«Un compito per la sinistra nel XXI° secolo Pensare come democratici e come sinistra.
Analizzare le elezioni del 2015 in Spagna per trarne insegnamento politico è un modo di seguire, nel 70° anniversario nel 2016 l’esortazione lanciata da Carlo Rosselli alla Radio di Barcellona il 13 novembre 1936, anche oggi come allora occorre tenere in conto il contesto internazionale, che la lì a poco scateno La Seconda Guerra Mondiale. I tentavi di ricostituire una sinistra politica in Italia sono appena all’inizio e mostrano contraddizioni di fondo. La prima è che, malgrado che la politica economica e istituzionale (legge elettorale e revisione costituzionale) del PD sia il pericolo maggiore per la coesione sociale e la democrazia in Italia, dare per perduti alla causa tutti i suoi iscritti, quadri ed elettori limita a priori l’espansione di un’alternativa di sinistra.

La seconda è che lo spazio politico di espansione è potenzialmente coperto dal M5S, verso il quale ci sono diffidenze e preclusioni, inesistenti o quasi nei confronti di Podemos. La terza. last but not least, è che con i gruppi dirigenti degli spezzoni organizzati esistenti della sinistra, a prescindere da chi si è già chiamato fuori, difficilmente  si annuncia un radioso futuro, ma contro di essi il processo di ricomposizione   unitaria neppure inizia.

La stessa parola “sinistra” è un problema, perché indica una posizione nello scacchiere politico, ma non una direzione di marcia (se fosse tale sarebbe un girare in tondo antiorario) e come aggettivo non è di buon  auspicio. Senza un aggettivo qualificante è quanto di più indeterminato ci possa essere. Edgar Morin [1]  quando parla della sua sinistra, che dovrebbe essere anche la nostra, sicuramente la mia, parla dei suoi filoni ideali storici, comunista, socialista e libertario, che si possono ricomporre finché restano filoni ideali, perché altrimenti hanno segnato drammatiche e talvolta anche sanguinose divisioni quando son diventate pratiche politiche concrete o socialismo realmente esistente. Se dobbiamo, come dovremmo a fronte di un’offensiva planetaria, che mette in discussione non soltanto lo stato sociale, ma la stessa democrazia, trovare una risposta comune, dobbiamo trovare un progetto che ci unisca, altrimenti il peso del passato diventerà un fardello insuperabile e “i morti afferreranno i vivi”.
L’internazionalismo va riscoperto: non possiamo lasciare al loro destino le popolazioni stremate dal sottosviluppo, dalle guerre e dai disastri ambientali per rinchiudersi nei confini nazionali nell’illusione che basta avere una nostra moneta e un nostro orticello democratico nazionale per mettersi al riparo dalle sfide della globalizzazione e dalle manovre di dominio della finanza internazionale. Per ragioni storiche   istituzionali, , culturali e politiche il nostro spazio sovranazionale naturale è l’Europa, che non coincide e non si esaurisce nella UE [2], che necessita di una generale e profonda riforma istituzionale e delle politiche.

