«Un’Italia, un’Europa e un mondo diversi e migliori sono possibili, anzi necessari, se non si vuole sprofondare sempre più in una crisi che, iniziata come finanziaria, è diventata economica, sociale, politica e morale.
Sono minacciate le basi stesse della convivenza civile e della democrazia.
Il socialismo è un’unione inscindibile di libertà e democrazia con uguaglianza e giustizia sociale e rappresenta oggi come ieri la risposta, quindi la soluzione, ai problemi della maggioranza della popolazione del nostro Paese, dell’Europa e del mondo.
La globalità della crisi impone soluzioni globali.
Non esistono istituzioni internazionali in grado di offrire soluzioni o anche solo di elaborarle: non sono all’altezza né l’ONU né i vari G8 o G20, ridotti, questi ultimi, ad essere mere passerelle mediatiche di Capi di Stato e di Governo.

E’ privo di qualsiasi fondamento logico [assurdo] discutere di ricette per risolvere i problemi di 900 milioni di persone occidentali senza coinvolgere le altre 6 miliardi di persone abitanti la nostra stessa Terra.
Se non si individua una strada positiva per ogni essere umano il nostro pianeta si autodistruggerà. Scenari tragici prenderanno inesorabilmente il sopravvento:le tensioni politiche e sociali e le crisi ambientali già oggi presentano i foschi scenari delle guerre civili, etniche e di religione a cui si aggiungono gli esodi di massa dalle aree in crisi per ragioni economiche e/o di sicurezza personale e lo scatenamento di fenomeni naturali devastanti e incontrollabili.
La sfida per trovare soluzione ad un futuro che si presenta ogni giorno sempre più cupo e complesso ha una risposta possibile e necessaria nella costruzione di comunità e/o di federazioni continentali di Stati capaci di cooperare tra loro e di imporre agli attori economici il rispetto dell’ambiente e dell’interesse pubblico e generale[,] eliminando o ponendo pesantissimi vincoli agli eccessivi profitti a breve termine, alle speculazioni finanziarie e allo sfruttamento illimitato di risorse naturali esauribili.
Sono questi i motivi fondamentali che ci devono portare ad essere convinti europeisti ed internazionalisti.
E a tutti coloro che affermano o affermeranno che intraprendere questa strada sia non realistico risponderemo che: “chi non ha sogni avrà incubi”.
Il nostro sogno di europeisti federalisti e di eredi dell’internazionalismo socialista ha un nome: Stati Uniti d’Europa. Non solo utopia ma un preciso e chiarissimo obiettivo politico da perseguire con realismo e determinazione.
L’ Europa unita è il presupposto per un mondo multipolare.
Un’Europa che, come potenza continentale, sappia essere fattore di pace e di cooperazione per affrontare i problemi planetari: dallo sviluppo ineguale alle migrazioni di massa, dall’esaurimento delle fonti energetiche non rinnovabili e delle materie prime rare all’accesso all’acqua potabile e ai cambiamenti climatici conseguenti al fenomeno dell’aumento costante della temperatura media del globo terrestre (effetto serra).
Alla fine del XIX secolo il socialismo si poneva come una questione quasi esclusivamente europea. Già questo fatto costituiva un limite perché lo sviluppo produttivo, come il progresso scientifico ed economico, era già esteso al Nord America. Lo sviluppo produttivo riguardava allora solamente 500 milioni di persone su 2 miliardi di abitanti complessivi del pianeta terra che, ad eccezione degli occidentali, erano esclusi dalle conquiste della modernità.
È innegabile e incontrovertibile che le potenze occidentali, attraverso una tutela politica e/o grazie al dominio coloniale cui hanno sottoposto molte popolazioni del resto del mondo, abbiano deliberatamente sfruttato quest’ultime contribuendo non ad uno sviluppo ed arricchimento complessivo ed armonico ma esclusivo delle società industrializzate .
Il surplus di ricchezza estratto dal resto del mondo ha consentito, dove i rapporti di forza tra capitale e lavoro erano meno squilibrati, di finanziare le conquiste sociali dei lavoratori europei.
La questione fondamentale è capire se l’Europa, da sola, può essere ancora il motore di sviluppo di un pensiero socialista globale: dopo due guerre mondiali sembrava che il vecchio continente avesse imboccato la via dell’unità politica, ma, a causa del sorgere di nuovi egoismi nazionali questa strada è stata dimenticata e abbandonata.
