di Felice Besostri |

Tra paura del contagio e perdita di centralità delle Camere, iparlamentari a pandemia in corso hanno diminuito la propria attività. stato persino ridotto il numero dei presenti necessari per deliberare. Così il potere legislativo mette a rischio la tenuta democratica.

Siamo in una situazione di emergenza, anche chi scrive è ai domiciliari dalla sera del 6 marzo 2020, senza unprovvedimento di un giudice, ma per un rientro anticipato da Bari dove era stata revocata la sala per una manifestazione a favore del No al taglio drastico dei parlamentari e a cascata di due altri appuntamenti nel week-end in Basilicata. Il mio rientro era previsto il giorno da Salerno: avrei viaggiato in controtendenza alle decine di migliaia in fuga verso il sud, grazie o per colpa di un’anticipata circolazione di un testo di un Dpcm, un acronimo sconosciuto fino a poco tempo fa alla maggior parte dei cittadini.

Il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, questo significa, avrebbe limitato il movimento degli abitanti della Lombardia e di 14 province di Piemonte, Veneto, Emilia-Romagna e Marche, trasformate in un’estesa zona rossa lodigiana. Lemergenza sanitaria e diventata uno tsunami legislativo dal 23 febbraio al i aprile: in poco più di un mese sono stati presentati 8 decreti legge, un decreto del Presidente della Repubblica, 9 decreti del Presidente del Consiglio dei ministri, 2 delibere del Consiglio dei ministri, 19 ordinanze del capo dipartimento della Protezione civile, 2 ordinanze del ministro della Salute, direttive del ministro della Pubblica amministrazione, un decreto dei ministro dello Sviluppo economico, una circolare del ministro dell’Interno e innumerevoli ordinanze di presidenti di Regione e sindaci.

Dei decreti legge uno solo, il n.6 del 23 febbraio (in cui venivano disposte le prime misure di contenimento del contagio, ndr), stato convertito con la legge n.13 del 5 marzo, pubblicata in Gazzetta il 9 marzo. Il problema è che il Parlamento non riesce a tenere iI ritmo del governo. Ci sono ragioni contingenti ed umane, la paura del contagio, ma se la stessa paura fosse stata provata dai medici e dagli infermieri, tra loro si sarebbero sicuramente contate meno perdite, ma sarebbero deceduti migliaia di malati in più rispetto al numero ufficiale di morti per coronavitus, comunque ampiamente sotto-stimato, perché si contano solo i tamponati.

Nella bergamasca, in base al confronto statistico tra i morti di marco 2019 e quelli di quest’anno, si calcola che le persone decedute a causa di Covid-19 siano da 4 a 10 volte in più rispetto alle stime ufficiali nei singoli comuni, con una media di 6 volte di più. Pur tenendo conto che Bergamo è un focolaio con un tasso di mortalità doppio rispetto alla media del resto d’Italia, è una valutazione prudenziale moltiplicare in generale il numero dei morti per tre. La latitanza del Parlamento ha cause strutturali, strettamente collegate con la perdita della sua centralità, che ha indebolito l’ordinamento della nostra Repubblica, democratica con forma di governo parlamentare. La governabilità come idea vincente, che mette al primo posto la stabilità di un governo indipendentemente dalla sua capacità di prendere le decisioni giuste, ha prodotto in Italia leggi elettorali mostruose.

Peggiori dei sistemi uninominali maggioritari all’inglese, perché nel Regno Unito per aver la maggioranza assoluta devi conquistare almeno 326 seggi su 650 (il 51%), uno per uno, e non invece averne in regalo 340 su 630 (il 55%) grazie ad un premio di maggioranza dichiarato incostituzionale con ben due sentenze della Corte costituzione (la 1/2014 e la 35/2017, nda), la prima delle quali che ha messo fuori gioco il Porcellum mentre la seconda, l’Italicum, soffocato in calla prima di essere applicato: un record europeo, forse mondiale. Un record come quello di aver approvato due leggi elettorali incostituzionali consecutive, forse tre con la legge 165/2017, il Rosatellum, che nessun giudice ha voluto mandare in Corte. Il Tribunale di Messina ha respinto un ricorso, ora in appello, Roma ha preso tempo fino al 2 dicembre e a Catanzaro (dopo che un suo giudice si era dichiarato competente per condannare i ricorrenti contro l’Italicum a 8mila euro di spese legali per aver fatto un ricorso infondato) è venuto il dubbio, che non si potesse ricorrere con un rito sommario.

Nei riti sommari decide un giudice unico e non un collegio di tre, un dubbio legittimo anche se ben due giudizi con rito sommario erano approdati in Corte costituzionale, contribuendo all’annullamento parziale dell’Italicum. Anche il Rosatellum ha le liste bloccate multi-candidature uninominali, che dipendono dalla benevolenza dei capi-partito, quelli che hanno il monopolio delle liste e delle ricandidature. Da qui la scarsa motivazione a fare il proprio lavoro e mostrarsi docili ed ubbidienti alle esigenze di non creare problemi. Tre elezioni con il Porcellum (2006, 2008 e 2013) e una quarta con Rosatellum, nel 2018, una legge elettorale approvata con otto voti di fiducia, hanno convinto tutti che il potere risieda nell’organo esecutivo. E difficile in questa situazione sentirsi all’altezza dell’articolo 67 della Costituzione, per il quale «Ogni membro del Parlamento rappresenta la nazione ed esercita le sue funzioni senza vincolo di mandato».

Solo un Parlamento rassegnato e demotivato decide di ridursi del 36,5% in nemmeno otto mesi, che in realtà sono cinque di lavoro effettivo, perché nella revisione costituzionale che ha sancito il taglio dei parlamentari tra la prima e la seconda deliberazione di ogni Camera devono passare almeno tre mesi. Non solo, per dimostrare che son troppi e che devono solo ratificare, i capigruppo e i Presidenti delle Camere decidono che in questo periodo di emergenza i parlamentari si autoriducano del 45% per deliberare, cioè votare senza troppa discussione: presenti in aula non più di 5 per gruppo e in coda per votare disciplinatamente 347 deputati, invece dei 400 ridotti in caso di vittoria del Si al referendum sul taglio dei parlamentari e 180 senatori – se partecipano tutti senatori a vita e di diritto – invece di 206.

Così stato di emergenza, riduzione dei parlamentari e referendum costituzionale si incrociano perché tra provvedimenti presi senza un dibattito pubblico c’è un Dpr del 5 marzo con cui si revocano dei comizi elettorali già convocati e dopo con un decreto-legge n.18 del 17 mano si spostano teoricamente da marzo a ottobre. Un precedente inquietante se fosse applicato al rinnovo del Parlamento. Altro precedente inquietante sarebbe quello di ratificare il decreto n.18 del 17 marzo nelle commissioni, in violazione dell’art.77 della Costituzione.

Meno male che non abbiamo dato i pieni poteri a Salvini.

Pubblicato su LEFT del 10 aprile 2020.