TRIBUNALE CIVILE DI MILANO

Sezione Prima Civile
Giudice Unico Dott.ssa Baccolin

N.°80217/09 di . R.G

MEMORIA CONCLUSIONALE NELL’INTERESSE DELL’INTERVENTORE AD ADIUVANDUM AVV. FELICE C. BESOSTRI

NEL GIUDIZIO PROMOSSO

da avvocato ALDO BOZZI del foro di Milano, il quale agisce in proprio e sta in giudizio personalmente, ai sensi dell’articolo 86 del c.p.c., elettivamente domiciliato presso il proprio studio in Milano, Largo Ildefonso Schuster, n. 1,

contro
la PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente del Consiglio dei Ministri in carica; e il MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro dell’Interno in carica, domiciliati per legge presso l’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Milano.
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FATTO E SVOLGIMENTO DEL GIUDIZIO
Con atto di citazione risalente alla fine del 2009, l’Avv. Aldo Bozzi evocava in giudizio dinanzi all’intestato Tribunale Ordinario di Milano, la Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente del Consiglio dei Ministri in carica; e il Ministero dell’Interno, in persona del Ministro dell’Interno in carica, domiciliati per legge presso l’Avvocatura Distrettuale dello Stato di Milano, il cui contenuto deve intendersi qui integralmente richiamato e trascritto.
Ivi in sostanza l’Attore lamentava di esser stato costretto ad esercitare il suo diritto di voto, costituzionalmente garantito, secondo modalità contrastanti con i principi sanciti dalla vigente Carta costituzionale, e chiedeva che – previa sospensione del presente giudizio e rimessione di atti e parti per la decisione della questione di costituzionalità in tal modo incidentalmente sollevata – il Tribunale accertasse la sussistenza dei vizi che affliggevano il suo diritto, così come da lui concretamente esercitato; con ogni conseguente effetto.
Nel corso del giudizio si costituivano le convenute Amministrazioni, a ministero della Avvocatura Distrettuale dello Stato, ed intervenivano altri soggetti, tra cui l’odierno deducente, Avv. Felice C. Besostri, del Foro di Milano, che aderiva alle conclusioni dell’attore principale tranne che in punto spese, di cui chiedeva la compensazione motivandola e per questa ragione non deposita la relativa nota.
Nella causa – avente per oggetto soltanto questioni di puro diritto e quindi tale da non richiedere assunzione di mezzi istruttori – all’udienza del 2 febbraio 2011 u.s. le parti precisavano le loro rispettive conclusioni, che vengono in questa sede confermate e meglio illustrate. L’interveniente chiede venia in anticipo se le sue espressioni possono sembrare frutto di esasperazione, ma è dall’inizio del 2008, cioè da tre anni che è impegnato, come avvocato e come cittadino elettore, per eliminare dal nostro ordinamento una legge elettorale, che costituisce una minaccia per l’ordinamento costituzionale, come, purtroppo, gli sviluppi politici hanno dimostrato: si sono convinti gli elettori che vi è un’investitura diretta del Primo Ministro, scelto direttamente dal corpo elettorale. In Italia non abbiamo una forma di governo del primo ministro, ma una forma di governo parlamentare razionalizzato. Se a distanza di tre anni si insiste nell’adire la giustizia è perché si ha un’incrollabile fiducia nella giustizia e nei giudici.
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DIRITTO – LE DOMANDE
oggetto e contenuto
Le questioni che in questa sede si agitano e meritano un’adeguata soluzione, procedono dalla semplice constatazione, in fatto, che l’Attore, Avv. Aldo Bozzi, come ha dimostrato depositando in atti il suo certificato elettorale, è cittadino italiano regolarmente iscritto nelle liste elettorali del Comune di residenza (Milano) e, anche nelle consultazioni elettorali svoltesi nel 2008, ha esercitato il suo diritto di voto che, preme ricordarlo subito, non solo è un preciso diritto pubblico soggettivo assoluto, ma è anche un “dovere civico”, come espressamente dispone l’art. 48 della Costituzione.
Altrettanto dicasi dell’odierno deducente, Avv. Felice C. Besostri, che – producendo fotocopia della sua tessera elettorale n. 055111127 – ha ugualmente fornito la prova di esser cittadino italiano regolarmente iscritto nelle liste elettorali del Comune di residenza (Milano) e di aver esercitato il suo diritto pubblico soggettivo – dovere civico di voto, nelle consultazioni elettorali svoltesi nell’aprile del 2008 (cfr. casella n. 10 del documento sopra citato); così al tempo stesso comprovando la rituale e legittima sua condizione di interveniente adesivo nel presente processo.