Da quando è iniziato questo XXI° secolo la sinistra, in tutte le sue articolazioni, ha conosciuto una serie di sconfitte, quantomeno in Europa, in primo luogo elettorali, ma anche ideologiche quando nella sua componente allora maggioritaria, quella socialdemocratica, non ha reagito alla messa in discussione, in quanto tali,  dell’intervento/controllo pubblico in economia, del welfare state, delle riduzioni delle diseguaglianze nell’istruzione e nella salute e della pari dignità di tutti i cittadini. Anzi con la Terza Via di Tony Blair e il Nuovo Centro di Gerhard Schröder si è cercato di darne dignità di pensiero. A sinistra della socialdemocrazia ci sono stati vari tentativi, di cui solo uno giunto al governo in Grecia con Syriza. In ogni caso è un dato che i voti persi dai partiti socialisti democratici soltanto in parte si sono trasferiti alla loro sinistra o ai Verdi, piuttosto hanno alimentato l’astensione, quando non si sono trasferiti a formazioni demagogico-populiste.  Le elezioni federali tedesche del 2009 sono uno degli esempi più eclatanti dell’assunto.
Nel 2009, dopo la prima Große Koalition a guida Merkel, la SPD di Schröder prese, nella quota proporzionale, 9.988.843 voti (nel maggioritario 2 milioni e mezzo di voti in più), corrispondenti al 23% e 193 seggi. Rispetto al 2005 la Spd perse 6.205.822 voti,11,2 punti percentuali e 76 seggl. La Linke, sempre nel 2009, superò per la prima volta lo 11% con un 11,7%, calcolato su 5.153.884 voti nel proporzionale (nel maggioritario 363.877 voti in meno), 76 seggi (+21 rispetto al 2005).  Le perdite SPD sono andate in soltanto in parte alla Linke e ai Verdi, complessivamente un terzo, 2/3 rifluirono nell’astensione. Lo stesso fenomeno si è verificato più recentemente al primo turno delle Regionali in Francia, la pesante sconfitta del PS è stata accompagnata da ancora peggiori risultati di ecologisti e sinistra comunista o alternativa. La dinamica unitaria al secondo turno ha consentito di riconquistare 5 Regioni, grazie alla possibilità di fare alleanze e presentare nuove liste tra un turno e l’altro: una facoltà negata dell’Italicum e dalle leggi elettorali regionali, come la toscana, che prevedono un ballottaggio eventuale. In Francia l’esportazione dell’Italikum sarebbe stato un regalo per le due destre.

La Spagna è un caso più complesso, dal quale possono venire indicazioni, però bisogna partire da lontano e non ridurre la storia alla cronaca dell’ultimo successo di una nuova formazione, come Podemos, il nuovo faro di Capo Speranza, dopo Syriza, per una frustrata sinistra italiana, che nelle prossime elezioni politiche nazionali (2017? 2018?) vede avvicinarsi lo spettro del 2008 con l’esclusione dal Parlamento. Nel 2013 una parte della sinistra fu salvata da un premio di maggioranza incostituzionale. La soglia ribassata al 3% si deve sperare non costituisca una tentazione per salvare una testimonianza parlamentare per pezzi di sinistra, per di più in concorrenza tra loro (Sinistra Italiana, eredi delle liste Altra Europa, Civati e il suo Possibile movimento).
Nel post-franchismo le previsioni in Italia erano per uno scenario all’italiana democristian-comunista, rappresentato dai 2 personaggi in assoluto più intervistati, Joaquín Ruiz Jimenez e Santiago Carrillo. Il successo del PSOE (“operaio” che nome arcaico!) e di Felipe Gonzales rappresentò una sorpresa che raggiunse il suo apice nel 1982. Su 21.469.274 votanti, il 79,97% degli elettori, con 10.127.392 voti i socialisti erano il 48,11% e con 202 seggi su 350 godevano di un’ampia maggioranza assoluta. Il PCE ottenne appena 4 seggi (23 nel 1979) con il 4%( 10,77%-1979) e 846.515 voti. Il sistema elettorale spagnolo composto da piccole circoscrizioni provinciali, con l’eccezione di Madrid (36 seggi) e Barcellona (31), punisce i partito nazionali con consenso diffuso e premia i partiti regionali, [3] tra i quali il PSUC (Partito Socialista Unificato di Catalogna), che elesse 8 deputati nelle elezioni generali del 1977 e 1979 federato al PCE.

