Panorami politici dopo le elezioni del 8 ottobre 2011

di Felice Besostri |

Le elezioni polacche di domenica scorsa hanno segnato la sconfitta del gemello ex primo ministro, Jarosław Kaczyński, malgrado si fosse circondato di bellissime amazzoni a lui devote, come le deputate del PdL a Berlusconi.  Donald Tusk, invece, sarà il primo premier polacco a governare per un secondo mandato consecutivo dalla caduta del comunismo, dopo che il suo partito di centrodestra, Piattaforma Civica, ha ottenuto alle elezioni una vittoria salutata positivamente dai mercati. Con più del 99% dei voti scrutinati, Piattaforma Civica ha ottenuto il 39% dei consensi, ben oltre il 30,6% del partito nazionalista-conservatore Legge e Giustizia di Kaczynski.

Il partito di Tusk si avvia a ricevere 206 seggi, mentre il suo alleato — il Partito del Popolo — dovrebbe fermarsi a 28, ha riferito la commissione elettorale, un dato che consentirà alla nuova coalizione di ottenere la maggioranza alla Camera di 460 membri per quattro seggi.

Questi sono i risultati praticamente definitivi:

Tutti i partiti presenti nel Sejm uscente hanno sofferto perdite contenute, tranne che per la sinistra della SLD Sojusz Lewicy Demokratycznej, Alleanza della Sinistra Democratica, che ha perso la metà dei seggi. Il vincitore vero, che ha sconvolto il panorama politico è un populista di nome Janusz Palikot. Palikot, come Pannella e Di Pietro, ha presentato una lista con il suo nome. Il suo stile di fare politica ha dato origine ad un neologismo, palikotyzacja, palikoticizzazione: una serie di provocazioni iniziata nel 2005 quando era deputato per Piattaforma Civica, rieletto nel 2007. In quel partito liberal-conservatore rappresentava un’eccezione, perché sinstrorso, ma soprattutto anticlericale, che in Polonia non è semplice. Liberalizzazione dell’aborto e limitazione dell’influsso della Chiesa Cattolica sulle istituzioni pubbliche sono state tra le sue battaglie più note, come anche per la legalizzazione della fecondazione artificiale, tutte battaglie che in Polonia erano patrimonio del campo socialdemocratico. Non è un caso che dei 40 seggi del Movimento Palikot, ben 26 sono stati sottratti all’Alleanza della Sinistra Democratica. Nel 2007 indosso una T-shirt con scritto “Jestem gejem (sono un gay)” e “Jestem z SLD (Sono della SLD)”, perché voleva difendere le minoranze in via di estinzione.

Il suo distacco dalla Piattaforma civica di Tusk  è stato progressivo e  deciso. Nell’Ottobre 2010 Palikot fonda il movimento civico Polonia Moderna, di orientamento liberale di sinistra e nel dicembre uscì da Piattaforma Civica. Lascia il Parlamento anticipatamente fonda dapprima il Ruch poparcia Palikota (Movimento per il sostegno di Palikot e già nel gennaio del 2011 un nuovo partito con il nome Ruch Palikota (Movimento Palikot). E’ un imprenditore di successo, ma a differenza di Berlusconi con una laurea magistrale in filosofia. Il suo patrimonio è valutato in 330 milioni di Zloty, più o meno 80 milioni di Euro: il più ricco parlamentare polacco, ma ben lontano dal patrimonio di Berlusconi.

La sua ascesa è direttamente proporzionale alla discesa della sinistra, che pure è stata al potere per una serie di circostanze, che potremmo definire, con il senno di poi, fortuite, perché frutto di congiunture. I suoi dirigenti, salvo pochissime eccezioni, venivano tutti dal partito comunista al potere il POUP, uno dei tanti prodotti delle unificazioni forzate di comunisti e socialisti imposto dall’occupazione sovietica, ma con l’ipocrisia come in DDR (SED, Partito di Unità Socialista di Germania) e in Ungheria (POSU, Partito Operaio Socialista Ungherese), di non chiamarli comunisti. In Polonia, infatti, il nome era Partito Operaio Unificato Polacco (PZPR).