Da questi semplici fatti automaticamente discende che sia l’Attore, Avv. Aldo Bozzi, sia l’interveniente Avv. Felice C. Besostri, sono titolari del diritto pubblico soggettivo, costituzionalmente garantito, non rinunziabile e neanche comprimibile o modificabile in pejus, se non sulla base di specifiche norme di legge compatibili con i fondamentali ed irrinunziabili principi stabiliti dagli articoli 1, 2, 48, 56, 58, 67 e 117, primo comma, della Costituzione e dell’art. 3 del Protocollo aggiuntivo della Convenziona Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU).
Lamenta invece l’Attore (e vi aderisce l’Avv. Besostri) che questi suoi fondamentali diritti siano stati pesantemente lesi dalle radicali modifiche, apportate alle previgenti regole disciplinanti l’elezione della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica, dalla legge 21 dicembre 2005, n. 270, da qui la domanda di accertamento che non coincide con la questione di legittimità costituzionale delle norme che fanno temere che questo diritto non sia più garantito nella stessa forma, che in passato, cioè prima della introduzione delle modifiche apportate dalla L 270/2005 e relative a due aspetti principali, l’introduzione di un premio di maggioranza, che svincolato da ogni quorum in percentuale di voti e/o seggi viola l’art. 48 Cost. (e che presenta aspetti di irrazionalità in un sistema bicamerale perfetto come il nostro per l’attribuzione nazionale per la Camera dei Deputati e regionale per il Senato della Repubblica), e di liste bloccate, che violano sia l’art. 48, che l’art. 51 Cost., come sarà illustrato in prosieguo.
L’interveniente avv. Felice C. Besostri ha aderito, in quanto l’azione proposta dall’avv. Bozzi appare l’unico strumento per far valere i propri diritti di cittadino e di elettore, già lesi con la sua partecipazione alle elezioni 2008 e poiché non intende rinunciare per sempre a partecipare alle votazioni ovvero essere costretto a lasciare la scheda in bianco o provocarne l’annullamento.
CONSIDERAZIONI SULL’INCINDENTALITA’ DELLE QUESTIONI DI COSTITUZIONALITA’
Non vi è coincidenza tra l’oggetto della domanda e l’eventuale incostituzionalità delle norme invocate come possibile minaccia.
Le sentenze della Corte Costituzionale n. 127 del 1998, n. 84 del 2006 e l’ordinanza n. 17 del 1999 riguardano fattispecie diverse, in particolare il mancato esercizio di un’opzione o una candidatura non presentata, mentre nel caso di specie è stato esercitato, ma con modalità da non consentire il suo esercizio in modo conforme a costituzione. In questa sede l’interveniente non intende porre in discussione l’orientamento giurisprudenziale dell’incidentalità necessaria rispetto al giudizio a quo, ma va adattata ai casi concreti, specie quando sono in gioco “un bene della vita” quale il diritto di voto e l’esercizio concreto della sovranità popolare o quando siano in gioco diritti inviolabili e ogni volta che sussista una concreta minaccia del loro esercizio (Cass. SS.UU. 9 marzo 1979 n.14393 e 24 luglio 1984 nn. 4389, 4390 e 4397). La sentenza della Corte Cost. n. 48 del 1957 valorizza ai fini dell’ammissibilità il requisito dell’interesse nel giudizio a quo. Poich� il diritto di azione è un diritto fondamentale la giurisprudenza si evolve. Ora è ammessa l’impugnazione diretta di un regolamento, senza attendere il provvedimento applicativo (Cons. Stato sez.VI, 18 marzo 2003, n. 1414). Nella UE il Tribunale di prima istanza ha ammesso il ricorso diretto nei confronti di un regolamento immediatamente lesivo (T. 315/2000). In altre sentenze della Corte Costituzionale la preclusione non appare così rigida, secondo il prof. Cerri (Corso di Giustizia Costituzionale, Giuffrè, Milano, 2008, pagg. 164 e ss., in particolare 167-168) con riferimento alle sentenze n. 59 e n. 68 del 1957, n. 349 del 1985, n. 444 del 1990, n. 120 del 1992, n. 263 del 1994 o n. 102 del 1993.
Nel caso di specie si tratta di un’azione popolare in materia elettorale, poiché il cittadino elettore non fa valere semplicemente un interesse personale, ma anche un interesse collettivo ad un processo elettorale legale, legittimo, limpido e trasparente e per di più nel caso di specie conforme alla Costituzione.
Le azioni popolari in materia elettorale sono connotate già da una legittimazione eccezionale nella sede giudiziaria di partenza (il TAR Lazio): questa legittimazione non può esplicarsi, nel caso, se non attraverso una questione di costituzionalità. La Corte potrà poi decidere con una sentenza monito o con una sentenza a termine, sviluppando la legittimazione eccezionale che la legge riconosce in materia elettorale.