Nelle elezioni generali successive il PSOE non si avvicinò mai a quei risultati ed alla maggioranza assoluta in solitario, neppure con il secondo governo Zapatero uscito dalle elezioni generali dei 2008 con 11.289.335 voti, in valori assoluti il migliore risultato socialisti, ma con 4 milioni di elettori in più e, infatti con 169 seggi e il 43,87% rimase al di sotto della maggioranza assoluta. Alla sua sinistra la coalizione IU-ICV (Sinistra Unita – Iniziativa per la Catalogna Verdi)  aveva poco da festeggiare  con il 3,77% dei voti e 2 seggi, molto lontano dai risultati migliori della sola IU con Anguita con  voti 2.639.774 (1996 vittoria del PP) e 2.253.722  (1993 ultimo governo PSOE  con Gonzales). Il secondo governo Zapatero è stato il canto del cigno dei socialisti: hanno pagato il prezzo della mancata comprensione della crisi economica e della politica di rottura con i sindacati con il risultato di perdere il sostegno della UGT e di favorire l’unità di azione del sindacato socialista con le CC.OO. (Commissiones Obreras). La rivolta con il movimento degli indignados, il brodo di colturadi Podemos e Ciudadanos, paradossalmente si tradusse in una vittoria del PP con la maggioranza assoluta nel 2011 e la conquista nelle elezioni successive, di molte delle Comunità Autonome già socialiste. Un fenomeno nuovo fu il numero degli astenuti che supererò gli 11 milioni (nel 1982 erano stati 5milioni e 300 mila) dato confermato nel 2015 malgrado l’aumento dei votanti dal 71,69% al 73,20%. Quindi il successo di Podemos e, in minor misura rispetto alle previsioni, di Ciudadanos non si spiega con il recupero dell’astensionismo, ma deriva da una redistribuzione dell’elettorato che non ha colpito soltanto il bipolarismo PP-PSOE, ma anche i Partiti nazional-regionalisti, tradizionale puntello dei governi quando PP o PSOE non avevano la maggioranza assoluta. Ora si aprono diverse prospettive, che dipendono dai punti di vista dell’osservatore, anche se a sinistra, [4] in Italia, si concentra l’attenzione su Podemos e su come sia possibile  imitarlo, anche in assenza di un leader come Pablo Iglesias, di cui trovo significativo e simbolico che abbia lo stesso nome del mitico fondatore del PSOE nel 1879 e della UGT nel 1888, come se a capo della nuova formazione di sinistra ci fosse un Filippo Turati o, ancora meglio e finalmente una donna, Anna Kuliscioff.

Le carte in mano della soluzione politica ce le hanno Podemos e il PSOE, e questo apre finalmente delle nuove prospettive per la sinistra e non solo in Spagna, malgrado che la somma dei voti di Podemos e Psoe (10.720.026), non raggiunga quella di PSOE e IU [5] nel 1993 e nel 1996, ma neppure quelli del solo PSOE nel 2008 e superi quelli del solo PSOE del 1982, ma con 3 milioni di votanti in più e totalizzando 159 seggi, e un 43% scarso invece del 48% abbondante. Si aprono prospettive, perché per la prima volta i voti si potrebbero politicamente sommare, cosa esclusa dei voti PSOE-PCE ed anche PSOE-IU.  Le ragioni erano in parte storiche, nascenti dai conflittuali rapporti sotto la Repubblica e durante la Guerra Civile, dalla concorrenza tra i sindacati UGT e CC.OO.e dalla condizione di egemonia del PSOE, paragonabile all’egemonia socialista democratica nell’Europa Centrale (Austria e Germania) e settentrionale (Scandinavia) e laburista in Gran Bretagna. Con la divisione dell’Europa in blocchi contrapposti, all’egemonia social-laburista, con eccezioni (Italia p.es.) ad Ovest si contrapponeva senza eccezioni un’egemonia comunista nell’Europa Orientale, di cui erano state espressione le unificazione forzate in DDR (SED), Polonia (POUP) ed Ungheria (POSU), qundo non la repressione pura e semplice (Bulgaria e Romania). Paradossalmente il crollo del Muro di Berlino non ha fatto venir meno solo l’egemonia comunista ad Est, ma diede l’inizio all’indebolimento generalizzato dei partiti socialisti democratici e laburisti ad Ovest. Il peso del passato è stato tale che in Germania nelle elezioni federali del 2005, pur essendoci una teorica maggioranza assoluta in seggi in un Bundestag con 614 membri tra SPD (222), Verdi (51) e Linke (54),  la SPD scelse una Große Koalition, che la indebolì ulteriormente nel 2009.[6]

