I due costituzionalisti Paolini e Besostri: «Il cambiamento più distruttivo introduce l’elezione diretta del Premier e i premio di maggioranza alle liste»

di ENZO PAOLINI* e FELICE BESOSTRI** – Pubblicato su: www.ilcentro.it

Come è stato detto il disegno di legge di riforma elettorale non è la “madre” della riforma ma la figlia delle leggi elettorali (tutte incostituzionali), senza la quale non avrebbe avuto ingresso nel dibattito politico attuale. Una proposta di riforma definita “light”, come se fosse un cocktail di mezza sera. Soli cinque articoli per demolire l’impianto costituzionale costruito in maniera certosina, intelligente, lungimirante ed efficace e poggiato sui pesi e i contrappesi nella distribuzione del potere di un ordinamento seriamente ed effettivamente democratico. ll primo cambiamento, il nucleo, quello più demagogico e distruttivo introduce l’elezione diretta del Presidente del Consiglio ed il premio di maggioranza per le liste ad esso collegate in modo da raggiungere “sulla base dei principi di rappresentatività e govemabilità” il 55% dei seggi. Così, senza soglie minime di votanti e/o di voti ottenuti. Semplicemente chi vince con un voto in più prende tutto.

La prima osservazione è che i due termini — “rappresentatività” e “governabilità” — così come proposti nel Disegno di legge, sono del tutto incoerenti e, per quanto riguarda il secondo — la asserita “govemabilità” — anche pericoloso. Come può essere rispettato il principio di rappresentatività se chi vince, poniamo con il 25% (cioè una maggioranza relativa), prende il 55% dei seggi delle Camere lasciando al restante 75% del corpo elettorale il residuo 45% da dividere tra tutti? La “govemabilità” poi è un concetto dannoso; ed infatti non c’è nella Costituzione.

La “governabilità” poi è un concetto dannoso; ed infatti non c’è nella Costituzione. È stato introdotto con subdola demagogia per giustificare il sistema elettorale dei nominati e dei premi di maggioranza a chi non è maggioranza per poter ripetere il ritomello suggestivo, dei vincitori che si devono sapere la sera delle elezioni, del chi vince prende tutto. Ma le elezioni non sono una partita di calcio da raccontare, con vincitori e vinti, la sera alla Domenica sportiva Le elezioni sono fatte per fotografare il Paese e tradurre la rappresentanza proporzionalmente nelle aule parlamentari. Ed è li, nella sede istituzionale propria, che si fa il lavoro duro ma affascinante del governo, ricercare l’incontro tra diversi e stabilire alleanze nei programmi, sulle idee, sulle cose da fare, non sulla spartizione del potere. È un lavoro difficile, si chiama politica. Per organizzare la traduzione del consenso in leggi parlamentari la Costituzione prevede altri organismi: i partiti. Purtroppo, se i parlamentari non sono eletti in base al consenso bensì in base alla indicazione dei capi allora i partiti non hanno più motivo di esistere. Il nostro sistema politico da tempo non è più fondato sul consenso, sul legame sociale tra elettore ed eletto quanto piuttosto sul rapporto fiduciario tra nominante e nominato.

Un rapporto tra pochi che restringe il campo del dialogo sociale e crea di fatto una oligarchia. E provoca il fenomeno dell’astensionismo. È quello che awiene oggi nel nostro Paese. Ma govemare non è comandare, governare è convincere gli altri della giustezza delle proprie idee e delle proprie proposte ed allora, perché si ha paura delle idee diverse? Perché per poter avere la fiducia si devono attribuire per legge centinaia di seggi non corrispondenti alla volontà popolare? Questo è un segnale di debolezza e non di forza, e la storia insegna che i sistemi fondati sulla debolezza delle idee prima o poi si sostengono con la forza della dittatura. Non è un’esagerazione, perché se ci si riflette, con pacatezza e senza pregiudizi, ci si accorge che una maggioranza forzata — cioè attribuita per legge in favore di quella che, secondo le ume, è una minoranza — è una forma di dittatura. I partiti “unici” sono nati così.