Con riguardo alle leggi provvedimento, del resto, la Corte riconosce la proponibilità della questione pur quando gli atti conseguenti a questa legge siano puramente esecutivi (materiali): il problema è preso in esame assai bene dalla recente sentenza n. 270 del 2010, con riguardo al caso Alitalia, e in cui dà conto dei precedenti in parte menzionati nel Manuale del prof. Augusto Cerri, cui si è fatto cenno sopra.
In ogni caso al giudice a quo è riservato di valutare la “non manifesta infondatezza” e la “rilevanza ai fini del giudizio” e non sull’esistenza del requisito dell’incidentalità riservato alla Corte Costituzionale.
La causa può essere infatti decisa sia accertando che il diritto è garantito e perciò non vi è interesse ex art. 100 cpc ad una pronuncia, sia accogliendo il ricorso affermando il diritto e rinviando a successive impugnazioni in relazione a fatti futuri, qualora questo diritto fosse in qualche misura compromesso.
In un caso come nell’altro l’esame delle norme elettorali è incidentale, poiché riguarda il concreto esercizio del diritto di voto, in quanto soltanto in caso di manifesta irrilevanza o di non rilevanza ai fini della decisione, come già detto, si può prescindere dal sottoporre il giudizio alla Corte.
Considerazioni sulla legittimazione e sulla giurisdizione
Sia permesso anticipare che l’unica difesa possibile è in procedura, cioè eccependo un difetto di legittimazione attiva o passiva ovvero la carenza di giurisdizione del giudice adito.
Non è un caso che la difesa in merito dell’Avvocatura non tratti la questione del premio di maggioranza, ma soltanto quella del voto di preferenza.
Sul premio di maggioranza la Corte Costituzionale si è già pronunciata sia pure obiter dictum in bene due sentenze, la n. 15 e la n. 16 del 2008, in tema di ammissibilità di referendum avverso norme della L 270/2005 di modifica della legge elettorale della Camera dei Deputati (DPR 361/1957) e del Senato della Repubblica (D.Lgs. 20 dicembre 1993 n. 533), una vicenda che l’interveniente ricorda bene, essendo stato il difensore o il codifensore, con i professori Vittorio Angiolini e Costantino Murgia di più parti in quel giudizio innanzi alla Corte Costituzionale, oltre che parte in proprio.
La Corte non si pronunciò per questioni esclusivamente procedurali, cioè non essere norma vivente il nuovo regime di attribuzione del premio di maggioranza alla lista di maggioranza relativa, invece che alla coalizione di liste non più ammesse, e non essendo la norma vigente oggetto del giudizio.
In modo chiaro e netto la Corte Costituzionale ha affermato che si sarebbe pronunciata appena che la questione le fosse stata sottoposta “nelle forme ordinarie” del giudizio di costituzionalità (art. 23 L 11 marzo 1953, n. 87).
Non poteva immaginare la Corte, che la questione non le sarebbe mai stata sottoposta, grazie ad un’interpretazione estensiva ed arbitraria dell’art. 66 della Costituzione e la riesumazione di una categoria di atti quelli cosiddetti politici previsti dal RD 26 giugno 1924 n. 1054 art. 31 non inquadrabili tra gli atti materialmente amministrativi (Cass., SS.UU., 25 giugno 1993, n. 7075 e ord. del 18 maggio 2006 n. 11623, nonché Cons. Stato, sez. IV nr. 1053/08).
I giudici ordinari ed amministrativi non si sono resi conto che con il fine di proteggere i risultati elettorali, cioè i parlamentari proclamati eletti, hanno legittimato un colpo di Stato istituzionale poiché se il decreto di convocazione dei comizi elettorali è atto politico non impugnabile non sarebbe eccepibile un decreto di indizione dei comizi elettorali per “l’elezione delle nuove Camere” che fissi le votazioni ben oltre il termine inderogabile di “settanta giorni dalla fine delle precedenti” fissato dall’art. 61 Cost..
Quanto alla lacuna di giustiziabilità per la fase preparatoria, si richiama l’attenzione sul fatto che, malgrado gli auspici della Corte (sentenza n. 259 del 2009), la delega contenuta nell’art. 44, c. 2 lett. D) non è stata attuata nel T.U. sulla giustizia amministrativa approvato con D.Lgs. 104/2010.
Per qualsiasi cittadino, ma in particolare per i servitori dello Stato, quali sono i giudici, per di più garanti dello stato di diritto, dovrebbe bastare questo fatto, per quanto teorico, per soppesare il peso delle loro decisioni in materia di giurisdizione.
Il nostro è un ordinamento democratico, nel quale “la sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione” (art. 1 c. 2 Cost.).