Le turbolenze economiche hanno determinato scenari di instabilità politica e l’entrata in scena di nuovi soggetti politici, che troppo spesso sono liquidati sotto l’etichetta unificante di populismo, qundo l’unico elemento in comune è la contrapposizione all’establishment. Ci sono due scenari uno difensivo che a livello europeo è espresso dalla diarchia PPE-PSE, con un’egemonia del primo, che si esprime non solo nelle scelte politiche, ma anche negli assetti dei vertici (Presidente della Commissione Europea, Presidenza del Consiglio Europeo, Vice-Presidente della C.E. e  Alto Rappresentante UE  PESC e Presidente del Parlamento), ma soprattutto nel peso crescente degli accordi  tra Stati, dove l’egemonia conservatrice è senza discussione: sono molto lontani tempi come il 1999, quando nell’Europa a 15 ben 13 primi ministri erano espressi da partiti del PSE e un quattordicesimo era il  Prodi dell’Ulivo. Nell’Europa a 28 si contano sulle dita di una mano e per di più l’unico di un paese importante per gli assetti europei come la Francia, in fase declinante. L’altro scenario è quello della costruzione di un’alternativa alle politiche di austerità, di smantellamento dello stato sociale e di subordinazione politica all’ordoliberismo, in altre parole ai centri di potere del complesso militar-industriale delle multinazionali e della finanza internazionale e dei governi che ne sono espressione, compreso il nostro, che, detto per inciso, non è uno di quelli che detta la linea nemmeno nelle relazioni internazionali: senza l’adesione al PSE non avrebbe avuto l’incarico della Mogherini.

Il rafforzamento degli esecutivi a danno degli organi rappresentativi e delle Costituzioni è il pericolo maggior e quello più imminente da contrastare: senza uno spazio democratico nazionale ed europeo non c’è più storia e nemmeno speranza.
Le elezioni spagnole, come prima quelle greche e più recentemente portoghesi e i cambiamenti nella leadership del Labour Party, rappresentano un elemento di disturbo e per questo si è scatenata un’offensiva mediatico-politica per un governo di responsabilità e stabilità nazionale PP-PSOE, il cui significato è reso ancor più palese nella valorizzazione a sproposito dell’Italicum, come panacea universale e segno delle  “riforme” da fare, tra le quali quelle costituzionali, che sono esattamente nel senso di rafforzamento degli esecutivi. Il ruolo di avanguardia non ha caso è di Renzi, il leader del più forte partito del PSE, se non come iscritti, come consenso elettorale alle europee in voti e percentuale. [7]
L’alternativa ad una grande coalizione PP-PSOE allargata a Ciudadanos, 252 seggi totali (altrimenti non si raggiungono i 3/5 o i 2/3, secondo i casi, previsti dall’art. 167 della Costituzione per la sua revisione) è un accordo PSOE-Podemos (159 seggi) con il sostegno dei partiti nazional-regionalisti (26) e di UP-IU (2).

Si tratta di un’occasione unica e non ripetibile, anche se difficile, grazie all’insuccesso delle previsioni preelettorali che prevedevano un successo maggiore di Ciudadanos e un PSOE al 20% superato sia da Ciudadanos che da Podemos. Si fossero realizzate quelle previsioni un accordo PP-Ciudadanos ora con163 seggi, non era da escludere e poteva avere la maggioranza assoluta. Tuttavia non è possibile prevedere scenari soltanto sommando il numero dei deputati, senza valutare la loro capacità di coalizione. Il Gruppo parlamentare socialista è unitario, ma contro un’alleanza con Podemos si è espressa la presidente dell’Andalusia, contraria all’indipendenza della Catalogna: la proposta di referendum sull’indipendenza formulata da Iglesias perché, a mio avviso erroneamente, è stata ritenuta con esito scontato se limitata ai catalani. I 69 seggi di Podemos sono la somma di 4 liste: Podemos con 47 seggi, En Comun Podem (Catalogna) con 12, Compromis-Podem-Es el moment (Comunidad  Valenciana) con 9 e En Marea (Galizia) con 6.  Podemos e le 3 liste della Coalizione sono le lista di maggioranza relativa nelle 4 Comunità Autonome caratterizzate da una lingua ufficiale propria accanto allo spagnolo: Catalogna, Comunidad Valenciana, Galizia e Paese Basco. In un accordo a sinistra si deve tener conto anche di UP-IU, malgrado che Podemos abbia rifiutato un accordo generalizzato con UP che le avrebbe consentito un risultato più consistente. Accordi si sono fatti nelle Comunità autonome della Catalogna e della Galizia, infatti in queste circoscrizione UP non ha presentato liste di candidati proprie, ma candidati nelle liste coalizzate con Podemos. Un clima  diverso a sinistra si potrà verificare fin dalla formazione degli organi del Congresso dei Deputati la Presidenza, cui aspira il PSOE, e l’autorizzazione alla formazione di gruppi parlamentari   sia per UP, che ha bisogno di una deroga non avendo 5 deputati,  e le tre liste in coalizione con Podemos, che hanno i requisiti numerici, ma si scontrano con una norma del Regolamento che impedisce agli iscritti a un stesso partito politico di iscriversi a gruppi parlamentari diversi e tra gli eletti delle liste coalizzate ci sono membri di Podemos.

