di Felice Besostri |

L’esito del referendum è diventato contendibile e quando il piatto è ricco i duri cominciano a giocare.

Il piatto è la gestione della ricostruzione con i soldi UE (European Recovery Fund in primis), tra prestiti a basso interesse e contribuzioni a fondo perduto (cui si aggiungerà fatalmente il MES) ed è una guerra che lascerà vincitori e vinti, non di breve, ma di lungo periodo, diciamo, non a caso, un trentennio. Se è consentito un paragone: il secondo dopoguerra italiano tra la svolta di Salerno (1944), Governo di unità nazionale, il Referendum per la Repubblica (1946), la scelta di campo occidentale, lo sbarco dei socialisti e comunisti dal Governo (1947), il Piano Marshall (nome ufficiale “European Recovery Program”) e le prime elezioni politiche, entrambi del 1948.

La parola chiave è “ricostruzione” (recupero, recovery in inglese), che la Presidente uscente della Corte Costituzionale, Marta Cartabia, ha associato alla Costituzione, nella Lectio degasperiana 2020, che ha tenuto a Pieve Tesino (TN), luogo natale di Alcide Degasperi nel 1881, lo scorso 18 agosto.

Tutto giocato in 4 anni: lo stesso arco di tempo, che divide le elezioni del 4 marzo 2018 e la fine del mandato del Presidente della Repubblica in carica nel febbraio del 2022 e che noi ci giocheremo in due giorni il 20 e 21 settembre, non preceduti da una campagna informativa all’altezza dei problemi. Non a caso!

Il popolo legislatore costituente, come corpo elettorale massa, deve agire pavlovianamente, non come soggetto cosciente ed informato, come dal 2005 non possono scegliere, cioè, eleggere i parlamentari con un voto libero, segreto, uguale e personale (art. 48 Cost.), sarebbe assurdo che potessero decidere liberamente in quale Repubblica democratica, autonomista e sociale vogliano vivere. Gli italiani, come i loro parlamentari nominati dalle oligarchie politiche nel migliore dei casi[1], possono solo ratificare le scelte di un Parlamento telecomandato dall’esterno. Ridurre i parlamentari significa ridurre i rischi di nomine sbagliate: ci saranno sempre degli ingrati che penseranno che ognuno di loro rappresenti la Nazione, cioè il popolo sovrano, senza vincolo di mandato (art. 67 Cost.), che eserciti o no il mandato con disciplina (rigore morale, non ubbidienza) e onore (art. 54 Cost.). Con il voto referendario devono solo reagire alle loro frustrazioni e farsi guidare dalle loro paure e punire la Casta, i cui capi sono comunque al riparo, perché nella legge elettorale, maggioritaria o proporzionale, che sia, le candidature sono, comunque, bloccate, comprese quelle nei collegi uninominali.

C’è però una grande differenza rispetto ad allora: l’assenza di grandi personaggi come Nenni, Togliatti e De Gasperi, non soli nei grandi partiti, ma anche nei piccoli come Luigi Einaudi, liberale, o Piero Calamandrei, azionista liberal-socialista. Inoltre, gli eredi di Togliatti e De Gasperi sono nello stesso partito, e nel Parlamento non sono adeguatamente rappresentati gli eredi di Nenni, Einaudi e Calamandrei.

Il primo messaggio subliminale è stato inutile opporsi i SI’ stravincono, ma di fronte all’assenza di argomenti razionali e convincenti, oltre che quelli di bassa demagogia, il messaggio è cambiato le vere questioni sono altre, votare SI’ o NO è la stessa cosa, il popolo al pari di un illustre giurista democratico è come l’asino di Buridano. O non servono correttivi, come un nuova legge elettorale, che è anche vero[2] perché sarebbe con soglia di sbarramento al 5% (trattabile) e con liste bloccate (immodificabile).

Il popolo deve esser espropriato dalla Casta che fa finta di combattere la “casta dei parlamentari da essa nominati, per non individuare i responsabili della pauperizzazione delle classi popolari, con la disoccupazione femminile e giovanile, la precarizzazione dei posti di lavoro, la destrutturazione del welfare state a cominciare dal servizio sanitario nazionale e dall’istruzione pubblica da quella elementare a quella universitaria, che non riduce le diseguaglianze dei punti di partenza e non è un efficace strumento di ascensione sociale.

Una volta spettava alle elettrici e agli elettori tagliare i parlamentari, decidendo chi rieleggere e chi no, individualmente, uno per uno non del 36,50%, tranne che al Senato nel Trentino-Sudtirolo ridotto del 14,28% a spese di Umbria e Basilicata ridotte del 57,14% o del Friuli-Venezia Giulia ed Abruzzo del 42,85%.

Finora nessun sostenitore del SI’ o dei laudatori delle decisioni di inammissibilità della Corte Costituzionale ha mai spiegato ai lombardi perché devono essere 313mila, ai campani in 320mila, ai calabresi in 327mila per avere un senatore, mentre se sei un trentino-sudtirolese siete sufficienti 171.500.

Si scontrano due mondi, chi ritiene pericoloso rompere il patto costituzionale compresi i suoi “principi supremi “, tra i quali primeggia quello di uguaglianza dei cittadini (art. 3), del voto (art. 48) e di candidatura (art. 51) secondo quanto enunciato nella sentenza n. 1146/1988.

Per altri, invece, non è vero che “La Costituzione italiana contiene alcuni principi supremi che non possono essere sovvertiti o modificati nel loro contenuto essenziale neppure da leggi di revisione costituzionale o da altre leggi costituzionali. Tali sono i principi che la stessa Costituzione esplicitamente prevede come limiti assoluti al potere di revisione costituzionale, quale la forma repubblicana (art. 139), quanto i principi che, pur non essendo espressamente menzionati fra quelli non assoggettabili al procedimento di revisione costituzionale, appartengono all’essenza dei valori supremi sui quali si fonda la Costituzione italiana”.

Il primato appartiene alla politica e la scelta di non creare problemi al governo è la suprema lex, non la salus reipublicae. Siamo in un momento di crisi non solo politica, ma istituzionale, il Parlamento si auto-delegittimato e gli  organi di garanzia costituzionale, frutto contingente di un pluralismo di formazione ancora operante sono paralizzati dalle troppe zone d’ombra dei controlli di costituzionalità. Pur deluso dalle sue ultime decisioni, rimpiango che i membri di questa Corte, senza eccezione alcuna, non siano stati nominati a vita come quelli della Corte Suprema degli Stati Uniti.


[1] Se non dal Capo/Proprietario del Partito.

[2] Ma come insegna il Talmud una mezza verità è una bugia intera.