di Felice Besostri |

La sinistra in Europa e in particolare la sua parte maggioritaria, malgrado le recenti sconfitte, costituita dai partiti socialisti, socialdemocratici e laburisti del PSE è di fronte ad un bivio. La scelta della direzione da intraprendere  è necessaria a causa  della crisi della Zona Euro e della ormai evidente incapacità delle istituzioni europee di affrontarla e risolverla: le loro ricette di austerità e di taglio indiscriminato  della spesa sociale e di investimenti pubblici sono anzi destinate ad aggravarla, come il caso greco eloquentemente dimostra. La mancanza di una strategia di cooperazione europea è l’handicap da superare, se l’Europa, in questa crisi finanziaria di grande ampiezza, vuole  riaffermare il suo ruolo centrale di strumento di regolazione e protezione. I due consoli, Merkel e Sarkozy, si sono auto attribuiti un ruolo di comando, senza una legittimazione istituzionale, ma soprattutto con una povertà di visione europea dei problemi e perciò condizionati dagli umori dell’opinione pubblica e da una perdita di consenso nei loro paesi.

La Merkel ha perso tutte le elezioni nei Länder, tranne una, dalle federali del 2009 e Sarkozy è dato battuto dallo sfidante socialista Hollande e addirittura minacciato dalla Le Pen per il secondo posto e il successivo ballottaggio. La realtà della UE è ancora marcata dal pensiero unico liberista sostenuto da una maggioranza di governi conservatori, malgrado che la crisi economico-finanziaria del 2008 avrebbe dovuto consigliare di non rivolgersi per curarla  a chi l’aveva provocata. I deficit pubblici di molti Stati hanno diverse componenti,  anche strutturali e di antica data, ma si sono aggravati a causa del salvataggio delle entità bancarie e finanziarie, che non sono state riformate, così come i mercati finanziari sono tuttora largamente sregolati. Il bivio che si presenta alla sinistra è di scegliere se per vincere la crisi, mantenere la coesione politica e sociale, salvaguardando il modello europeo, occorra più Europa o meno Europa con un ritorno  a sovranità nazionali piene.

Nell’anti europeismo i partiti di sinistra rischiano di essere surclassati dai movimenti populisti di destra, xenofobi e nazionalisti, ripeterebbero l’errore, su altro versante, di quando si è inseguito la destra sul terreno della sicurezza. Allora erano le componenti moderate della sinistra a compiere l’errore, mentre sul terreno antieuropeista sono le formazioni di sinistra antagonista a battere la grancassa.  La sinistra riconquisterà consensi se saprà indicare come uscire dalla crisi e non semplicemente denunciando le malefatte del capitalismo. Non deve ripetere l’errore della crisi del 1929, in cui sia i socialdemocratici che i comunisti videro semplicemente la conferma delle loro critiche al capitalismo. Dalla crisi si uscì  grazie alle ricette di Keynes, un liberale, ma soprattutto con la Seconda Guerra Mondiale. Se l’Euro salta, va in pezzi anche l’Europa, un’istituzione con gravi difetti e deficit democratici e troppo condizionata dai centri di potere del complesso industrial-finanziario-miiltare, che si estende ai due lati dell’Atlantico.

L’Europa va riformata, ma non destrutturata, con un ritorno ad una sovranità nazionale ancora più fragile nel mondo globalizzato e con l’emergenza di grandi economie anche in altri continenti. Se il passo per una Federazione europea di 27 Stati appare un ‘utopia, lo è molto meno una cooperazione rafforzata, consentita dal Trattato di Lisbona, tra i paesi della Zona Euro e che può essere approfondita,  anche a livello politico, tra i sei Paesi fondatori più La Spagna, come propone il gruppo francese di riflessione “Inventer à gauche”.. L’asse del integrazione europea e di un coordinamento  dei bilanci, come proporrà la Merkel al prossimo vertice europeo  del 9 dicembre è inaccettabile senza una monetizzazione del debito da parte della BCE, un allungamento al 2016 del termine per il pareggio di bilancio e un piano di rilancio della crescita della crescita finanziato con eurobond emessi sul mercato con l’aiuto della BEI e destinati a progetti di investimento nei settori prioritari della ricerca e dell’insegnamento superiore, delle infrastrutture di trasporto e telecomunicazioni intereuropee, delle energie rinnovabili e nel risparmio energetico  e della protezione ambientale. Un tale progetto non può che essere compito di forze di sinistra e progressiste con matrice socialista. 

La sinistra italiana allo stato è la più arretrata, esclusa come è dal parlamento nazionale e da quello europeo, e per una struttura politica lontana da quella prevalente in Europa, ma tra i suoi meriti storici vi è il Manifesto di Ventotene di Altiero Spinelli e nel campo socialista il pensiero europeista di Eugenio Colorni e Ignazio Silone e una sensibilità internazionalista pacifista e solidaria largamente diffusa in tutte le sue componenti. Questi elementi dovrebbero però fondersi in un progetto politico unitario, largo e plurale e con respiro europeo da sviluppare prima della prossima scadenza elettorale, da celebrare con un’altra legge, e prendendo occasione dal 120° anniversario della fondazione a Genova nel 1892 del Partito dei Lavoratori italiani: ricominciamo da capo e riproviamoci ancora potrebbero essere le parole d’ordine.

Lugano, 1° dicembre 2011