’uomo  –  rappresenta l’oggetto  di  un  diritto inviolabile e “permanente“, il cui esercizio da parte dei cittadini può avvenire in qualunque momento e deve esplicarsi secondo modalità conformi alla Costituzione, sicchè uno stato di incertezza al riguardo ne determina un pregiudizio concreto, come tale idoneo a giustificare la sussistenza in capo ad essi, dell’interesse ad agire per ottenerne la rimozione in carenza di ulteriori rimedi, direttamente utilizzabili con analoga efficacia, per la tutela giurisdizionale di quel fondamentale diritto ( Cass. ordinanza di rimessione 17.5.2013 n.12060).

In punto di proponibilità delle azioni di accertamento, la Suprema Corte ha chiarito inoltre che: è sufficiente l’esistenza di uno stato di dubbio o incertezza oggettiva sull’esatta portata dei diritti e degli obblighi scaturenti da un rapporto giuridico di fonte negoziale o anche legale, in quanto tale idonea a provocare un ingiusto pregiudizio non evitabile se non per il tramite del richiesto accertamento giudiziale della concreta volontà della legge, senza che sia necessaria l’attualità della lesione di un diritto   (v.Cass.n.13556 e n.4496/2008, n.1952/1976, n. 2209/1966)”.

La Suprema Corte ha aggiunto peraltro che “è discutibile che si tratti realmente di un’azione di mero accertamento, posto che l’interesse dei ricorrenti non è tanto quello di sapere di non avere potuto esercitare (nelle elezioni già svolte) e di non potere esercitare (nelle prossime elezioni) il diritto fondamentale di voto in modo conforme a Costituzione, ma è quello di rimuovere un pregiudizio che invero non è dato da una mera situazione di incertezza ma da una (già avvenuta) modificazione della realtà giuridica che postula di essere rimossa mediante un’attività ulteriore, giuridica e materiale, che consenta ai cittadini elettori di esercitare realmente il diritto di voto in modo pieno e in sintonia con i valori costituzionali. In tal modo ci si allontana dall’archetipo delle azioni di mero accertamento per avvicinarsi a quello delle azioni costitutive o di accertamento-costitutive.

Se così è, senza affermare la natura in re ipsa dell’interesse ad agire in siffatte tipologie di azioni (pure predicata da parte della dottrina), sarebbe ben difficile sostenere che l’accertamento richiesto abbia ad oggetto una questione astratta o meramente ipotetica o che si risolva nella mera richiesta di un parere legale al giudice.

Ed ancora: “ ..subordinare  la  proponibilita’  di  azioni  come quella  in  esame  (attinente,  come  detto,   a   diritti   politici fondamentali della persona quale elettore, con riguardo al diritto di elettorato attivo) “al maturare di tempi indefiniti o al  verificarsi di  condizioni  non  previste  dalla  legge  (come,  ad  esempio,  la convocazione dei comizi elettorali)  implicherebbe  una  lesione  dei parametri costituzionali  (art.  24,  e  art.  113,  comma  2)  della effettivita’ e tempestivita’ della tutela giurisdizionale“.

Da parte sua la Consulta ha più volte ribadito (vedi sentenze 15 e 16/2008, 13/2012) che le leggi elettorali sono leggi costituzionalmente necessarie, sicchè una legge elettorale deve in ogni momento essere conforme a Costituzione e non solo nel momento della sua concreta applicazione.

Peraltro, se – come ha ribadito la Corte Costituzionale nella sentenza n. 1/2014 – il voto è una delle massime espressioni della sovranità popolare ribadita, come cardine dello Stato democratico, dall’art. 1 comma 2° della Costituzione, non è concepibile che la garanzia del suo corretto esercizio venga subordinata alla indizione, in un determinato momento, delle elezioni.

 

In sintesi, i principi sanciti dalla giurisprudenza nella materia in esame sono i seguenti:

  • l’espressione del voto costituisce un diritto permanente ontologicamente attuale;
  • il diritto di voto è leso anche da uno stato di dubbio, di incertezza;
  • nelle azioni di accertamento l’interesse ad agire sussiste in presenza di uno stato di incertezza del diritto, non essendo necessaria una lesione attuale di esso;
  • il pregiudizio al diritto di voto, determinato dallo stato di incertezza, sussiste indipendentemente dagli atti applicativi della normativa elettorale.

Alla luce dei suddetti principi, sanciti in un caso simile, deve concludersi che oggi, seppur in assenza di concreti atti applicativi della legge elettorale n.52/2015, che si assume lesiva del diritto di voto, sussiste certamente l’interesse degli elettori ad agire per invocare la necessaria tutela giurisdizionale.

Resta da esaminare la peculiarità della fattispecie in esame e segnatamente l’eccepita carenza di interesse ad agire dei ricorrenti in relazione alla futura applicabilità di buona parte della legge elettorale 52/2015, a decorrere dal 1 luglio 2016, benché già in vigore dal 23.5.2015.

Sarebbe un grave errore concludere in modo affrettato che nel caso in esame difetta una situazione di oggettiva incertezza del diritto di voto, trattandosi di una legge elettorale non ancora applicabile, benchè già entrata in vigore.

Sostenere – come fa l’Avvocatura – che l’odierno giudizio sarebbe volto a decidere una questione di mero diritto in vista di situazioni future è sbagliato, per due ordini di motivi:

  • la futura applicabilità della legge elettorale n. 52/2015 non esclude affatto l’esistenza di uno stato di oggettiva incertezza del diritto di voto e quindi dell’odierno interesse ad agire degli elettori;
  • alcuni dei dedotti profili di incostituzionalità della legge elettorale prescindono dalla futura applicabilità di una parte della legge elettorale n. 52/2015 oppure si riferiscono a norme già applicabili.

Sul primo punto, si rammenta che il diritto di voto è sempre giustiziabile, perché come già detto esso è ontologicamente attuale.

Visto che la legge elettorale n.52/2015 è entrata in vigore il 23.5.2015, già da quella data il diritto di voto soggiace in relazione ed a causa di essa ad uno stato di incertezza che fonda l’interesse odierno del cittadino elettore all’intervento riparatore dell’autorità giudiziaria.

La differita applicabilità di parte della normativa introdotta dalla legge n. 52/2015 non introduce affatto nella fattispecie un elemento aleatorio ed indeterminato che consenta di escludere l’odierno pregiudizio per l’elettore.         Si intende dire che l’ applicabilità differita della legge n.52/2015 è un evento certo (e prossimo) e non potenziale. Ne deriva quindi che lo stato di incertezza prospettato dai ricorrenti in relazione al diritto di voto per come disciplinato dalla legge n. 52/2015 non costituisce un pregiudizio (in senso ampio) meramente potenziale, incerto, bensì specifico e certo (ancorato al termine del 1° luglio 2016) e quindi oggettivo ed attuale, nel senso che sin da ora sussiste l’interesse degli elettori a sollecitare l’intervento dell’autorità giudiziaria volto a rimuovere una modificazione della realtà giuridica che si è già realizzata.

L’interesse ad agire, nel caso del diritto di voto, è carente di “attualità” se il pregiudizio prospettato è ipotetico, se è condizionato da circostanze future ed incerte, ma non quando si tratta di un pregiudizio certo, perché derivante da regole elettorali già in vigore, già esistenti nell’ordinamento giuridico, regole che, per usare le parole della Corte di Cassazione,  hanno già realizzato una “modificazione della realtà giuridica” (Cass. ord. n.12060/2013).

A tale proposito è illuminante quanto sancito dalla Corte di cassazione Sez. Unite: “quanto all’azione di accertamento essa non può avere ad oggetto, salvo casi eccezionali previsti dalla legge, una mera situazione di fatto, ma deve tendere all’accertamento di un diritto che sia già sorto, in presenza di un pregiudizio attuale e non meramente potenziale (sentenza n.254 del 15.1.1996).