In un ordinamento democratico e rappresentativo con forma di governo parlamentare secondo la Costituzione, malgrado le modifiche surrettiziamente introdotte con la legge 270/2005, cioè con legge ordinaria, l’espressione massima della sovranità popolare è costituito dalle elezioni, quindi i limiti al suo esercizio sia per il corpo elettorale nel suo complesso, che per i singoli elettori non possono che essere limiti conformi a Costituzione.
Il popolo è l’unico detentore della sovranità e tutti i poteri da esso derivano e nel suo nome sono esercitati compresa la giurisdizione.
Con elezioni libere si eleggono il Parlamento ed i Consigli Regionali, che a loro volta eleggono il Presidente della Repubblica ex art. 83 Cost..
Il Parlamento dà la fiducia al Governo (art. 94 Cost.) nominato dal Presidente della Repubblica (art. 92 Cost.). Spettano al Parlamento ed al Presidente della Repubblica l’elezione dei 2/3 della Corte Costituzionale (art. 135 Cost.) e 1/3 del CSM, presieduto dal Presidente della Repubblica, è eletto dal Parlamento in seduta comune (art. 104 Cost.), dunque la legittimazione democratica da parte del popolo sovrano è essenziale per il complesso di poteri dello Stato. L’art. 67 Cost. ha ugualmente il suo fondamento nella sovranità popolare, perché il parlamentare può rappresentare la Nazione soltanto nella misura in cui sia stato democraticamente eletto.
La Costituzione stabilisce un rapporto diretto tra circoscrizioni elettorali e popolazioni (art. 56, c. 4 Cost. e art. 57, c. 4 Cost.) e le eccezioni sono stabilite con norma Costituzionale (Circoscrizione estero e seggi senatoriali attribuiti alle Regioni rispettivamente artt. 56, c. 4 e 57, c. 4 e art. 57 c. 3 Cost.).
Il diritto di voto è un diritto politico soggettivo sia come elettorato attivo che passivo, tanto che può essere limitato soltanto in casi tassativi e di stretta interpretazione (giurisprudenza pacifica) (cfr. art. 48 e 51 Cost.).
La competenza è quindi del giudice ordinario.
La giurisprudenza che riserva ex art. 66 Cost. alle Camere il giudizio sui “titoli di ammissione dei suoi componenti” comprendendo nel concetto di autodichia anche la giurisdizione sulle operazioni elettorali è inconferente per una serie di motivi:
1) Operazioni elettorali non sono oggetto di questo giudizio, né il suo accoglimento pregiudica il diritto di alcun parlamentare di occupare il posto di deputato o senatore, anche nel caso che l’accoglimento o la reiezione del ricorso discenda dalla pronuncia della Corte Costituzionale di incostituzionalità della legge elettorale vigente in alcune sue norme, putacaso si trattasse anche di quelle in forse delle quali i parlamentari in carica fossero stati eletti perché “quando la Corte dichiara l’illegittimità costituzionale di una norma di legge o di atto avente forza di legge la norma cessa di avere efficacia dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione” (art. 134, c. 1 Cost.).
2) La carenza assoluta di giurisdizione, che, detto incidentalmente, costituisce violazione degli artt. 6 e 13 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e delle libertà fondamentali, nei confronti “degli atti del procedimento elettorale preparatorio per le elezioni per il rinnovo della Camera dei Deputati e del Senato della Repubblica” deve venire riconsiderata alla luce dell’art. 44, c. 2 lett. D) (delega al Governo per il riassetto della disciplina del processo amministrativo) L 18 giugno 2009 n. 69, che affida la risoluzione delle controversie alla “giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo”.
Ai nostri fini è inconferente che il Governo, del tutto illegittimamente alla luce del combinato disposto degli artt. 76 e 77, c. 1 Cost., non abbia dato attuazione a detto principio e criterio direttivo nell’emanazione del D.Lgs. n. 104/2010. Con lo stesso decreto legislativo è stato abrogato l’art. 31 RD 26.06.1924 n. 1054(cfr. n. 4 del c. 1 dell’art. 4 dell’allegato 4 al D.Lgs. 104/2010).
La norma è stata approvata dagli organi alla cui presunta tutela è stato stabilito l’art. 66 Cost..
3) L’interpretazione estensiva dell’art. 66 Cost. è errata ed in contrasto con le norme costituzionali, come viola la Costituzione se la riserva alle Camere sia fatta discendere dall’art. 87 DPR 30 marzo 1957, n. 361 per la Camera dei Deputati, che non ha norma corrispondente nel D.Lgs. 533/1993 per il Senato, ma ritenuto applicabile ex art. 27 D.Lgs. 533/1993: in un sistema bicamerale perfetto, già tale circostanza doveva indurre cautela interpretativa dell’art. 66 Cost., che chiaramente si applica alle due Camere del nostro Parlamento. Si richiama inoltre l’attenzione che proprio l’art. 87, c. 2 DPR 361/1957 presuppone l’esistenza di altro organo competente ad annullare le operazioni elettorali. Una pronuncia della Corte Costituzionale la si può ottenere rinviando alla Corte il combinato disposto degli artt. 87 DPR 361/1957 e 27 D.Lgs. 533/1993 per violazione proprio dell’art. 66 Cost. e delle altre norme sull’accesso alla giustizia.