Un’altra notazione su una parte del Ddl che passa inosservata perché viene proposta come un ulteriore salutare “dimagrimento” del numero dei parlamentari. Parliamo del cosiddetto “superamento” del numero dei senatori a vita, ridotti ai soli ex Presidenti della Repubblica. Niente più nomine di personaggi che hanno illustrato il Paese nel campo sociale, culturale, artistico e scientifico. Ma le intenzioni dei Costituenti non erano quelle di incrementare banalmente i laticlavi senatoriali con cinque persone (peraltro di rilievo assoluto). Era quello di elevare proprio il tasso di rappresentatività in maniera tale da far entrare in Parlamento un pezzo — di livello massimo — di società civile tale da poter influire — per quanto possibile — sul censo tutto politico. Oggi si fa il contrario: è bene che la “casta” rimanga da sola, pochi, fedeli e tutti con gli stessi orizzonti e gli stessi interessi: il potere ed il mantenimento del potere. Così non si avrà il fastidio di sentire, ad esempio un tal Norberto Bobbio il quale, appunto, da senatore a vita ebbe a dire: “Meglio cinquanta governi in cinquanta anni che un solo governo per venti”.

La domanda, dunque è questa: il Ddl è migliorabile? Le prime audizioni in Commissione affari costituzionali in Senato degli ex presidenti della Corte costituzionale Cartabia, Zagrebelsky, De Siervo e Silvestri e le critiche puntuali ci convincono che il progetto dell’elezione diretta del Capo del Governo cambierà, a iniziativa della stessa maggioranza, il testo iniziale. Lo farà, altrimenti, darebbe un pessimo segnale, che vuole fare da sola, incurante di critiche, anche solo tecniche e redazionali.

La Meloni e Fratelli d’Italia voglio cambiare radicalmente la forma di Governo, per dare un segnale inequivocabile, che sono una maggioranza coesa, che controlla quasi il 60% dei seggi e che realizza il suo programma approvato dalla maggioranza degli italiani. L’obiettivo va respinto con nettezza. Ma non dobbiamo dimenticare mai, che se si fa il referendum e vince il NO, ci saranno crisi di Governo ed elezioni anticipate con la legge elettorale vigente, la più incostituzionale di quelle approvate dopo l’infatuazione maggioritaria e per la governabilità, Porcellum, ltalicum e Rosatellum. Per non respingere tout court il Ddl bisogna conoscere le reali intenzioni della Meloni. Il pericolo mortale per la democrazia non è l’elezione diretta ma la formula del Premierato, pericolosa, perché non conosce la divisione dei poteri e i checks and balances (controlli e bilanciamenti, meglio che pesi e contrappes) contro la concentrazione del potere, come ad esempio le elezioni americane di mezzo termine. Il Primo ministro eletto direttamente vuole, invece durare 5 anni, ed essere inamovibile se non con nuove elezioni anticipate, con il consenso di settori di opposizione, all’insegna del motto “simul stabunt, simul cadent . Ma è una formula che emargina il Parlamento in cui magari si sia formata una maggioranza alternativa e il Presidente della Repubblica. Molto meglio una sfiducia costruttiva, come in Germania.

Ancora: l’art. 67 della Costituzione non è oggetto di proposta di modifica, quindi “Ogni membro del Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato”. Per rappresentare la Nazione i parlamentari devono essere eletti dal popolo, al quale, nella Repubblica democratica italiana, “appartiene” la sovranità, e non nominati come ora dai partiti e senza l’obbligo di votare sempre come vuole il Govemo e neppure di dare sempre la fiducia al Primo Ministro. Il divieto di vincolo di mandato è la pietra angolare della modema democrazia, che ha sostituito i Parlamenti rappresentativi degli interessi di ordini e ceti sociali, a meno che non si abbiano nostalgie anche delle Corporazioni. Questa sarà la cartina di tornasole delle reali intenzioni della Meloni, se vuole far scegliere i parlamentari e il Primo Ministro direttamente dal popolo nell’interesse della rappresentatività e anche della govemabilità intesa come capacità di governare e non di comandare, o invece, come nella Deforma Costituzionale di Renzi affossata dal popolo il 4 dicembre 2016, fare del Capo della maggioranza parlamentare la figura più potente del nostro ordinamento costituzionale al di sopra del Presidente della Repubblica e del Parlamento, alterando gli equilibri esistenti.

Il Primo ministro deve avere la fiducia del Parlamento, ma con i premi di maggioranza e le liste bloccate i parlamentari non rispondono più agli elettori ma ai capi partito e perdono ogni potere di controllo se voglio essere rieletti. Non solo ma con l’attuale articolo 83 della Costituzione il Presidente della Repubblica sarà un burattino (se uomo) o una marionetta (se donna) del Primo Ministro del quale non sono previsti limiti di mandati, anche quattro, quindi per 20 anni. Primo Ministro e Presidente della Repubblica politicamente omogenei nominano due terzi della Corte Costituzionale e i giochi sono fatti. Non possiamo permetterlo.