Sulla portata giuridica del singolare differimento applicativo di parte della legge n.52/2015 al sopraggiungere della data specificamente indicata (il 1°.7.2016) può dirsi che ci si trova davanti ad una legge vigente, ma sospensivamente sottoposta ad un termine iniziale di efficacia.

Il fenomeno, a ben guardare, è simile a quello che talvolta si realizza in materia contrattuale e proprio come in quella sede anche qui è innegabile l’ammissibilità dell’azione con cui si chieda al giudice tutela, prima che sia sopraggiunto il termine iniziale di efficacia del negozio.

Venendo al secondo punto, si ribadisce che alcuni dei dedotti profili di incostituzionalità della legge elettorale prescindono del tutto dalla futura applicabilità della legge n. 52/2015 oppure si riferiscono a norme già applicabili e perciò rispetto ad essi è fuor di dubbio la sussistenza dell’attualità dell’interesse ad agire.

Si fa riferimento, prima di tutto, alla dedotta illegittimità costituzionale del procedimento di approvazione della legge elettorale, per violazione dell’art. 72 c. 1 e 4 Cost. e del Regolamento parlamentare della Camera per legge in materia elettorale e costituzionale (primo motivo di incostituzionalità).

Se, come dedotto dai ricorrenti, l’approvazione della legge n.52/2015 è avvenuta con procedura illegittima, il diritto di voto, a prescindere da quando e da come esso verrà espresso nelle prossime elezioni, alla stregua delle concrete e nuove regole introdotte, assume già oggi una connotazione illegittima, contraria a Costituzione, in quanto già regolato da norme viziate nel loro momento genetico, a prescindere dal loro contenuto.

Lo stesso art. 1, c. 1 lett. i) L.52/2015, secondo cui  “la Camera dei Deputati è eletta secondo le disposizioni della presente legge a decorrere dal 1° luglio 2016” – è norma illegittima, che resterebbe travolta dall’illegittimità della sua procedura di approvazione.

Con l’undicesimo motivo di incostituzionalità (sull’esenzione della raccolta delle firme) i ricorrenti hanno lamentato l’illegittimità di norme pacificamente già applicabili alla data del deposito del ricorso.

Si fa riferimento nello specifico alla previsione del c. 2 primo periodo dell’art. 18-bis DPR n. 361/1957.

Detta norma (in tema di raccolta delle firme) è già applicabile, perché il c. 36 dell’art. 2 della legge n. 52/2015 fa riferimento alle “prime elezioni successive alla data di entrata in vigore della presente legge”.

Dal momento che la legge n.52/2015 è entrata in vigore il 23.5.2015, la norma di cui i ricorrenti eccepiscono l’incostituzionalità è applicabile quindi anche ad elezioni che si svolgessero anteriormente al 1° luglio 2016.

Lo stesso vale per il tredicesimo motivo di incostituzionalità (sui collegi elettorali e la Tabella A allegata al DPR n. 361/1957).

I ricorrenti hanno dedotto Illegittimità costituzionale della Tabella A approvata dall’art. 1 d.lgs n. 122/2015 (per violazione dell’art. 76 Cost. in relazione all’art.1, c. 1 lett. a legge n. 52/2015  e dell’art. 4 legge n. 52/2015 per violazione degli artt. 1,2, 3, 6, 48, 49, 51 Cost.).

Successivamente all’entrata in vigore, in data 23.5.2015, della legge n.52/2015 è stato promulgato il d.lgs. 7 agosto 2015 n. 122 che è già intervenuto appunto sulla Tabella A allegata al DPR n. 361/1957.

A seguito di ciò la suddivisione dell’Italia in circoscrizioni e collegi si è già perfezionata, anche se l’assegnazione dei seggi ai singoli collegi, per l’art. 3 DPR n.361/1957, come modificato dall’art. 2, c. 3 legge n. 52/2015, sarà determinato “con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell’interno, da emanare contestualmente al decreto di convocazione dei comizi”.

Ancor più evidente risulta l’attualità dell’interesse ad agire rispetto al quattordicesimo motivo di incostituzionalità (sulle soglie di accesso al Senato) con il quale ci si duole delle irragionevoli soglie di accesso al Senato, doppie rispetto a quelle della Camera, pur avendo la metà dei componenti elettivi: 315 vs 630.

Qui i ricorrenti contestano addirittura la legittimità costituzionale non di una norma della legge n.52/2015, ma di una norma della legge n. 270/2005 tuttora vigente, perché non travolta dalla sentenza n.1/2014 della Corte Cost.

Prima di concludere val la pena di ricordare il principio sancito dalla Corte costituzionale secondo cui “Le leggi elettorali appartengono alla categoria delle leggi costituzionalmente necessarie, la cui esistenza e vigenza è indispensabile per assicurare il funzionamento e la continuità degli organi costituzionali della Repubblica. In coerenza a tale principio generale, questa Corte ha posto in rilievo le «caratteristiche proprie della materia elettorale, con riferimento in particolare all’esigenza di poter disporre, in ogni tempo, di una normativa operante» (sentenza n. 13 del 1999).” (cfr. sentenze n 15 e 16 del 2008).

Ne deriva che se in ogni momento vi deve essere una legge elettorale operante vi è l’interesse in ogni momento ad avere una legge elettorale costituzionale e il diritto di votare in conformità alla Costituzione può essere logicamente accertato a prescindere dalla sua applicazione e quindi prima della convocazione dei comizi elettorali, perché – come si è constatato dopo la pubblicazione della  sentenza n.1/2014 della Corte Cost. –  l’annullamento di norme della legge elettorale successivamente alle elezioni non incide sulla composizione del Parlamento e sui suoi poteri, compreso quello di stravolgere la stessa Costituzione, come sta avvenendo in questa XVII a legislatura.

Negare all’elettore la possibilità di accertare il diritto di voto in relazione ad una normativa già in vigore, ma non ancora applicabile equivale a sottrarre al sindacato di costituzionalità alcune regole elettorali.

Basterebbe difatti differire l’applicabilità di una legge elettorale per sottrarla al controllo di legittimità, in quanto prima della sua applicabilità l’elettore non avrebbe interesse ad agire per chiedere l’accertamento del proprio diritto di votare conformemente a Costituzione ed in seguito il risultato elettorale prodotto da quella legge non potrebbe essere messo in discussione, dal momento che gli eletti proclamati resterebbero in carica persino ove la legge fosse dichiarata incostituzionale.

Non vi è chi non veda le distorsioni prodotte dalla tesi secondo cui, in assenza di atti applicativi della legge elettorale o di una sua concreta applicabilità, detta legge, benchè in vigore, benchè già facente parte dell’ordinamento giuridico, non potrebbe essere oggetto di un sindacato di costituzionalità per un’asserita carenza di interesse ad agire del cittadino elettore.

Un simile argomentare cozza apertamente con le previsioni della Corte Costituzionale nella sentenza n. 110/2015 che ha sancito “l’esigenza, ormai ripetutamente affermata da questa Corte (ex plurimis, sentenze n. 384 del 1991 e n. 226 del 1976), «che non siano sottratte al sindacato di costituzionalità le leggi, quali quelle concernenti le elezioni della Camera e del Senato, che definiscono le regole della composizione di organi costituzionali essenziali per il funzionamento di un sistema democratico-rappresentativo e che quindi non possono essere immuni da quel sindacato», giacché «[d]iversamente, si finirebbe con il creare una zona franca nel sistema di giustizia costituzionale proprio in un ambito strettamente connesso con l’assetto democratico; […] perciò stesso si determinerebbe un vulnus intollerabile per l’ordinamento costituzionale complessivamente considerato» (sentenza n. 1 del 2014).