Soltanto in Cecoslovacchia l’unificazione forzata diede vita ad un partito comunista. In tutti i paesi del Patto di Varsavia, nella fase delle Repubbliche Popolari, fu mantenuto un artificioso pluralismo, con partiti contadini, cristiani e anche liberaldemocratici o liberalnazionalisti, riuniti in un Fronte Democratico o Popolare: soltanto i socialisti e i socialdemocratici non poterono continuare a esistere, neppure a sovranità ridotta.  Questi partiti fantocci, di copertura ad un regime autoritario, giocarono, tuttavia, in DDR e in Polonia un ruolo importante nella transizione.

La Lega della Sinistra Democratica (Sojusz Lewicy Demokratycznej, SLD) è un partito socialista democratico, che fa parte del PSE, ma come detto sopra, tra i suoi antecedenti vi era il partito al potere e il Sindacato ufficiale OPZZ, quello travolto da Solidarność . Nel 1990 sorse come alleanza elettorale di una trentina di gruppi, tra i quali spiccava la Socialdemocrazia della Repubblica di Polonia, il nuovo nome appunto degli ex comunisti (PZPR). Nelle prime elezioni totalmente libere, in un quadro di elevata frammentazione politica, risultò il secondo gruppo parlamentare, con il 12% dei voti, superato di poco soltanto dall’Unione Democratica con il 12.3%. Tuttavia era tenuto in disparte come incapace di far parte di una coalizione governativa proprio per i trascorsi dei suoi dirigenti.

Dal 1993 2001 sono stati il primo gruppo parlamentare e ben 4 primi ministri sono usciti dai suoi ranghi. Nelle elezioni anticipate del 19 settembre del 1993 la SLD con il 20,4% diventò il primo partito e poté formare un governo di coalizione con il Partito Polacco dei Contadini (PSL) con Primo Ministro il presidente del partito minore, Pawlak. Un’altra somiglianza con l’Italia dell’Ulivo, con la scelta di Prodi. Due partiti del defunto Fronte Popolare insieme al potere potevano rappresentare un ritorno al passato, ma il loro legame era un puro legame di poter, senza una vera comunanza di obiettivi, come venne evidente sulla questione di adesione all’UE, che i contadini avversavano ferocemente, mentre la sinistra era favorevole. 

Sebbene i due partiti totalizzassero appena il 35,8 % dei voti, causa di una legge elettorale alquanto cervelloticamente distorsiva, come il nostro porcellum, ottennero più del 60%  dei seggi, precisamente 303 su 460 e quindi godere di una maggioranza più che confortevole. Tuttavia, come le nostre elezioni del 2008 insegnano, le maggioranze puramente aritmetiche, fossero pure le più grandi della storia patria, non garantiscono la stabilità. La grossa discrepanza tra la percentuale dei voti e il numero dei mandati fu il risultato di un alto numero di partiti, soprattutto conservatori, non rappresentati, per essere rimasti sotto soglia: ma la società polacca non era riflessa dal Parlamento, come sarebbe avvenuto da noi se, invece di 2 coalizioni, competessero tre liste di peso elettorale quasi equivalente.

Dopo che Pawlak  fu rimosso da un voto di sfiducia, come il primo Governo Prodi, i socialisti ex comunisti elessero Primo Ministro, il 15 marzo 1995 uno dei loro, Józef Oleksy, in un certo senso un anticipatore di D’Alema. Durò poco meno di un anno e dovette andarsene ignominiosamente dopo che il suo Ministro degli Interni, Andrzej Milczanowski, lo denunciò come spia dei sovietici. Fu sostituito da Włodzimierz Cimoszewicz, che governò fino alla fine della legislatura nell’ Ottobre 1997. Nelle elezioni del 1997 la SLD rivinse con il 27,1% dei voti, ma con una perdita di sette seggi, 164 invece di 171 a causa della ricomposizione del campo post Solidarność, che ottenne unito nella Azione Elettorale Solidarność il 33,8%.

