La legge Richetti, se e quando approvata, collocherà i vitalizi e i loro succedanei post-2012 in una gestione separata presso l’INPS: è un indubbio passo avanti, rispetto alle scombiccherate ipotesi che volevano incidere su diritti di cittadini mediante atti interni alle Camere.

La Commissione affari costituzionali era stretta tra due posizioni ugualmente lontane dal merito del problema, perché pesantemente intrise di giudizi di valore sui “vitaliziati”: da un lato la resistenza oltranzista delle ex seconde linee, assurte a difensori dei loro danti causa da cui hanno ereditato la bandiera dell’area politica di riferimento; dall’altro la gogna abolizionista di chi, nell’obolo negato a Belisario, cerca la dissacrazione storica del passato settantennio repubblicano, sulla quale lucrare vantaggi alle prossime elezioni.

L’emendamento 2.40 (Civati ed altri), che cercava di superare quest’alternativa diabolica, non è stato però neppure ammesso al voto. Il testo, assai opportunamente, ripartiva i costi assicurativi e dell’assistenza in forma mutualistica tra i beneficiari, ex parlamentari: un contenuto eterodosso, che denunciava i rischi di far rientrare dalla finestra quello che la maggioranza caccia dalla porta.

Mentre lo spettro dei ricorsi viene agitato dalle opposte fazioni, non è certo consolatorio sapere che una parte del procedimento di determinazione dei futuri trattamenti, per gli ex parlamentari, ricadrà sotto autodichia (articolo 5 del testo). Ciò comporta che il contenzioso continuerà a passare per il giudizio “esclusivo” dei “tribunalini” interni alle Camere: giudici in primo luogo speciali (istituiti dopo l’entrata in vigore della Costituzione) ed in secondo luogo non imparziali né terzi, come ribadito nella trasmissione di maggio di radio radicale sullo Stato del diritto.

Chi invoca l’autonomia normativa delle Camere, per (continuare a) disciplinare “in casa” profili importanti del trattamento riservato agli ex parlamentari, vorrebbe negare al vitalizio la natura di mero rapporto privatistico, acceso a scopi di mutualità tra gli ex parlamentari, senza ingresso di risorse esterne. Ciò comporta il serio pericolo che prosegua l’andazzo corrente: già l’indennità parlamentare, dalla riserva di legge prevista dall’articolo 69 Cost., è di fatto diventata materia disponibile degli Uffici di Presidenza; ora si rischia di ripetere ed aggravare questa forzatura, mantenendo in vita – con una vera e propria sanatoria – tutta la panoplia di delibere interne che regolavano i vitalizi (e che alimentavano la sensazione pubblica di avere a che fare non con un istituto mutualistico, ma con un privilegio gravante sulle casse pubbliche).

Tutte le aporìe, i controsensi e le confusioni – sorte e prosperanti intorno al totem dell’autodichia, a partire dalla sentenza n. 154/1985 della Corte costituzionale – sono apparse puntualmente nel dibattito svoltosi in Commissione sul disegno di legge Richetti: vari parlamentari (anche quelli presenti alla Camera quando furono votati i decreti-legge che imponevano i contributi di solidarietà sui vitalizi) hanno sostenuto la riserva assoluta del Regolamento, di cui all’art. 64 Cost., sulla disciplina degli emolumenti agli ex parlamentari.

L’unica cosa, cui in Commissione non s’è fatto cenno, è che sono già cinque anni che l’assetto costruito sulla sentenza n. 154 è contestato in sede giurisdizionale, a partire da un caso di demansionamento riconosciuto come illegittimo in Senato. Eppure, mettere sul piatto l’argomento autodichia, oggetto della regiudicanda, potrebbe apparire inelegante, dinanzi ad una Corte che ospita alcuni potenziali fruitori della disciplina che Richetti vuole introdurre.

Mentre i ricorsi contro i tetti retributivi, i cumuli pensionistici e le revoche dei vitalizi terminano miseramente la loro storia, con rotonde negative in tutte le giurisdizioni adite, quel demansionamento ancora costringe le massime Corti del nostro Paese ad un imbarazzante non liquet, sotto forma di ripetuti rimpalli tra il Sinedrio e Pilato.

Invece di introdurre la norma dell’articolo 5, sarebbe stato prudente, da parte del Legislatore, evitare di pregiudicare la trattazione dell’ennesima udienza il 26 settembre prossimo a palazzo della Consulta: anche perché le best practices legislative, in casi come questo, consiglierebbero di operare dietro il velo dell’ignoranza.

Giampiero Buonomo

Fonte: Redazione Possibile