COMPETENZA DEL GIUDICE MONOCRATICO

Il Tribunale di Messina con l’ordinanza del 17.02.2016 in causa n. 6316/2015 R.G., ha rimesso alla Corte Costituzionale parti della legge elettorale n. 52/2015, il cosiddetto IItalicum, ma trasformando un ricorso ex art. 702 bis c.p.c. in un giudizio innanzi al Tribunale in composizione collegiale e con intervento del PM. In epoca successiva e più recente Il Tribunale di Milano, Prima Sezione Civile, in composizione monocratica, ha emesso la sentenza n, 3708/2016 pubblicata il 22 marzo 2016, in causa RG n. 41364/2015 avente analogo oggetto a quello di Messina, ha, invece, ritenuto che l  “In primo luogo, osserva questo giudice come la questione prospettata in giudizio (attinente ad una domanda di accertamento del diritto di voto degli attori, assertivamente leso dalle disposizioni della l. 52/2015) non rientri tra le ipotesi per le quali è prescritta la composizione collegiale del tribunale, ai sensi dell’art. 50 bis c.p.c.

Occorre premettere che l’art. 50 bis c.p.c., inserito dall’art. 56 del D.Lgs. 51/1998, elenca, in via d’eccezione, rispetto al successivo art. 50 ter, le cause in cui il tribunale decide in composizione collegiale. Ciò posto, dal combinato disposto degli artt. 50 bis e 70 c.p.c., si evince che il tribunale decide in composizione collegiale nei casi in cui è obbligatorio l’intervento del pubblico ministero e, per quel che rileva in questa sede “nelle cause riguardanti lo stato e la capacità delle persone” e “negli altri casi previsti dalla legge” (art. 70, comma 1, n. 3 e 5). Con riferimento a tale ultima previsione, alla luce della normativa prevista per le azioni popolari e le controversie in materia di eleggibilità, decadenza e incompatibilità nelle elezioni comunali, provinciali e regionali (art. 22 d. lgs. 1 settembre 2011, n. 150) e di quella per le elezioni del Parlamento Europeo (legge 24 gennaio 1979 n. 18 e successive modificazioni), deve ritenersi che, nel caso in esame – avente ad oggetto non una questione relativa ad una causa di eleggibilità o incompatibilità, ma una domanda di accertamento del riconoscimento della pienezza del diritto di voto in conformità della disciplina costituzionale, ed una conseguente domanda risarcitoria -, non si verta in una delle ipotesi in cui sia previsto l’intervento del pubblico ministero (e dunque si tratti di una controversia sottratta alla riserva di collegialità).(pagg. 3-4 sent. cit.). Si condivide l’assunto, perché per pacifica Giurisprudenza (cfr. Cass. 19892/2005) , l’elenco di cui ai nn. da 1 a 7bis  dell’art. 50 bis forma un numero chiuso e deve intendersi rigorosamente tassativo. L’unico dubbio – relativo alla necessaria composizione collegiale del Tribunale adito – che potrebbe permanere nell’interprete, letta la lettera della norma ex art. 50 bis cpc , è la previsione di cui al n.1 della stessa norma , che recita: “ 1) nelle cause nelle quali è obbligatorio l’intervento del pubblico ministero, salvo che sia altrimenti disposto”. Ebbene , l’ipotesi cui al c. 1, n.1 (“ le cause che egli stesso potrebbe proporre”) fa esplicito riferimento alle cause in cui il PM esercita l’azione civile  nei casi stabiliti dalla legge (id est, per es.: nomina di un curatore all’incapace, di un curatore dello scomparso, apposizione dei sigilli, ecc.); l’ipotesi di cui al c.1, n. 5  fa riferimento agli  “ altri casi previsti dalla legge” ( cioè ai casi, per es. di querela di falso,  affidamento preadottivo e adozione, scioglimento del matrimonio rettifica di attribuzione di sesso, ecc.) ; infine il c.1., n.3 della norma in esame si riferisce alle “ cause riguardanti lo stato e  la capacità delle persone” Non si versa in tali  ipotesi. Non è in discussione  lo stato o capacità di elettore, anzi la qualità di elettore è presupposto per l’azione e di essa si è data dimostrazione in atti.

Quanto allo Stato ( ovvero status ) della Persona: con tale espressione ci si riferisce alla posizione spettante alla persona come membro di determinate collettività umane (principalmente la Famiglia e lo Stato > da qui Stato di Famiglia e Stato di Cittadinanza). Più in generale: l’insieme delle singole posizioni giuridiche spettanti alla persona nella famiglia, nello Stato, nella comunità giuridica.

Quanto alla Capacità  della Persona:  con “Capacità giuridica” si intende l’idoneità della persona ad essere  titolare di diritti e obblighi (art.22 Cost.), si acquista alla nascita e si mantiene per la durata della vita;   Capacità di agire, capacità di porre in essere atti e negozi giuridici riguardanti la sfera giuridica di ciascuna persona. Essa, sulla base della Legge n.39/1975 , presuppone  in generale il compimento del 18 anno di età, salva la legislazione speciale ove si stabilisce un’età inferiore.

Tenendo in mente queste nozioni, risulta evidente che esse non riguardano  i diritti in generale ed, in particolare,  il diritto del cittadino a poter votare in modo conforme a Costituzione (diritto che nulla ha a che fare con “lo stato e la capacità delle persone”).

Tutto questo rende chiaro che nessuna disposizione di cui agli artt. 50 bis e 70 cpc impone la collegialità nel caso in cui il Tribunale sia chiamato a pronunciarsi sul diritto di votare conformemente alla Costituzione, questione attinente per l’appunto ad un diritto e non agli stati né alle capacità della persona.

Argomentando diversamente, come ad esempio ha fatto il Tribunale di Messina, che ha ricondotto il diritto di voto allo status di “cittadino”, il Tribunale dovrebbe pronunciarsi sempre in composizione collegiale, dal momento che ogni diritto soggettivo è riconducibile ad un ambito di rapporti, rispetto ai quali la posizione del titolare del diritto considerato può esser sempre qualificata genericamente in termini di “status”.

Può concludersi quindi che non è prevista la composizione collegiale del Tribunale nel caso in cui, come in quello in esame, oggetto del giudizio sia la lesione e la relativa tutela del diritto di voto ex art. 48 , II c., Cost.

Esattamente allo stesso modo in cui si domandasse la tutela del diritto alla salute e l’accertamento dell’avvenuta sua lesione: diritto alla tutela della salute ed alla tutela del voto libero, diretto, personale – entrambi diritti costituzionali fondamentali –  sono pacificamente giudicabili dal giudice monocratico.

Resta da ricordare che sussiste la facoltà/possibilità del PM di intervenire, se lo ritiene, nelle “cause in cui ravvisa un pubblico interesse”  (art. 70, III c., cpc) . In tal caso tuttavia è il Tribunale adito in composizione monocratica che può comunicare gli atti al PM, affinchè questi, ove lo ritenga opportuno, eserciti la detta sua facoltà.

Nessuno spostamento di competenza in favore del collegio tuttavia potrebbero darsi in tal caso, ma si ripete solo la  possibilità per il PM di decidere se intervenire o meno nel procedimento.

SUL MOTIVO PRIMO

Per l’Avvocatura dello Stato il fatto che la fiducia sia stata posta su 3 distinti articoli rispetterebbe l’art. 72 c. 1 Cost, in quanto sarebbe Stata rispettato il voto articol9o per articolo. Si tratta di una lettura riduttiva in quanto ignora il c. 4 dello stesso articolo , che parla di procedimento normale, cioè al procedimento ordinario, che prevede prima del voto articolo per articolo, che si votino prima gli emendamenti relativi ai singoli articoli Le procedure speciali derogatorie della procedura indicata all’art. 72 c. 1 Cost., cui fa rifermento l’Avvocatura dello stato, sono quelle in cui apposite Commissioni parlamentari vengono incaricate dalle Camere di procedere in sede legislativa[7] (approvando in via definitiva la legge), o in sede redigente [8] (elaborando un testo da sottoporsi al voto dell’aula senza modifiche).