Nel corso della legislatura l’alleanza elettorale della sinistra decise di trasformarsi in un partito. La Socialdemocrazia della Repubblica di Polonia si sciolse, anche per sottrarsi alla possibilità di essere considerata l’erede giuridica del POUP e nel dicembre 1999 nacque la SLD, con Presidente Leszek Miller, che fu anche Primo Ministro, dopo le elezioni del 2001. Quelle elezioni furono vinte grazie a un’alleanza elettorale con l’Unione del Lavoro (Unia Pracy, UP), una formazione liberale di sinistra e al 41% dei voti. Il governo di coalizione si allargò all’alleato tradizionale, il PSL, il Partito dei contadini. Le tensioni con l’entrata nella UE nel maggio 2004 portarono a crisi di governo successive con tre Primi Ministri, anche nel numero vi sono analogie con i 4 governi della XIII legislatura (Prodi, D’Alema, D’Alema bis e Amato). E nei paralleli con l’Italia vi sono punti in  comune con la trasformazione di parte dell’Unione nel PD.

Nel 2004 il partito entrò in crisi e una parte sotto la guida di un ex Presidente della Sejm, Marek Borowski,  si scisse per fondare la Socialdemocrazia di Polonia (SdPL), mentre altri lasciarono la SLD, per entrare nell’appena fondato Partito Democratico (PD), una formazione socialliberale, che si era separata dalla liberale Unione della Libertà (UW). In una situazione di tensione e divisione nel dicembre 2004 fu eletto presidente, quell’Olesky, già Primo Ministro nel 1995/1996, ma nel maggio 2005 si dimise l’intero Presidium che sfociò in giugno in un complessivo ricambio generazionale: una vittoria folgorante da cui dovrebbero prendere esempio i rottamatori del PD.

Il calendario del rinnovamento proseguì a tappe forzate sotto la guida di Wojciech Olejniczak, un ex Ministro dell’Agricoltura, una posizione chiave in Polonia: si ponga mente al fatto, che la Polonia collettivizzò molto parzialmente l’agricoltura, che rimase dominata dalla piccola proprietà contadina. Il rinnovatore ottenne, che nelle liste elettorali non comparisse nessun quadro di partito del fu POUP: come se il PD non inserisse in lista candidati provenienti dalla filiera PCI-PDS. Lo stesso Olejniczak non era mai stato iscritto al POUP. Tanto per inquadrare i tempi difficili, la legislatura era stata contrassegnata anche da numerosi scandali e affari di corruzione. I risultati elettorali ne risentirono e il Partito fu duramente punito alle elezioni del 2005 raggiungendo appena lo 11,3%.

Nel Parlamento eletto nel 2007 il gruppo era denominato Alleanza Elettorale della Sinistra e dei Democratici ed era formata dalla SLD, l’UP, la SdPL e il PD. Leader Aleksander Kwaśniewski, un esponente degli anni d’oro della sinistra come Presidente della Repubblica per 2 mandati (1995-2005). Tanti forzi per nulla, alla fine l’alleanza ottenne un miserrimo 13,15%, cioè il 4,5% in meno della somma dei quattro partiti nel 2005: un risultato tipo della Sinistra Arcobaleno in Italia, un anno dopo. L’alleanza della Sinistra  e dei Democratici si sciolse nel 2008 e il rinnovatore/rottamatore sostituito dal Segretario Generale in carica Grzegorz Napieralski.