L’unità politica è stata sopravanzata dall’unità economica e monetaria con la complicità di una direzione tecnocratica e non democratica, dominata da lobby e da un pensiero unico di cui sono frutto il sistematico rifiuto dell’intervento pubblico nella regolazione dell’economia e le politiche di austerità con tagli indiscriminati al welfare state: scelte che vanno a gravare esclusivamente sui ceti popolari e medi che della crisi economica sono stati vittime e non responsabili.
Nessuna scelta o azione di politica economica compiuta ha inciso sui meccanismi di finanziarizzazione dell’economia e della concentrazione della ricchezza nelle mani d’appena l’1% della popolazione.
Gli autentici responsabili della crisi, i detentori delle leve del potere economico e finanziario restano sereni ed indisturbati al loro posto.
Assicurazioni, finanziarie e banche si sono salvate dal fallimento grazie a fondi pubblici.
Queste risorse pubbliche, frutto anche della pressione fiscale sulla maggioranza della popolazione, ora non sono più disponibili per ridurre le diseguaglianze e assicurare l’accesso gratuito ai servizi sociali universali connessi alla salute, all’istruzione e ai beni comuni come l’acqua potabile.
Per cercare di uscire dalla crisi e per fare aumentare la domanda[,] sarebbe più razionale agire, contrariamente a quanto fatto fino ad oggi, non limitando i diritti economici e sociali tradizionali, che sempre devono accompagnarsi a corrispondenti doveri da parte di chi ne dispone, ma facendo scelte che implichino un loro forte ampliamento ed estenderli alla sfera dei nuovi diritti: un ambiente non contaminato e vivibile, un’informazione libera, completa e plurale, e un accesso alla rete senza discriminazioni.
Le società con minori diseguaglianze economiche e sociali resistono meglio alle crisi perché si presentano più predisposte alla coesione e alla solidarietà.
Il sistema bancario e finanziario deve essere messo sotto un rigido controllo. Deve finire la prevalenza di un sistema, come quello attuale, che si propone esclusivamente di massimizzare gli utili ed il fatturato a brevissimo termine solo per garantire stratosferici emolumenti ai manager che antepongono in maniera irresponsabile e incivile i loro interessi personali all’interesse generale e spesso a quello della stessa proprietà.
Follie finanziarie fondate su titoli tossici o altamente speculativi sono state avallate sia dalle forze politiche di orientamento conservatore e liberista sia da organismi tecnocratici strutturalmente e ideologicamente affini quali il Fondo Monetario Internazionale e, per quel che riguarda l’Europa, la Commissione Europea e la BCE. Se fosse già operativo un accordo di libero scambio dominato dagli USA non sarebbero possibili nemmeno le modeste iniziative di controllo che il Parlamento Europeo sta cercando di introdurre.
A tutto ciò riteniamo che si debba contrapporre un argine che può essere costituito unicamente da un insieme di principi, valori e indirizzi politici ed economici riassumibili in una sola parola: Socialismo.
Socialismo significa innanzi tutto difesa della dignità dell’uomo e dei diritti dei lavoratori. Il Socialismo deve essere inteso come aspirazione ad una tendenziale maggiore eguaglianza. Il Socialismo è l’estensione dei diritti umani e civili e la socializzazione del potere. Grazie al Socialismo si può cercare di uscire dalla logica di accettazione subalterna delle logiche del capitale, che si ritiene onnipotente perché può muoversi ovunque alla ricerca delle condizioni fiscali più convenienti e delle ottimali possibilità di sfruttamento dei lavoratori.

Oggi è infatti possibile impostare azioni sindacali sovranazionali di attacco e non di retroguardia, sottraendosi alla mera invocazione dell’intervento pubblico in funzione esclusivamente difensiva di interessi settoriali anziché generali.
È per questi chiari e precisi motivi che siamo fermamente convinti che in questa situazione così critica e difficile si debba nuovamente dar vita alla stagione della Speranza, riaffermando l’esigenza di una lotta dei cittadini per tornare ad essere protagonisti del proprio futuro: cittadini che possono diventare compagni socialisti o comunque ritrovare con orgoglio il senso di esserlo.
In Italia ci sono oggi compagni che militano in formazioni dello schieramento di centro-sinistra, in circoli socialisti indipendenti, in associazioni politico-culturali, in piccoli partiti e movimenti di sinistra. Sono però nettamente prevalenti i compagni senza alcuna tessera che continuano a rivendicare le ragioni del socialismo e che lamentano l’assenza di una sinistra italiana capace di promuovere autonomamente la rappresentanza e l’iniziativa cui aspirano.