La sede legislativa viene approvata dalla Camera dei deputati su proposta del presidente su materie di non speciale rilevanza di ordine generale, e fino al momento della sua approvazione definitiva il disegno di legge viene nuovamente rimesso alla Camera se  “il governo o un decimo dei componenti della camera, o un quinto della commissione richiedono che sia discusso o votato dalla Camera stessa” (art. 72 c. 2 Cost).

La sede redigente è parimenti deliberata dalla Camera dei deputati, e non preclude ad “ogni deputato”, di presentare emendamenti e di partecipare alla discussione[9].

Tali procedure, in quanto derogatorie della procedura normale, per espresso disposto dell’art. 72 c. IV, non possono essere utilizzate in materia costituzionale ed elettorale.

L’apposizione della “questione di fiducia” contiene elementi di specialità nettamente più marcati rispetto ai due procedimenti sopra indicati in quanto:

  1. a) il voto dei parlamentari non riguarda direttamente la norma in fase di approvazione, ma comporta una valutazione sulla politica generale del Governo, posto che la mancata approvazione potrebbe provocare una crisi di Governo;
  2. b) il conferimento di poteri legislativi/redigenti alla Commissione è sempre deliberato da un organo del Parlamento (alla Camera, come s’è visto, l’Assemblea; al Senato il Presidente); trattasi di procedure attraverso le quali l’organo legislativo disciplina l’esercizio delle proprie prerogative, mentre la fiducia viene imposta da soggetto esterno quale è il Governo;
  3. c) i parlamentari non hanno alcuna possibilità di modificare un disegno di legge “blindato” dalla fiducia, venendo di fatto espropriati della funzione legislativa, che si riduce a mera ratifica. Nella delega legislativa un decimo dei parlamentari può chiedere che il provvedimento sia rimesso alla Camera; nella delega redigente ogni parlamentare può partecipare alle discussioni della Commissione e proporre emendamenti.

La questione di fiducia pertanto, è ancor più speciale delle altre procedure, essendo deliberata fuori dalle aule parlamentari, con impossibilità del Parlamento di incidere sul contenuto del provvedimento, e vertendo il voto sulla fiducia al Governo, di natura sensibilmente diversa da quella prestata sul singolo provvedimento normativo.

Per cosa intendere come procedimento normale non ci si può limitare al primo comma dell’art. 72 Cost., ma occorre far riferimento ai Regolamenti parlamentari. Rilevante sul punto è la decisione conosciuta come “Lodo Iotti”(doc. 11): …… « A norma di regolamento e in base al precedente del 23 gennaio 1980, gli ordini del giorno di non passaggio agli articoli non possono essere né svolti né posti in votazione, quando, precedentemente alla loro trattazione, il Governo abbia posto la questione di fiducia . Infatti, nella citata seduta del 23 gennaio scorso, il Presidente ebbe a dire testualmente : « dopo aver consultato la Giunta per il regolamento sui problemi regolamentari posti a seguito della dichiarazione del Governo di porre la questione di fiducia sull’articolo unico del disegno di legge di conversione del decreto – legge in esame, e premesso che la questione di fiducia è stata posta prima del passaggio all’articolo unico, e quindi prima dell’illustrazione degli emendamenti (e che ciò non ha alcun precedente, vigente il nuovo regolamento), ritengo : 1) che l’ordine del giorno di non passaggio all’esame dell’articolo unico non  possa essere svolto e posto in votazione, poiché precluderebbe, con un voto libero, anche a scrutinio segreto, la decisione della Camera ai sensi dell’articolo 94 della Costituzione ; e dell’articolo 116 del regolamento 2) che la questione di fiducia, modificando in base all’articolo 116 l ‘ordinario procedimento di discussione e di approvazione dei progetti di legge, dà vita ad un iter autonomo e speciale, come confermato dalla sua stessa collocazione nella parte terza del regolamento [ grassetto nostro].. L’illustrazione degli emendamenti, considerato anche l’obbligo costituzionale della Camera di pronunciarsi comunque ed esplicitamente sulla fiducia, assume pertanto il carattere di una discussione politica, tendente ad influire sullo stesso voto di fiducia : non è riferibile quindi, in alcun modo, all’articolo 85, ma va disciplinata alla luce del principio generale di cui all’articolo 43, secondo il quale non si può parlare più di una volta nel corso della stessa discussione, sia pure senza limiti di tempo ». Il lodo Iotti ha trovato autorevole conferma nella Corte Costituzionale che  ha statuito “Tra i procedimenti speciali non contemplati dalla Costituzione, ma previsti e disciplinati in sede regolamentare, possono essere ricompresi anche quello relativo all’approvazione dei disegni di legge di conversione dei decreti-legge (art. 96-bis Reg. Camera e art. 78 Reg. Senato), nonché quello concernente la posizione della questione di fiducia da parte del Governo sull’approvazione o reiezione di emendamenti ad articoli di progetti di legge (art. 116 Reg. Camera e art. 161, comma 4, Reg. Senato).”( Corte Cost. sent. n. 391/1995)

In giudizio è stata evocata come parte resistente  la Presidenza del Consiglio in persona in persona del Presidente in carica pro tempore: ebbene il Presidente in carica pro-tempore, signor Matteo Renzi, che è la parte rappresentata in giudizio dall’Avvocatura distrettuale dello Stato , ha recentemente dichiarato, in sede ufficiale e nella sua qualità di Presidente del Consiglio dei Ministri, tra l’altro: «Il punto vero però è che le riforme costituzionali non fanno mettere la fiducia[grassetto nostro], ma hanno restituito fiducia agli italiani»(Legislatura 17ª – Aula – Senato Resoconto stenografico della seduta n. 563 del 20/01/2016, doc. 12).  Se le riforme costituzionali non fanno mettere la fiducia, questo vale per l’art. 72 c. 4 Cost. anche per quelle elettorali. Se Sparta (la Camera dei Deputati) piange, Atene (Il Senato della Repubblica) non ride, perché la violazione dell’art. 72 c. 4 Cost. è stata perpetrata anche nella Camera Alta. Il 22 aprile 2015 il lavori della Prima Commissione in sede referente della Camera dei Deputati si concludevano regolarmente con il mandato al relatore (BOLLETTINO DELLE GIUNTE E DELLE COMMISSIONI PARLAMENTARI Affari costituzionali, della Presidenza del Consiglio e Interni, 429 seduta del 22/04/2015, COMUNICATO, pag.. 13-cfr. doc. 13, pag.2).  In Senato nella seduta del 17/12/2014  i lavori sono aggiornati a successiva seduta (Legislatura 17dicembre 2014 – 1ª Commissione permanente – Resoconto sommario n. 233 del 17/12/2014-cfr pagg. 3-5 doc. 13 ). Il 19 dicembre 2014 in aula si deve approvare il calendario dei lavori  proposta dalla Conferenza dei Presidenti dei Gruppi parlamentari(368a SEDUTA PUBBLICA RESOCONTO STENOGRAFICO (*) VENERDÌ 19 DICEMBRE 2014-cfr. pagg. 5-23-doc. 13 ). La proposta era di prevedere la discussione della legge elettorale con voto finale per i giorni 19/12/2014, 07/01/2015 e 08/01/2015 (pag. 6 del doc. ultimo citato). Nella discussione questa fretta viene contestata ma non essendoci mai una maggioranza per la modifica del Calendario la conclusione è che «PRESIDENTE. Ringraziamo la senatrice Finocchiaro per tutto il lavoro svolto. In relazione a quanto riferito dalla stessa senatrice Finocchiaro, non essendosi concluso l’esame in Commissione, il disegno di legge sarà discusso nel testo trasmesso dalla Camera dei deputati, senza relazione, ai sensi dell’articolo 44, comma 3, del Regolamento.»( pag. 23 del doc. ult. cit.). La fase referente non si è conclusa con il mandato al relatore e quindi l’art. 72 c. 4 Cost. non è stato rispettato.