L’art. 66 Cost. è una norma costituzionale e per di più una norma costituzionale eccezionale. Come norma va interpretata secondo i criteri ermeneutici dell’art. 12 delle Disposizioni sulla legge in generale, quindi “non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse”. L’art. 14 delle Disposizioni sulla Legge in generale avrebbe dovuto impedire l’interpretazione estensiva delle disposizioni eccezionali.
Il giudizio sui “titoli di ammissione dei suoi componenti” presuppone che vi sia un parlamentare proclamato tale: non si è componenti di una Camera senza la proclamazione ad opera dell’Ufficio Centrale Circoscrizionale sulla base delle comunicazioni dell’Ufficio Centrale Nazionale per la Camera dei Deputati e dall’Ufficio elettorale regionale per il Senato della Repubblica.
Il procedimento elettorale preparatorio, come dice il nome, non si estende alla proclamazione degli eletti, che è atto conclusivo.
Il diniego di giurisdizione, di fatto attribuendo alle Giunte delle elezioni delle Camere ogni ricorso compresi quelli che direttamente o indirettamente coinvolgono la costituzionalità della legge elettorale, viola l’art. 24 Cost. nel diritto di agire in giudizio (c. 1) e di difendersi in ogni stato e grado del procedimento (c. 2): la Giunta delle Elezioni può esaminare i ricorsi soltanto dopo le elezioni, cioè a babbo morto.
Il diritto ad un giudizio non è garantito da un organo parlamentare poiché la funzione giurisdizionale è esercitata “da magistrati ordinari istituti e regolati dalle norme sull’ordinamento giudiziario” (art. 102, c. 1 e 108 c. 1 Cost.), mentre le Giunte delle Elezioni sono istituite e regolate dai Regolamenti parlamentari previsti dall’art. 64 Cost..
La Giunta delle Elezioni con funzioni di Giudice al di fuori del giudizio dei titoli di ammissione dei propri componenti diventa un giudice straordinario o speciale, di cui è vietata l’istituzione (art. 102, c. 2 Cost.).
Le Giunte delle Elezioni sarebbero giudice in causa propria ed in conflitto di interessi quando la controversia è sulla norma, che ha consentito l’elezione dei suoi componenti, con l’obbligo di astenersi ex art. 51 cpc..
Se in teoria nessun componente di una delle Giunte delle Elezioni potrebbe essere stato eletto in forza del premio di maggioranza nazionale (Deputati) o regionali (Senatori) tutti sono stati eletti su liste bloccate.
Alle Giunte delle Elezioni non è applicabile l’art. 111 Cost. e non è giudice che possa proporre giudizi di legittimità costituzionale ex art. 137 Cost..
Il diniego di giurisdizione sulle leggi elettorali viola l’art. 113 Cost. sotto diversi profili sottraendo alla tutela giurisdizionale atti della pubblica amministrazione (c. 1).
La tutela giurisdizionale sarebbe esclusa o limitata a particolari mezzi di impugnazione o per determinate categorie di atti (c. 2). Infine soltanto la legge determina quali organi di giurisdizione possono annullare gli atti della pubblica amministrazione (c. 3). Se una norma regolamentare parlamentare attribuisse in futuro questo potere, non sarebbe una norma di legge.
Le Giunte delle Elezioni non sono organi giurisdizionali e quindi non possono annullare atti di altri organi della P.A., che abbiano ammesso simboli o liste, per esempio con l’illegittima indicazione di un candidato quale PRESIDENTE.
Infine e del tutto paradossalmente l’invocata applicazione estensiva dell’art. 66 a tutto il procedimento elettorale compreso quello preparatorio e delle operazioni elettorali viola proprio il principio di autodichia ex artt. 64 e 66 Cost..
Infatti l’autodichia può essere violata sia sottraendo competenze alle Camere, che attribuendo ad esse competenze che le stesse non abbiano deciso di esercitare.
Nessuna norma regolamentare della Camera o del Senato attribuisce alle loro Giunte delle Elezioni il compito di esaminare le controversie relative al procedimento elettorale preparatorio o alle operazioni elettorali, esclusa la proclamazione degli eletti. Nessuna norma regolamentare parlamentare consente alla Giunta delle Elezioni o all’Assemblea di sollevare questione incidentale di costituzionali, ma soltanto conflitto di attribuzione.
