Oggi l’anniversario della nascita di Critica Sociale dalla rivista-madre del repubblicano Arcangelo Ghisleri, “Cuore e Critica”. La radice del riformismo socialista.

Segniamo sul calendario la ricorrenza per compiacerci del fatto che il Primo Riformismo (ce ne sono molti oggi…) si distingue dagli altri per assoluto disinteresse di partito (che fu) e personale (tuttora)

Se e quando così non fosse, non è riformismo autentico. Questo il criterio di misura.

Lo scriviamo per autocelebrazione? No, ma per umiltà di essere una volta ogni vent’anni (ormai 25 anni) ascoltati.

Pochi sanno che tra i ricorrenti contro l’Italicum c’è la Critica Sociale. Critica Sociale è dalla fine degl anni ’90 che titolava “Di maggioritario c’è solo l’astensionismo”. Eravamo nell’agosto del 1998.

Oggi nelle interviste parallele di Renzi e Berlusconi non troviamo niente di nuovo nel primo, un po’ di mestiere nel secondo.
Il primo si rende conto che “politica” è “ideologizzare” quel che si fa. Che brutta parola dietro a cui non c’è chiarezza di idee.

Sulla Critica, dalla fondazione in poi, mai si è detta una schifezza simile. Si dice “Valori”. Ma si dice “Valori” quando i valori ci sono nell’intera persona che si dà alla politica, fino a sfiorare l’impegno politico come impegno morale, altro che ideologico. Quello è un approccio sordo che impone un disegno alla società e non ascolta la società nel suo intimo. E’ cultura cattocomunista tradita dal vocabolario politico, dal lapsus di chi non può dire le cose in altro modo perchè non le concepisce.

Il secondo attende una pronucia della Consulta per una legge elettorale “ordinata e razionale”. C’è da sbarare gli occhi. Il leader di vent’anni guarda l’orologio di una iniziativa che avrebbe potuto promuovere lui stesso con la sua potenza, e che ora ha per le mani per iniziativa di Felice Besostri (che è ormai una specie di Mozart dei ricorsi elettorali, un genio che non sa utilizzare le sue capacità a fini personali) e di un centinaio di sconosciuti in giro per l’Italia, tra cui la direzione della Critica e un po’ di iscritti alla Rivista che ha sospeso le pubblicazioni per mancanza di fondi (per ora!).

Anche qui una perenne mancanza di sensibilità riformista.
E tutti giù a dar di conto, senza aver mosso un dito…

Ora poichè il destino vuole che parliamo prima del tempo con anticipo, che non è una virtù ma una iattura, nel confermare il nostro metodo riformista invitiamo a fare i conti a chi salta sulla congiutura non facendo la storia ma solo segnandola, nella previsione ragionevole predisporsi alle seguenti decisioni della Corte:
1. abrogazione del doppio turno poichè aggira l’incostituzionalità del premio di maggioranza senza soglia. Quindi un turno unico.
2. essendoci un problema di governabilità, il 45-48 per cento è una soglia troppo elevata per un solo partito. Lo raggiungeva la DC negli anni 48-52. Poi nemmeno lei. Dunque il premio andrà al partito o ALLA COALIZIONE, che raggiungeranno la soglia oggi prevista al primo turno.
3. No a candidature a capolista ovunque
4. Per le preferenza c’è il problema che dopo la traversata nel deserto non è cresciuta nessuna nuova classe dirigente, per cui forse sono meglio le liste bloccate. Su questo si legifererà.

Per il resto l’esito della Consulta sarà molto probabilmente tale da darci il “consultellum”. Poichè affidarsi alle intese parlamentari è buttarsi dalla finestra su una materia che fissa le quote di profitto secondo un metodo comune tra soggetti concorrenti. Nemmeno la Costituente sancì un legge elettorale, ma si limitò a condizionarne l’ordinamento secondo i principi (proporzionali).

Ma qui sorge un problema di valori che è solo politico. Un patto del nazareno o di larghe intese favorirà Grillo. A meno che la moralità dell’alleanza sia fondata su un’orizzonte di riforma democratica e repubblicana del fisco, nel segno di un maggiore autogoverno. E da lì, assunto questo punto come cardine di una più ampia Grande Riforma, l’obiettivo di una reale accessibilità allo Stato da parte dei cittadini ( che dello Stato sono stati privati, trovandoselo più come ostile che come cosa propria) attraverso una riduzione del “leverage” della rappresentanza, (un moltiplicatore fuori controllo di deleghe a delegare in ogni anfratto della pubblica amministrazione e del potere) verso un tasso di democrazia più diretta e pagata con un tasso di contributo fiscale autogestito secondo regole e ordinamento pubblico riformati.

Basta così e auguri alla Critica Sociale e a tutti i suoi Amici. Speriamo di non vedere le cose dette tra altri 20 anni.

Per questo un appunto per segnare la data di oggi, 126 compleanno della Rivista del socialismo italiano.