Al fine di velocizzare l’approvazione del testo, e arginare l’ostruzionismo, si è pensato, così, di presentare un “super-emendamento” , il n. 1.103[10] 1a firma del senatore PD Stefano Esposito che, grazie a un escamotage procedurale, ha inserito nel testo della legge un preambolo (art. 01) riassuntivo dei caratteri essenziali della legge elettorale e delle modifiche che s’intendevano apportare in Senato (diventato l’art. 1 della l.n. 52/2015. Contrariamente alla funzione propria degli articoli introduttivi – in cui sono indicate le finalità della legge e i principi generali cui il Legislatore s’ispira –, l’“emendamento Esposito” ha, così, premesso alla legge un elenco dettagliato di norme, che si riferivano a più articoli del testo pervenuto dalla Camera e ai relativi emendamenti e che ne ha cristallizzato l’impianto, con l’effetto immediato di far decadere 35.800 dei 48.000 emendamenti presentati e il risultato finale di fissare in un’istantanea i caratteri essenziali della nuova legge elettorale, prima e a prescindere da ogni dibattito in Aula sul merito della legge.

Nell’occasione, invece, l’emendamento del sen. Esposito ha assunto una natura assolutamente diversa, mirando a predeterminare, con parziali modifiche, le parti essenziali del ddl e così conseguendo l’obiettivo, una volta approvato, di precludere l’esame di tutti gli emendamenti che con quell’emendamento fossero apparsi in qualche contrasto.

È del tutto evidente che si è trattato per un verso di un emendamento sostanzialmente “confermativo” dell’intero impianto del ddl e, per altro verso, di un emendamento comportante alcune rilevanti modifiche, ciascuna delle quali avrebbe dovuto formare oggetto di apposita proposta emendativa nel momento in cui i singoli articoli interessati dalle modifiche fossero pervenuti alla discussione d’aula.

Ne è derivata invece la conseguenza che gli articoli successivi sono risultati surrettiziamente emendati ex ante, senza che i relativi testi fossero stati nemmeno posti in discussione, e in termini non più modificabili per le preclusioni nascenti dall’approvazione iniziale dell’emendamento premissivo.

Ed è ciò che il Presidente del Senato ha infine comunicato all’Aula, allorché ha affermato che “A seguito dell’approvazione dell’emendamento 01.103, a firma del senatore Stefano Esposito, risultano preclusi, ai sensi dell’art. 97, comma 2, del Regolamento, gli emendamenti e i subemendamenti recanti disposizioni in contrasto con il contenuto dello stesso emendamento, riportati nell’elenco in distribuzione.).

Ora, a noi sembra che, nella misura in cui appariva confermativo, quell’emendamento andava dichiarato inammissibile ai sensi dell’art. 100, comma 8, Reg. Senato, per il quale “Il Presidente può stabilire, … la inammissibilità di emendamenti privi di reale portata modificativa”.

Mentre, nella misura in cui esso appariva modificativo dei vari articoli del testo all’esame, esso andava “spacchettato” in parti separate e ciascuna di esse andava esaminata e posta in votazione al momento in cui l’esame avesse riguardato l’articolo al quale la modifica si riferiva, e ciò nel rispetto dell’art. 102, comma 1, Reg. Senato, per il quale “La votazione si fa sopra ogni articolo e sugli emendamenti proposti”. E in tale occasione l’ordine temporale di esame degli emendamenti era quello del più lontano dal testo In conclusione ha assolto alla medesima funzione di un voto di fiducia mai chiesto ed accordato, quindi violazione dell’art. 72 c. 4 Cost. Al Senato la fiducia si accorda, a differenza della Camera, con un’unica votazione sul complesso delle norme, e non sulle singole norme, quindi anche formalmente ci sarebbe stata la violazione del Primo comma dell’art. 72 Cost..

Peraltro come detto nel ricorso introduttivo non sempre le disposizioni dell’emendamento Esposito, dopo aver raggiunto lo scopo di far decadere gli emendamenti in contrasto non ha evitato, che la maggioranza abbia poi approvato un testo che si discosta .E su questione non secondaria come il numero complessivo dei collegi passati da 100 a 109. La inusuale procedura ha attirata l’attenzione degli studiosi «Il primo dei rilievi critici circa la procedura imposta al Senato riguarda l’ammissibilità di un emendamento volto a premettere un “articolo-quadro” al d.d.l. che, più che stabilirne i principi, ne sancisca in via preliminare e definitiva l’assetto normativo. Il Regolamento del Senato non prevede nulla a riguardo ma, disciplinando all’art. 102 i criteri di “Votazione degli articoli e degli emendamenti”, stabilisce alcuni importanti principi circa le modalità e l’ordine di votazione di articoli ed emendamenti, proprio a garanzia della trasparenza delle votazioni, del corretto svolgimento dei lavori dell’Aula e della ‘disponibilità’ delle proposte di legge alla dialettica fra maggioranza e opposizioni. Stabilisce il comma 1: “La votazione si fa sopra ogni articolo e sugli emendamenti proposti, che sono votati prima dell’articolo al quale si riferiscono”, specificando al comma 2 che “ qualora siano stati presentati più emendamenti ad uno stesso testo, sono posti ai voti prima i soppressivi e poi gli altri, cominciando da quelli che più si allontanano dal testo originario e secondo l’ordine in cui si oppongono, si inseriscono o si aggiungono ad esso” e ancora, al comma 3, che “ gli emendamenti ad un emendamento sono votati prima dello stesso”.» (Falcone A., La riforma elettorale alla prova del voto in Senato: il super-emendamento premissivo e il voto ‘bloccato’ sulla proposta di legge, Rivista AIC, 1.2015, OSSERVATORIO COSTITUZIONALE Marzo 2015,  pagg.10-11-doc. 14). In pratica è violato l’art. 102 del Regolamento Senato con gli stessi effetti di un maxi-emendamento sul quale chiedere la fiducia, che è vietata dall’art. 72 c.4 Cost..

Non si tratta di una introduzione illustrativa, né di un emendamento vero e proprio, bensì di un elenco delle principali disposizioni contenute nel DDL 1385, che l’emendamento riproduce pedissequamente (la soglia di sbarramento del 3%, il premio di maggioranza, il divieto di apparentamento al ballottaggio, i capolista bloccati), argomenti sui quali era ovviamente più acceso il confronto politico tra maggioranza ed opposizione ed il pubblico dibattito. Al nostro fine di convincere che il MOTIVO 1° ponga problemi di costituzionalità non anifestamente infondati si da un esempio con il raffronto del testo in entrata dell’emendamento votato per primo, cioè l’”ESPOSITO” e due di quelli considerati preclusi pur essendo chiaramente anche ad un esame superficiale i più distanti dal testo originale. Inizialmente non era previsto un ballottaggio. L’emendamento Corsini Gotor prevede un ballottaggio con possibilità di modificare le liste ammesse al ballottaggio: “….sono consentiti ulteriori apparentamenti delle liste o coalizioni di liste presentate al primo turno con le due liste o coalizioni di liste che hanno accesso al ballottaggio medesimo”( Emendamenti ammessi e preclusi –doc. 15). L’ emendamento “Esposito”, invece, vietava ogni apparentamento tra il primo e secondo turno. L’art. 102 del regolamento Senato è stato violato.

Nello stesso senso conclude l’autrice scrivendo: «Dichiarando prima ammissibile e poi approvando l’“emendamento Esposito”, infatti, con una sola mossa di “scacco al re” (o al Parlamento) si è violato l’art. 72, 4° comma Cost. – nella parte in cui prevede che i disegni di legge in materia elettorale siano discussi e approvati “articolo per articolo e con votazione finale” – e i principi del diritto parlamentare, così come codificati nei regolamenti di Camera e Senato, laddove, proprio in attuazione dell’art. 72 Cost., stabiliscono che  l’esame e la discussione della proposta di legge vanno garantiti anche tramite il diritto di poter presentare all’Aula emendamenti al testo di legge e di poterli porre in votazione, senza che nessuno degli strumenti posti ad argine dell’ostruzionismo possa impedire o condizionare, a monte, lo svolgimento di un dibattito libero e plurale sui singoli e diversi contenuti della legge da approvare» (Falcone, op.cit., pagg. 14 e 15)

SUI MOTIVI SECONDO e TERZO

Nel ricorso introduttivo era scritto, a proposito degli artt. 1, c. 1 lett. f) – per le parole “sono attribuiti comunque 340 seggi alla lista che ottiene, su base nazionale, almeno il 40% dei voti validi…” – e 2 , comma 25 capoverso “art. 83” , della L. n. 52/2015, che “La detta norma infatti nulla dispone nel caso in cui dovesse accadere che non una ma due liste raggiungessero “almeno il 40% dei voti validi”.