La conseguenza sarebbe che non sarebbe possibile sindacare la costituzionalità delle leggi elettorali ivi comprese norme che violassero l’art. 3 Costituzione. Se così fosse, la violazione degli artt. 6 e 13 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo sarebbe flagrante e totale e quindi violazione degli artt. 10 e 11 della Costituzione (sentenze n. 348 e 349 del 2007 Corte Cost.).
La sopra richiamata Convenzione non solo è stata ratificata dal Parlamento italiano (L. 4 agosto 1955 n. 848), ma essendo richiamato nei Trattati UE in vigore (Trattato di Lisbona del 18-19 ottobre 2007 ratificato con L 2 agosto 2008 n. 130) costituisce anche norma comunitaria o di diritto internazionale, cui la legislazione italiana si deve conformare ex art. 117, c. 1 Cost.. La violazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo consente, secondo il deducente, di superare eventuali ostacoli procedurali, poiché il Giudice deve esistere ed essere precostituito al momento dell’esercizio del diritto di azione.
Ulteriori argomenti per la giurisdizione si deducono dalla sentenza Corte Costituzionale n. 236 del 2010.
Sulla legittimazione attiva l’attore e gli intervenienti sono cittadini elettori e, quindi, sicuramente legittimati per quanto riguarda la partecipazione elettorale, compreso l’esercizio del diritto di voto nelle elezioni 2008, ad elezioni a loro riservate, diversamente da quelle per il Parlamento Europeo e locali, cui sono ammessi anche cittadini di altri Stati UE.
Le leggi, i decreti legislativi e i DPR sono promulgati o emanati dal Presidente della Repubblica che, non essendo responsabile dei suoi atti (art. 90 Cost.), non può essere evocato in giudizio e per la validità dei suoi atti deve esserci la controfirma del ministro proponente che se ne assume la responsabilità (art. 89, c. 1 Cost.).
Gli atti che hanno valore legislativo (quali i D.Lgs., i DPR e i DL) sono controfirmati dal Presidente del Consiglio dei Ministri (art. 89, c. 2 Cost.). Basta leggersi le intestazioni di qualsivoglia D.Lgs. per verificare che la proposta è del Presidente del Consiglio dei Ministri e che nell’iter deliberativo interviene una deliberazione preliminare del Consiglio dei Ministri.
Il Ministro degli Interni ha vistato il Testo Unico dell’elezione per la Camera dei Deputati DPR 361/1957 e ad esso spetta l’organizzazione delle elezioni.
Tuttavia, atteso che non è oggetto principale della domanda, ma incidentale l’eventuale costituzionalità delle norme, non è rilevante nemmeno il fatto che i disegni di legge di iniziativa governativa in materia elettorale siano presi di concerto con il Ministero degli Interni.
La pretesa di un cittadino di votare conformemente a Costituzione è svolta nei confronti dello Stato, che è rappresentato anche nell’ordinamento internazionale e comunitario dal Governo e quindi dal Presidente del Consiglio dei Ministri, atteso che non possono essere evocati in giudizio né il Presidente della Repubblica, né le Camere.
L’interveniente adesivo ha cercato di rimediare alla lacuna sulla giustiziabilità del procedimento elettorale preparatorio introducendo un pioneristico conflitto di attribuzione tra il corpo elettorale da un lato e il Parlamento ed il potere giudiziario dall’altro ma senza successo (Corte Costituzionale Ordinanza n. 284 del 2008).
Le questioni di legittimità costituzionale
In questa sede pochi accenni alle questioni di merito.
Sul premio di maggioranza nazionale e/o regionale svincolato da ogni quorum di percentuale di voti o di seggi si è già espressa la Corte Costituzionale. Qui si sottolinea l’irragionevolezza in un sistema democratico rappresentativo in cui i seggi sono rapportati alla popolazione (artt. 56 e 57 Cost.) e in cui il voto è uguale (art. 48 Cost.).
Così come è congegnato non è un premio di maggioranza, cioè di consentire di governare alla forza più consistente e che a tale maggioranza si avvicina per consenso elettorale, cioè contemperare il principio di rappresentatività con quello di governabilità, benché la rappresentatività sia un principio costituzionale e la governabilità una scelta di opportunità.
Così come è, rappresenta un premio ad una minoranza assoluta che casualmente è una maggioranza relativa.
Un’assurdità e irrazionalità evidente del premio di maggioranza senza previsione di un quorum minimo è che la consistenza del premio di maggioranza è inversamente proporzionale al consenso ricevuto. Una lista o coalizione di liste di maggioranza relativa, cioè che abbia pochi voti in più di quella che la segue, ottiene un premio di maggioranza più alto (si faccia l’ipotesi di una lista con il 30% dei voti di una lista o coalizione di liste e quello di una lista o coalizione che putacaso abbia il 49% dei voti): il premio di maggioranza sarebbe maggiore nel primo caso, cioè più candidati sarebbero eletti grazie al premio di maggioranza.