Nella galassia socialista è presente molta trasversalità e anche l’intrecciarsi di un dialogo che purtroppo non ha ancora maturato la convinzione di ricostituire una comune soggettività politica che esprima l’esigenza profonda di essere presenti in modo organizzato, propositivo e concreto nella lotta politica italiana, soprattutto in un momento di grave crisi della democrazia repubblicana.
È essenziale, oggi più che mai, riaffermare un’identità autonoma che riproponga, con la dignità che storicamente gli compete, il socialismo nella realtà del Paese, un socialismo largo e non autoreferenziale del quale possono far parte tutti coloro che credono nell’esigenza di una risposta alta e forte alla crisi politica, economica e sociale.
L’ordinamento economico e sociale esistente non può e non deve rappresentare un limite invalicabile. Esso deve essere inteso solo come una sfida per chi ha scelto di conquistare e gestire il potere con metodo democratico, nel rispetto di tutte le libertà individuali e collettive.
Occorre pertanto dar vita a un movimento che chiami a raccolta, in forma libera, autonoma e con pari dignità, ma nel contempo chiaramente identificabile sotto il profilo culturale e organizzativo, tutte le energie socialiste che avvertono la necessità, la bellezza e pure il sacrificio necessari per lanciare questa sfida.
Sfida in primo luogo per se stessi e per una nuova militanza che, nel nome del socialismo, agisca quale fattore propulsivo per tutta la sinistra: una Sinistra decisamente da ricomporre e riorganizzare idealmente, socialmente e politicamente.
Questo è il compito al quale sono chiamati tutti i socialisti di oggi ma soprattutto di domani, anche quelli che lo sono senza saperlo e che provengano da altre esperienze: “socialisti non si nasce ma si diventa”. E non è socialista chi pensa di imporsi in nome di una presunta purezza e autorità ideologica. L’attualizzazione di un autonomo pensiero socialista può servire come contributo di idee per rifondare un socialismo europeo che ha molti meriti storici, [ma che da anni sembra vivere una crisi di idee. Ogni nuova iniziativa deve nascere per unire e non per dividere: un percorso che coinvolga prima i socialisti e poi tutta la sinistra che si voglia riconoscere in un rinnovato socialismo europeo
La nostra democrazia è stata distrutta dall’inadeguatezza della classe politica del post-tangentopoli e ferita nel profondo da vent’anni di berlusconismo, cui sono state contrapposte risposte deboli, improvvisate, astrattamente nuoviste e perfino disponibili ad abbandonare la cosiddetta “cultura del movimento operaio”, ossia del lavoro salariato.
La disgregazione del sistema produttivo fondato sulle Grandi Industrie Manifatturiere ha modificato in profondità la struttura sociale. Un Movimento Socialista deve farsi carico esplicitamente degli interessi di “tutti coloro che fanno del lavoro la propria ragione di vita”, poiché ogni attività lavorativa supera la divisione fra lavoro manuale o intellettuale, dipendente o autonomo, in ambito pubblico o privato o di libera professione. Tutti i lavoratori risentono sia di una massiccia evasione fiscale sia di un fisco altamente iniquo. Vengono privilegiate e tutelate le rendite, le speculazioni finanziarie e gli interessi delle compagnie multinazionali con sedi nei paradisi fiscalie a ciò si aggiunge il gravame dell’economia sommersa spesso di natura criminale,che comprende la corruzione e che risulta totalmente esente da imposte e tasse.
Il sistema economico e produttivo globale sta cambiando velocemente e altrettanto velocemente sta cambiando la geografia politica, che per quel che ci riguarda come nazione attribuisce un nuovo peso agli equilibri mediterranei.
Molto meno velocemente cambiano le analisi e gli slogan della nostra classe politica e giornalistica, in larga misura improvvisata, provinciale , ignorante e poco onesta, abile solamente a recitare slogan e di attribuire etichette senza alcuna verifica dei contenuti: mai come oggi è importante ragionare e riflettere, come fecero in altri tempi tutti coloro che si ponevano alla ricerca di un socialismo possibile perché necessario.
L’Italia ha bisogno di giustizia, di democrazia e della ripresa di una lotta mirata alla salvaguardia dei meno abbienti e dei meno garantiti. Non deve ricadere su di loro il peso di una crisi dovuta al globalismo finanziarioche sinora ha tutelato esclusivamente le classi privilegiate.