L’Avvocatura dello Stato  replica che il rilievo è infondato, poiché « Invero, l’art. 83, commi 1, nn. 2 e 6,  e  2,  del D.P.R. n. 361/57, come modificato dalla legge n.     52/15, prevede espressamente che iI premio di maggioranza spetta “alla lista che ha ottenuto la maggiore cifra elettorale nazionale”» (pagg. 13-14 Mem. Cost) L’avvocatura propende per la seconda soluzione, tra quelle indicate nel ricorso introduttivo (pagg.28-29): “Infatti, qualsiasi fosse l’interpretazione da darsi alla disposizione in esame, ne conseguirebbero conseguenze sempre scorrette e illegittime: 1) non attribuzione del premio di maggioranza ( soluzione palesemente assurda) , 2) attribuzione del  premio alla lista giunta prima anche per un solo voto (ma la norma nulla dice in proposito) , 3) ricorso al ballottaggio tra le due liste entrambe col 40% dei voti validi (soluzione che contraddice la lettera della legge , dove si dice che al ballottaggio partecipano solo le due liste rimaste sotto la soglia del 40%)”. L’affermazione dei ricorrenti che non c’era una norma espressa deriva dal fatto che nella discussione  in Parlamento sia alla Camera che al Senato dell’eventualità di due liste sopra l 40% non si è proprio mai parlato, perché la circostanza  che si era verificata  nel 2006 riguardava coalizioni: 1) l’Unione( Prodi) con il 49,72%; 2) Casa delle Libertà ( Berlusconi) con 49,20%. La differenza era contenuta in un -0,52%[11]. Un altro esempio di coalizioni testa a testa si è verificata nel 2013 con Italia. Bene Comune( Bersani)  al 29,55% e Coalizione di Centro Destra(Berlusconi) al 29,18%  la differenza -0,37%. Tra il 2006 e il 2013 il sistema politico da bipolare, come lo era ancora sostanzialmente nel 2008, si era trasformato in tripolare grazie  al o per colpa del M5S(Grillo) con il  25,56%, primo partito italiano, esclusa la circoscrizione estero, a poca distanza dal  PD (25,43%). Nei due casi(2006 e 2013) la Südtiroler Volkspartei (SVP), rispettivamente con  voti 182.703( 0,48%)  e voti 146.804 (0,43%) è stata decisiva per la vittoria di una coalizione e il relativo premio di maggioranza. Senza tenere a mente questo dato non si capirebbe la scelta della legge n. 52/2015 per la circoscrizione Trentino –Alto Adige Südtirol: ALLA FACCIA DI COLORO CHE RITENGONO CHE DAL COMBINATO DISPOSTO DEGLI ARTT. 54 E 67 COST. NEI PARLAMRENTARI NON DOVREBBERO PREVALERE MESCHINI INTERESSI DI BOTTEGA. Una pretesa che poteva essere fatta valere nei confronti dei parlamentari eletti dai cittadini e non di quelli nominati con liste bloccate.

Non se ne è parlato anche per la ragione che la lettura in buona fede dell’emendamento Esposito[12] risulta evidente che le ipotesi considerate erano due: a) che una lista superasse la soglia del 40, b) che nessuna lista la superasse.

L’emendamento Esposito superata la funzione strumentale di far decadere gli emendamenti non graditi non dovesse essere rispettato alla lettera, come è avvenuto per la lettera a) sul numero dei collegi nelle 20 circoscrizioni, che sono rimaste tali, ma i collegi da 100 sono saliti a 109, con l’effetto di avere 9 capilista privilegiati in più.

Il premio di maggioranza secondo l’Esposito è attribuito alla lisata con il 40% dei voti ritenuta come La soglia che in ossequio alla sentenza n. 1/2014 escludesse la distorsione della rappresentanza, quindi in caso di due liste con più del 40%, ma meno della maggioranza assoluta dei voti validi l’unica soluzione era il ballottaggio fra le due liste.  La soluzione della sua attribuzione alla lista più votata in assenza della maggioranza assoluta è illogica e contraddittoria e viola anche l’art.. 48 Cost. e l’art. 51. Nulla quaestio se in mancanza di una lista sopra soglia, anche più bassa del 40%, si fosse proceduto ad una distribuzione proporzionale dei seggi. Ovvero che come nrella maggior parte delle leggi elettorali ragionali( per esempio legge elettorale della Lombardia approdata in Corte Costituzionale e decisa con la sentenza n.193/2015) il premio di maggioranza fosse differenziato secondo la percentuale del consenso. Contrasta invece con i principi della ragionevolezza, chw il premio di maggioranza consista in 340 seggi sia che sia conquistato con un ballottaggio tra le prime due senza soglia minima di rappresentatività ovvero con il 40% dei voti. Il ballottaggio a due senza possibilità di apparentamenti tra il primo ed il secondo turno, ammessi invece per le elezioni municipali, non costituisce una nuova votazione, come nel ballottaggio francese, che ammette tutte le liste che abbiano superato il 12,50% degli aventi diritto. In caso di triangolare significa che almeno il 37, 50% degli aventi diritto partecipa al ballottaggio e nelle più rare quadrangolari ben il 50% degli aventi diritto nell’ipotesi minimale. Con la soluzione italiana un candidato di una lista con più del 40%, ma non la più votata ha meno è possibilità di essere eletto di un Candito di lista arrivata seconda in assenza di lista superiore al 40% perché in caso di ballottaggio ha la possibilità di vincerlo.

Nel TERZO MOTIVO l’ipotesi che la lista più votata abbia più della maggioranza assoluta dei seggi ma meno del 40% dei voti validi espressi, anche se può TRANQUILLAMENTE AVERE PIU’ DEL 40% DEI VOTI DELLE LISTE AMMNESSE AL RIPARTO DEI SEGGI, PERCHE’ IN TAL CASO NON SI CONTANO LE SCHEDE BIANCHE E QUELLI DELLE LISTE SOTTO LA SOGLIA DEL  3%[13] Contraddittoriamente nelle due ipotesi prevale nel caso del doppio superamento della soglia del 40% il criterio  della lista con il maggior numero di voti e nell’altro quello della soglia del 40%. La spiegazione di queste contraddizioni è ad avviso dei ricorrenti semplice.. La Corte Costituzionale aveva chiesto la fissazione di una sdoglia minima per attribuire il premio di maggioranza, in fin dei conti la legge Acerbo del 1923 l’aveva fissato al 25%, IL LEGISLATORE DELEGITTIMATO POLITICAMENTE DA QUELLA SENTENZA HA TROVATO L’ESCAMOTAGE PER FARESI BEFFE DELLA CORTE COSTITUZIONALE FISSANDO UNA SOGLIA ALTA MA ATTRIBUENDO LO STESSO PREMIO ALLA LISTA VINCITRICE DI UN BALLOTTAGGIO SENZA  QUORUM DI PARTECIPAZIONE DEGLI AVENTI DIRITTO IN ASSOLUTO E NEMMENO RISPETTO AI VOTANTI AL PRIMO TURNO RISPETTO AI QUALI SONO COMUNQUE ESCLUSI GLI ITALIANI della circoscrizione estero in omaggio agli artt. 3 e 48 Cost., mentre votano i trentin-altoatesini e i valdostani pur avendo, come gli italiani esteri, eletto i loro rappresentanti, intoccabili, al primo turno.