La violazione dell’art. 48 Cost. sul voto uguale pare evidente, come anche quella dell’art. 51 Cost.. I voti devono avere lo stesso peso teorico anche se gli effetti possono essere diversi. Orbene il premio di maggioranza così come congegnato dà maggior peso a voti inferiori in percentuale e in assoluto rispetto a liste con voti superiori in percentuale e in numero assoluto.
Il premio di maggioranza fa eleggere un numero di parlamentari non commisurato ai voti ottenuti dalla lista, quindi vi è anche la violazione dell’art. 51 Cost. perché i candidati delle liste non concorrono in condizioni di uguaglianza come è prescritto dall’art. 51.
Non ci sarebbe contraddizione se il nostro sistema fosse bipartitico o fortemente bipolare. Non è così come ogni giorno la cronaca ci ricorda e per di più è stato realizzato tecnicamente male.
La decisione che il premio di maggioranza, fino al 54% dei seggi della Camera e al 55% dei seggi delle circoscrizioni senatoriali regionali, sia costituzionalmente illegittimo per mancata previsione di un quorum minimo di voti o di leggi non necessita un intervento del legislatore, che fissi il quorum: l’assenza di un quorum minimo rende la previsione costituzionalmente illegittima, con il conseguente annullamento del premio di maggioranza, mentre non sarebbero toccate le clausole di sbarramento o di accesso (percentuali minime per accedere alla distribuzione dei seggi).
Il legislatore, se vorrà mantenere la legge, potrà introdurre in futuro un quorum tale, che il premio diventi un premio alla maggioranza relativa, ma consistente.
La fretta non ha consentito di coordinare l’art. 14 con l’art. 14 bis DPR 361/1957, norma comune alle due Camere.
Infatti, mentre è vietato presentare liste di candidati con simboli uguali o confondibili, nulla vieta che partiti o gruppi politici organizzati presentino liste (o coalizioni di liste) con programma identico e con lo stesso capo politico, purché si abbia l’avvertenza di non candidarlo in tutte le liste o di non candidarlo per niente.
Un premio di maggioranza, concepito per consentire ai partiti di candidarsi a governare il paese, prevedeva una triplice maggioranza, sia pure relativa, di voti sulla lista, di voti sul programma elettorale e di voti sul capo-politico. Il mancato coordinamento tra l’art. 14 ed il 14 bis DPR 361/1957 può comportare tre diverse maggioranze, quella della lista o della coalizione più votata, quella sul programma identico più votato di liste non coalizzate ed infine la maggioranza formatasi su un capo politico, non candidato in nessuna lista, indicato da liste coalizzate o meno, senza necessariamente un identico programma, a parte quello unico delle liste coalizzate, ma con capo identificato nella stessa persona.
Questa possibilità meramente teorica è possibile proprio per la circostanza che non vi sia un quorum minimo per beneficiare del premio, se non quello della soglia di accesso e del 20% per le coalizioni nelle circoscrizioni senatoriali.
La legge elettorale era stata concepita in un contesto di superamento del bicameralismo perfetto. Il Senato in data 18 novembre 2005 approva definitivamente una complessa riforma costituzionale, che per quanto ci interessa trasformava la Camera Alta in un “Senato Federale”, cui non competeva più di dare la fiducia al Governo. La legge elettorale 270/2005 è stata promulgata il 21 dicembre 2005: il collegamento non è soltanto temporale ma si desume dai lavori preparatori e da esternazioni del Ministro proponente Calderoli. Richiesto il referendum costituzionale confermativo la riforma non fu approvata nel 2006. Orbene una deroga così importante al principio di rappresentanza poteva avere un senso soltanto per consentire una governabilità. In questo caso, pur non facendo caso alla diversa composizione del corpo elettorale del Senato, il premio di maggioranza doveva rispondere alla stessa logica, cioè assicurare alla lista o coalizione di maggioranza relativa la maggioranza nelle due Camere del Parlamento. Così non è perché il premio per la Camera è nazionale e per il Senato regionale. Per di più in alcune regioni, Valle d’Aosta e Molise, non vi è alcun premio possibile. Il premio di maggioranza non è neppure percentualmente lo stesso, poiché viene arrotondato al numero superiore, ma soprattutto gioca diversamente in Lombardia con 47 seggi o in Abruzzo con solo 7. Il voto non è uguale come richiede l’art. 48 Cost. e non vi sono condizioni di eguaglianza per gli stessi candidati di essere eletti grazie al premio di maggioranza regionale.
Tuttavia a prescindere da queste tecnicalità se il premio di maggioranza non assicura la stessa maggioranza nelle due Camere è totalmente irragionevole, e perciò incostituzionale l’attribuzione di un premio di maggioranza finché siamo un sistema bicamerale perfetto.