L’andamento altalenante è reso evidente dalla tabella che segue:

199113,0%
199320,4%
199727,1%
200141,0% (insieme con Unione del Lavoro, Unia Pracy)
200511,3%
200713,15% (insieme con Unia Pracy, la SdPL e il PD)
20118,24%

La sinistra italiana è messa peggio, se si prescinde dal PD, la cui classificazione non è agevole, l’espressione centro-sinistra non è usata dai partiti socialdemocratici e laburisti, ma qualche volta al posto della tradizionale left, si usa left of the center, cioè a sinistra del centro. La sinistra, che si definisce tale, non è rappresentata nel Parlamento  nazionale e nella rappresentanza italiana nel Parlamento Europeo. In caso di elezioni una parte potrebbe rientrare, se Vendola potesse uguagliare l’exploit di Palikot e altri se ospitati dal PD, come i Radicali nel 2008. Non è una credibile forza di alternativa di governo, se non in un’ammucchiata con PD e IdV, due formazioni che non hanno ricette per uscire dalla crisi, se non quelle dettate dalla BCE.

L’Italia e la Polonia hanno sempre avuto una sinistra squilibrata sul versante comunista, a differenza della maggior parte dei paesi europei. Altro elemento comune è l’assenza anche di una destra liberal conservatrice di tipo europeo, ma una congerie di partiti clericali o populisti e un peso fortemente condizionante della gerarchia cattolica. Una differenza è che la SLD, nel nome più simile al PDS/DS  nell’evitare ogni riferimento al socialismo, è però membro del PSE e dell’Internazionale Socialista. In Italia soltanto il PSI ha le stesse affiliazioni internazionali, ma non si definisce un partito socialista democratico, piuttosto socialista liberale ideologicamente e social iberale nei programmi.

La sua maggioranza perugina non ha comunque alcuna intenzione di giocare un ruolo da partito socialdemocratico europeo, anche se ne avesse la forza: le simpatie vanno piuttosto in una direzione laica e liberale al centro dello schieramento politico, non per nulla si sono espressi a favore di una premiership di Casini. Sulla fine del modello socialdemocratico tradizionale sono perfettamente d’accordo con D’Alema, cui al massimo rimproverano di non riconoscere la paternità craxiana delle sue idee. SEL è in mezzo al guado, sia come riferimenti ideologici, che come struttura di partito.

Per nostra fortuna il blocco sociale ed politico berlusconiano è in disgregazione per cause endogene, oltre che esogene, ma una rendita di posizione è fragile, specialmente se, come è probabile, la crisi dovesse aggravarsi, anche per la contraddizione della UE, priva di una guida politica democraticamente legittimata e nelle mani di una BCE, priva degli strumenti di intervento di una banca centrale, ma per di più vittima di una visione economica non all’altezza dei problemi: controllo dell’inflazione e taglio delle spese pubbliche, non importa quali: sono minacciate la coesione sociale e le possibilità di crescita.

Con la diminuzione del PIL il rapporto deficit/PIL non diminuisce anzi cresce. I partiti socialisti del PSE pare, che stiano invertendo i trend elettorali negativi degli ultimi anni, in una costellazione diversa che nel passato, cioè in solitario, ma con alleanze con movimenti ambientalisti, di sinistra liberali di sinistra, cioè con una logica unitaria. Le elezioni polacche da questo punto di vista non confermano la tendenza al recupero, ma la situazione era veramente compromessa: è stata una sinistra che ha fallito quando ha avuto l’occasione di governare. Lo stesso è avvenuto in Ungheria, un mix di pensiero liberista e di malcostume, un’abitudine contratta quando con i regimi comunisti la nomenklatura poteva agire impunemente. Nelle vicende politiche gli sviluppi non sono determinati da un codice genetico. Se fosse così, vista l’involuzione polacca, ci sarebbe da preoccuparsi seriamente, proprio per le somiglianze del sistema politico. Nelle elezioni del 2007 parteciparono il 53,3%, nel 2011 appena il 48,8%: in Italia cresce la massa astensionista, ma siamo ancora lontani dai polacchi, ma gli astensionisti sono quelli che decidono le elezioni, nel 2001 e 2008 i delusi dell’Ulivo e dell’Unione, nel 2012 i delusi della Banda Bassotti Bossi-Berlusconi  

*(dall’ultima strofa di Fratelli d’Italia: il sangue d’Italia e il sangue polacco bevè col cosacco ma il cor le bruciò).