Si ricorda incidentalmente all’Avvocatura che l’entità del premio va calcolata sul consenso preso al primo turno quindi non è vero che è nel massimo  pari al 15% dei seggi. Quando si va al ballottaggio  lo si vince con il 50%+ 1 avendo come paragone solo la seconda lista, Ma i parlamentari eletti in più sono quelli aggiuntivi rispetto alla percentuale del primo turno. Per rendere chiaro il concetto si producono due simulazioni di voto con vittoria al ballottaggio della lista più votata al primo turno (doc.16)  della seconda (doc. 17). L’entità del premio di maggioranza è inversamente proporzionale al consenso ottenuto al primo turno eppure il voto dovrebbe essere oltre che uguale anche diretto e i parlamentari cono eletti da un algoritmo e non dagli elettori della loro collegio con buona pace del voto “personale”

SUL QUARTO MOTIVO

In tema di “elezione diretta del Presidente del Consiglio dei Ministri” l’Avvocatura nega la fondatezza della doglianza dei ricorrenti, evidenziando che:

  • la riscrittura dell’art. 14-bis del DP n.361/57 non ha modificato le prerogative del Presidente della Repubblica, previste dall’art. 92, 2.c, Cost., espressamente fatte salve;
  • il candidato “premier” non è indicato nella scheda elettorale, tanto che al secondo turno la scheda indica addirittura soltanto i contrassegni delle liste contrapposte.

Le repliche dell’Avvocatura non colgono nel segno.

All’indomani dell’entrata in vigore della legge n.52/2015 è stato subito segnalato il carattere pleonastico della disposizione che fa salve le prerogative spettanti al Presidente della Repubblica, non potendo ovviamente la legge ordinaria violare una disposizione costituzionale. E’ proprio tale pleonastica precisazione del legislatore tuttavia che induce a non fermarsi al dato apparente ed invita ad un esame più approfondito delle effettive ricadute della riforma elettorale in esame sulla forma di governo parlamentare.

Il nuovo art. 14 bis DPR n.361/1957 prevede che “i partiti o i gruppi politici organizzati che si candidano a governare depositano il programma elettorale nel quale dichiarano il nome e cognome della persona da loro indicata come capo della forza politica”.

Non è posto invece alcun divieto di inserire sulla scheda elettorale, all’interno del contrassegno della lista, anche il nome del leader della forza politica sicchè per tale via, contrariamente a quanto sostiene l’Avvocatura, finirà certamente per comparire sulla scheda elettorale il nome del candidato premier, con l’indicazione della carica (si ricorda, nel recente passato, il contrassegno della forza politica “Il Popolo della Libertà” con l’indicazione “Berlusconi Presidente”).

E’ innegabile quindi che subito dopo la consultazione elettorale emergerà una lista vincitrice e l’indicazione precisa del capo della forza politica, che ha espresso quella lista, quale soggetto che ha superato vittoriosamente la competizione elettorale proprio in posizione di futuro capo dell’esecutivo.

Sappiamo che in passato l’indicazione proveniente dal corpo elettorale è stata giudicata compatibile (Corte Cost sentenza n. 23/2011) con le prerogative del Presidente della Repubblica  ex art. 92 Cost., perché intesa quale mera “anticipazione” del risultato delle future “consultazioni”.

La situazione però oggi è diversa e va apprezzata in relazione alle peculiarità della nuova legge elettorale.

Si fa riferimento in primo luogo al fatto che il premio di maggioranza viene attribuito alla lista e non ad una coalizione di forze politiche. L’assegnazione del premio di maggioranza avverrà peraltro quasi esclusivamente, tranne casi eccezionali, dopo un ballottaggio tra le due liste più votate al primo turno, ma senza raccogliere il 40% dei voti. Si consideri infine l’ampiezza del premio di maggioranza spettante alla lista vincitrice della competizione elettorale: il 54% dei seggi.

Tenuto conto di ciò risulta evidente che con il nuovo sistema elettorale non sussiste alcuna possibilità per il Presidente della Repubblica di disattendere l’indicazione delle urne. Questi dovrà necessariamente nominare Presidente del Consiglio dei Ministri il leader della lista vincente, perché su di esso e la sua lista è caduta direttamente la scelta del corpo elettorale.

Per tale via, che conduce all’elezione diretta del capo dell’esecutivo e contestualmente della sua maggioranza parlamentare, le consultazioni del Presidente della Repubblica e lo stesso voto iniziale di fiducia della Camera dei deputati sono diventati momenti scontati, svuotati di un reale contenuto istituzionale.

E’ evidente insomma come sia venuto meno il potere di scelta del Presidente della Repubblica ex art. 92 Cost. innanzi alla indicazione diretta del corpo elettorale, che supera e svuota di contenuto anche l’ormai scontata fiducia della Camera, in virtù del cospicuo premio di maggioranza assegnato alla lista vittoriosa ed al suo leader.

L’Italicum, introducendo l’elezione diretta e contestuale del capo dell’esecutivo e della sua maggioranza parlamentare, svilisce i poteri del Presidente della Repubblica e quelli di controllo del parlamento sull’esecutivo. Esso vanifica quindi uno principi di fondo del costituzionalismo liberale, vale a dire quello della divisione dei poteri che si limitano e controllano a vicenda.

Per cogliere il senso più profondo della novità è bene ovviamente non confondere il giudizio politico con quello costituzionale.

Se infatti sul terreno politico taluno potrebbe finanche ritenere auspicabile una diretta corrispondenza tra l’espressione della sovranità popolare e la nomina del capo dell’Esecutivo, sul terreno del diritto costituzionale questa motivazione non basta ad escludere la violazione dell’art. 92 Cost. e soprattutto a tollerare che ciò sia avvenuto in assenza di procedimento di revisione costituzionale ex art. 138 Cost. e senza apprestare gli indispensabili contrappesi della forma di governo presidenziale.

L’elezione diretta del Presidente del Consiglio, che l’Avvocatura si ostina a negare, è invece ammessa con singolare serenità persino da uno dei padri della riforma. Si veda quanto afferma il prof. Roberto D’Alimonte : <<Va da sé che se la scelta di fronte agli elettori è tra due leader e due partiti, sarà il leader del partito vincente a diventare capo del governo. Certo, la nomina spetterà sempre al presidente della Repubblica. Ma sarà una nomina “obbligata”. Dunque, è vero: il meccanismo previsto dall’Italicum introduce l’elezione “diretta” del capo del governo. Anche se formalmente la scelta degli elettori non si configura come tale, sostanzialmente lo è.” (doc.19).

SUL NONO E DECIMO MOTIVO

Molto sinteticamente. Gli elettori italiani conoscevano poche discriminazioni in relazione al luogo di residenza. Per la Camera la Val d’Aosta, costituendo una regione ed una circoscrizione, ha sempre eletto  un deputato in un collegio uninominale con sistema maggioritario britannico  first past the post .  Al Senato eleggeva un solo Senatore grazie alla deroga espressa da norma di rango costituzionale, l’art. 57 c. 3 Cost., che  assegna 2 seggi al Molise.  Norme  particolari si ebbero sempre per il Senato ma grazie  ad un trattato, l’accordo  De Gasperi-Grüber,  per il Trentino Alto Adige. I problemi sorgono con le leggi maggioritarie e con soglie di accesso  nazionali, che rischiavano di annullare la presenza parlamentare dei francesi della Val d’Aosta, che in realtà parlano un patois franco-provenzale ed i tedeschi della Provincia di Bolzano. Ai ricorrenti non interessa il passato né come eccepisce l’avvocatura dello Stato vogliono alterare i   criteri della rappresentanza a favore delle minoranze linguistiche, ma sottolineano l’incoerenza del legislatore ed il mancato rispetto degli artt. 3, 48 e 51 Cost.. O non vci sono norme speciali per le minoranze linguistiche ovvero si deve giustificare la disparità di trattamento dei francesi della Val d’Aosta e dei tedeschi dell’Alto Adige e degli ITALIANI DEL TRENTINO rispetto agli  altri elettori italiani e rispetto alle altre minoranze linguistiche riconosciute dalla legge n. 482/1999 di cui alcune la sarda e la friulana di consistenza maggiore  e la slovena, già con trattamento speciale nella legge n,18/1979 per il Parlamento europeo. La compensazione per il Senato  non esiste come si vede dalla tabella che si allega (doc. 18). La Val d’Aosta avrà 2 senatori su 100, pari al 2%, quando ne aveva 1 su 315.  Il Trentino Alto Adige ne aveva 7 su 315. Pari al 2,222(periodico)% ed ora ne avrà 4 su 100, pari al 4%. Dalla Tabella di riparto tra le Regioni dei 95 senatori elettivi, si desume che la media nazionale di popolazione per seggio senatoriale è di 625.618 abitanti.