Sulle liste bloccate la violazione più evidente è quella del voto personale che deve essere inteso nel senso di essere dato da una persona ad un’altra.
Necessariamente non implica un voto di preferenza se non in caso di collegi plurinominali con voto di lista: in caso di collegi uninominali il requisito del voto personale è egualmente rispettato.
Combinando insieme voto di lista senza preferenze e circoscrizioni ampie la legge attuale di fatto elimina la necessaria rappresentatività degli eletti non tanto nei confronti dei singoli elettori quanto nei confronti dei singoli collegi elettorali nell’ambito dei quali dovrebbe esservi un rapporto più diretto elettori-eletti, eliminato invece dall’elezione in ordine di lista in grandi circoscrizioni dove il rapporto personale si perde. La mancanza di tale rapporto è particolarmente evidente nelle elezioni per il Senato dove il Collegio coincide con la Regione stessa, ma anche nelle elezioni per la Camera dei deputati dove la suddivisione in circoscrizioni della stessa Regione riguarda soltanto quelle più popolose.
Nella legge in vigore non è nemmeno possibile la cancellazione di candidati per evitare che, votando per una lista, non si possa modificare l’ordine di lista e pertanto essere obbligati a votare per candidati sgraditi, che per di più precedono nell’ordine i candidati, che per la loro presenza avevano indotto l’elettore a votare per quella lista e non per altre, cioè esprimere un voto personale e libero.
Ma la violazione della Costituzione è inequivoca in relazione all’elettorato passivo, in quanto l’art. 51, c. 1 Cost. sancisce il diritto di accedere a cariche elettive in condizioni di eguaglianza.
È evidente che essere collocato al 1° posto o all’ultimo comporta una differenza di chance. Tale differenza non riguarda soltanto il candidato ma il cittadino elettore che non può dare il proprio voto personale al candidato che ritiene migliore o più competente.
Una lista bloccata è teoricamente ammissibile in presenza di consultazioni primarie obbligatorie che determinino l’ordine di lista ovvero in seguito a procedure di partito democratiche e trasparenti che deliberino l’ordine di lista.
L’Italia è l’unico paese della UE privo di una legge sui partiti politici, benché gli stessi esercitino funzioni pubbliche e ricevano fondi pubblici per partecipare alle elezioni.
L’art. 49 della Costituzione non è stato attuato, concorrere “con metodo democratico a determinare la politica nazionale” implica non soltanto una pluralità di liste, ma che le stesse siano formate con criteri democratici.
Se così non fosse, non sarebbe costituzionale la disparità di trattamento rispetto ai Sindacati (art. 39 c. 3 Cost.), che sono formazioni sociali ex art. 2 Cost., al pari dei partiti politici.
La violazione dell’art. 92 Cost. sulla nomina del Primo Ministro come prerogativa del Presidente della Repubblica non è imputabile alla legge che espressamente esclude che la designazione da parte della lista o coalizione di liste di un capo politico costituisca modifica dell’art. 92 Costituzione.
Excusatio non petita, accusatio manifesta: non c’è bisogno di essere fini giuristi per sapere che con legge ordinaria non si possono né modificare, né integrare, né interpretare norme costituzionali.
Il problema è stato posto dall’illegittima ammissione di simboli elettorali con indicazione di una persona con la qualifica di Presidente.
Si torna al problema di fondo, con la giurisprudenza consolidata che sottraeva, e sottrae almeno fino ad un giudizio di costituzionalità sul D.Lgs. 104/2010 per mancato recepimento sul punto della legge delega, alla giurisdizione il procedimento elettorale preparatorio, non era possibile impugnare l’ammissione di ingannevoli simboli o contrassegni di liste contrari alla stessa legge e alla Costituzione, convincendo gli elettori con una martellante propaganda che stavano eleggendo il futuro Primo Ministro.
L’impugnazione sarebbe stata rinviata alla Giunta delle Elezioni di Camere, elette grazie a quell’escamotage e con maggioranza precostituita vincolata al personaggio politico cui tutti i parlamentari devono essere grati per essere stati collocati in posizione utile in testa di lista ed alcuni di loro ancora più grati per essere stati eletti grazie ad un premio di maggioranza.
Con il rinvio alla Corte Costituzionale non si lede gli interessi di nessuno, le Camere ed il Governo potrebbero proporre un conflitto di attribuzione se fosse vera la tesi difensiva dell’Avvocatura dello Stato, mentre al cittadino elettorale non sarebbero offerti altri rimedi se non la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, che non ha poteri conformativi alle norme incostituzionali, ma solo di condanna per violazione della Convenzione internazionale.
Con riserva di replica ed illustrazione in sede di discussione orale.
Milano, 4 marzo 2011
Avv. Felice C. Besostri