[È fondamentale rilanciare una cultura del lavoro che assicuri alle giovani generazioni la concreta garanzia di una vita e di un futuro di vita degni di essere vissuti.

Riferendosi sempre all’Italia, è negativo che i partiti e i sindacati siano così in ritardo nel comprendere l’evoluzione tecnologica e i mutamenti nella struttura produttiva e nella composizione della forza lavoro. I congressi sindacali si vincono ormai grazie alle federazioni dei pensionati e delle categorie protette mentre i lavoratori precari e stranieri, non essendo sindacalizzati, vengono usati come esercito di riserva della produzione, contribuendo di conseguenza alla compressione dei salari.
Nel nostro Paese la realizzazione di un sindacato unitario non è all’ordine del giorno anche se, come in altre realtà europee dalla Germania alla Scandinavia, potrebbe costituire un elemento determinante nella difesa e nell’avanzamento della condizione dei lavoratori.
Le soluzioni tecnocratiche non possono fornire un futuro degno dei nostri principi costituzionali ai bisogni dei cittadini: costringono solamente lavoratori e pensionati a ingiusti sacrifici.
Soluzioni di governo come quelle in atto, per quanto sembrino imporsi di necessità, non presentano i requisiti necessari per un’opera di ricostruzione vera, finalizzata a riaffermare il concetto di “ solidarietà sociale” insito nella democrazia repubblicana.
La Costituzione deve essere difesa e attuata a partire dal secondo comma dell’art. 3 che afferma: «E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese».
Questo articolo, insieme con il Titolo III RAPPORTI ECONOMICI, con i diritti civili del Titolo I e con quelli economici e sociali del Titolo II della Parte Prima della Costituzione, indica gli obiettivi e i programmi di una possibile transizione pacifica ad una società socialista democratica.
I principi fondamentali della Carta Costituzionale, che è il bene comune della nostra società e il patto civile che ci unisce come comunità, sono in grave pericolo. La nostra è una democrazia parlamentare rappresentativa, che deve essere rafforzata – e non sostituita – da nuovi istituti di democrazia diretta e partecipativa.
Attualmente la democrazia è, invece, a forte rischio per l’effetto congiunto di una concezione spettacolare della politica, che produce personaggi e comportamenti plebiscitari, e di una semplificazione artificiale del confronto politico che si intende realizzare ricorrendo a premi di maggioranza inesistenti in Europa, a liste bloccate decise da oligarchie partitiche, a soglie di accesso elevatissime e a premi alle migliori minoranze.
La Corte Costituzionale ha annullato con sentenza 1/2014 gli aspetti palesemente antidemocratici della legge elettorale del 2005, ma è tanto evidente quanto indegno come si tenda ad ignorare il suo giudizio.
La difesa della democrazia esige, inoltre, di affrontare nodi come quelli dell’informazione e dell’influenza indebita dei gruppi di pressione[,] per giungere ad una reale socializzazione del potere che veda una maggior presenza di giovani e di donne nelle istituzioni.
Restiamo convinti che per realizzare questo occorra riproporre una questione di fondo: quella del socialismo, con i suoi storici ideali e con nuove e concrete proposte politiche per affrontare la crisi del presente.
A tal proposito siamo pienamente consapevoli di dover intraprendere un percorso sicuramente lungo, difficile e anche incerto, ma non ci sono, né si intravedono alternative possibili e credibili.
Non è più sopportabile una società di mercato dove tutto è ridotto a merce, in cui tutto, compresi i sentimenti, ha un prezzo.,
perché niente ha più “valore”.
Ai giovani del giorno d’oggi, che sono annichiliti da una crisi che appare senza speranza di soluzione, facciamo appello perché tornino a credere che, nel nome della libertà, dell’uguaglianza e della giustizia sociale, è possibile rendere il mondo un posto migliore e costruire un avvenire di donne e uomini sempre più liberi, uguali e rispettati nella loro dignità di persone che hanno il diritto di aspirare alla felicità.
«Senza democrazia e senza libertà tutto si avvilisce, tutto si corrompe, anche le istituzioni sorte dalle rivoluzioni proletarie, anche la trasformazione, da privata a sociale, della proprietà dei mezzi di produzione e di scambio che dell’economia socialista è pur sempre la condizione principale, ma nell’etica socialista è pur sempre il mezzo e non il fine, il fine essendo la liberazione dell’uomo da ogni forma di oppressione e di sfruttamento. » (Pietro Nenni, Mondo Operaio, 1955)