La Val d’Aosta con 126.806 abitanti  ha 1 senatore ogni 63.403 abitanti.

La Provincia Autonoma di Bolzano 504.643 abitanti 1 senatore ogni 252. 321 abitanti, cioè avrà il 2% del totale, ma il 2,1% degli elettivi, cioè quanto ne aveva il Trentino-Alto Adige nel complesso. Una Regione con 1.029.475 abitanti avrà 4 senatori di cui 2 sindaci. La Lombardia con 9.704.151 abitanti ne avrà 14 di cui solo uno sindaco pur avendo come capoluogo la Città di Milano, che da sola ha più abitanti della Regione Trentino-Alto Adige: non c’è proprio nulla da compensare nella Camera dei deputati, contrariamente alle opinioni dell’Avvocatura Distrettuale dello Stato.

I Trentin-altoatesini eleggono  i loro 11 DEPUTATI AL PRIMO TURNO e tale rappresentanza non viene toccata qualunque cosa succeda al ballottaggio: è previsto solo che quelli eletti se collegati alla lista beneficiaria del premio di maggioranza sono conteggiati nei 340 seggi. Nulla è detto per gli eletti collegati a liste di minoranza, di fatto diminuiscono i 278 seggi disponibili da suddividere con criteri proporzionali.  Però partecipano al ballottaggio e perciò decidono come debbano essere governati 60 milioni di italiani.(59.433.744 per l’esattezza-doc. 18) Sono meno degli italiani della circoscrizione Estero ma hanno lo stesso numero di seggi, cioè 12, ma gli altri sono esclusi dal ballottaggio. Ad occhio vi sono problemi di compatibilità con gli artt. 3 e 48 Cost. se ci limitiamo all’elettorato attivo. Tanto dovrebbe bastare per l’art. 23 l.n. 87/1953.

ALLEGATI

  1. Giunta delle elezioni Camera dei deputati-Seduta del 17 giugno 2009
  2. Giunta delle elezioni del Senato della Repubblica-Seduta 3 novembre 2009
  3. Resoconti stenografici (estratti) delle Sedute Camera del 25 settembre 1980 e del 23 gennaio 1980( Lodo Iotti)
  1. »(Legislatura 17ª – Aula- Senato – Resoconto stenografico della seduta n. 563 del 20/01/2016
  2. Fase referente alla Camera e mancato completamento al Senato- Estratti da lavori Comm. Prima Camera, Comm. Prima Senato e Aula Senato del 19 dicembre 2014-
  3. Falcone A., La riforma elettorale alla prova del voto in Senato: il super-emendamento premissivo e il voto ‘bloccato’ sulla proposta di legge, Rivista AIC, 1.2015, OSSERVATORIO COSTITUZIONALE Marzo 2015
  4. Emendamenti ammessi e preclusi
  5. Simulazione 1
  6. Simulazione 2
  7. Tabella distribuzione tra le regioni dei seggi Senato-estratto da Documentazione Servizio Studi Camera Deputati Ddl su Cost. A.C. 2613-B e abb.-Superamento del bicameralismo paritario e revisione del Titolo V della Parte seconda della Costituzione –n. 216/10 del 20 ottobre 2015, pagg. 13.14

19.”Gli elettori sceglieranno chi governa ma il sistema non sarà presidenziale” di R. D’Alimonte tratto da IL SOLE 24 ORE del 26.4.2015.

Milano 29 aprile 2016

avv. Felice C. Besostri                                                             avv. Angelo Iannaccone

[1]              Testo  in proc  n.69/2016 Reg. Ordinanze (G.U. 06/04/2016 SS n.  14) dei ruoli della Corte Cost.

[2]              I casi del Friuli Venezia Giulia e della  Liguria, gli unici esaminati a fondo, insieme con la Lombardia, sono particolarmente  eclatanti.

[3]              Stranamente il legislatore si+ dimenticato delle Città Metropolitane, che pur tuttavia sarebbero parti costitutive della Repubblica ex art. 114 Cost. e previste come ente territoriale  fin dalla l.n. 142/1990.

[4]              TAR Lazio, Sezione Seconda bis n.1855/2008 del 27/02/2008 in ricorso R.G. 1616/2008 e Cons Stato, Sez. Quarta, n.1053/2008 del 11/03/2008 depositata il 13/03/2008 in R.G. 1692/2008;

[5]              Dimostrazione dell’insanabile contraddizione tra premio di maggioranza e divieto di mandato imperativo ex art. 67Cost. o è inefficace o è incostituzionale

[6]              “ Osserva il giudicante come risulti del tutto carente, nella specie, qualsivoglia indicazione, da parte degli attori, delle “altre condizioni di legge” dalla cui verifica far dipendere il riconoscimento del diritto al voto. E ciò perché non appare seriamente discutibile, nel caso di specie, la sostanziale identità tra il petitum originario e la questione di legittimità costituzionale sollevata dinanzi a questo giudice, ciò che trasforma un giudizio previsto in via tipicamente incidentale, quale quello disciplinato dalla legge del 1953, in un giudizio sostanzialmente principale, attesa l’identità dell’oggetto delle questioni sollevate”.

[7]                 Reg. Camera ART. 92 c. 1 . Quando un progetto di legge riguardi questioni che non hanno speciale rilevanza di ordine generale il Presidente può proporre alla Camera che il progetto sia assegnato a una Commissione permanente o speciale, in sede legislativa, per l’esame e l’approvazione. La proposta è iscritta all’ordine del giorno della seduta successiva; se vi è opposizione, la Camera, sentiti un oratore contro e uno a favore, vota per alzata di mano.

[8]              Reg. Camera Art. 96 c.  1. L’Assemblea può decidere, prima di passare all’esame degli articoli, di deferire alla competente Commissione permanente o speciale la formulazione, entro un termine determinato, degli articoli di un progetto di legge, riservando a sé medesima l’approvazione, senza dichiarazioni di voto, dei singoli articoli nonché l’approvazione finale del progetto di legge con dichiarazioni di voto

[9]              Ogni deputato, anche non appartenente alla Commissione, ha il diritto di presentare a questa emendamenti e di partecipare alla loro discussione.

[10]            Si omette il testo, in quanto coincide con l’art. 1 della l.n. 52/2015.

[11]            Escludendo la circoscrizione Estero la differenza era ancora più ristretta con l’Unione al 49,81% e CdL al 49,74%, cioè -0,07%.

[12]            Art.1 c.1 lett. f)   sono attribuiti comunque 340 seggi alla lista che ottiene, su base nazionale, almeno il 40 per cento dei voti validi o, in mancanza, a quella che prevale in un turno di ballottaggio tra le due con il maggior numero di voti, esclusa ogni forma di collegamento tra liste o di apparentamento tra i due turni di votazione;Cost.

[13]            Art..1 c. 1 lett. e)“accedono alla ripartizione dei seggi le liste che ottengono, su base nazionale, almeno il 3 per cento dei voti validi, salvo quanto stabilito ai sensi della lettera a)”(l.n. 52/20215