Allo stato la questione che ha impedito l’avvio di negoziati PSOE-Podemos sono una formale, che secondo il PSOE spetta al partito di maggioranza relativa tentare la formazione del Governo, e l’altra di sostanza politico programmatica, cioè l’insistenza di Podemos sulla consultazione referendaria sull’indipendenza catalana: siamo già in un vicolo cieco, perché le liste alleate a Podemos non permetteranno una rinuncia sul punto. Inoltre, tra i partiti nazional-regionalisti, o partiti catalanisti contano 17 seggi, 9 di ERC e 8 di DiL, il partito erede di CiU, senza i quali non c’è la maggioranza assoluta di 176, necessaria in prima battuta per dare la fiducia al governo e per approvare le leggi organiche in materia di diritti fondamentali, libertà pubbliche, approvazione degli statuti di autonomia e di regime elettorale generale. La mancata investitura di Arturo Mas alla presidenza della Generalitat, per l’intransigenza della CUP provocherà elezioni anticipate in Catalogna, quindi è escluso che i partiti catalanisti possano appoggiare un Governo che escluda una consultazione sull’indipendenza. Per il resto, invece, il PSOE è d’accordo per modificare la riforma del lavoro, abrogare la legge sulla sicurezza cittadina, impedire la separazione degli itinerari scolastici, creare un Reddito Minimo Vitale. La maggioranza nel Congresso dovrebbe poi fare i conti con il Senato, nel quale il PP con 124 seggi ha avuto il 60% della componente elettiva e fino al prossimo rinnovo delle comunità autonome godrà della maggioranza assoluta anche grazie agli alleati di Navarra (UPN), Cantabria (FRC) e Aragona (PAR), coi quali ha presentato liste anche per il Congresso dei Deputati. Nell’ anno 2016 si voterà soltanto in Catalogna, nel Paese Basco e in Galizia.

Un’intesa PSOE- Podemos nella situazione data avrebbe un significato politico per eventuali elezione anticipate. Infatti la Spagna per avere un governo espressione di una minoranza non ha bisogno di importare l’Italikum per seguire i consigli del prof. Panebianco e di Paolo Mieli. Infatti se un candidato Primo ministro non raggiunge la maggioranza assoluta alla prima votazione, può essere rivotato dopo 48 ore e basta la maggioranza semplice (art.99 c. 3 Cost.). La maggioranza semplice è sufficiente anche nei casi in cui la fiducia sia posta dal Governo (art.112 Cost.), mentre se è l’opposizione a presentare una mozione di censura questa deve ottenere la maggioranza assoluta e includere la proposta di una candidatura alla Presidenza del Governo (art. 113 c. 1 e 2 Cost.): per avere un governo stabile non è necessario alterare la rappresentanza con premi di maggioranza o ballottaggi farlocchi.
Il PSOE e Podemos sono concorrenziali, i socialisti delusi lo hanno votato, ma anche incrementato l’astensione, se saranno capaci di dimostrare che sono un’alternativa di governo al PP, ne avrebbero un beneficio in caso di elezioni. PSOE e PP sono anche complementari, perché il PSOE ha più voti di Podemos in 10 comunità autonome su 17, 15 se si escludono le città di Ceuta e Melilla e ha eletti in tutte le circoscrizioni provinciale della penisola iberica, mentre Podemos è assente in 12 e in 11 ha rappresentanti grazie alle liste coalizzate in Catalogna, Comunità Valenciana e Galizia.  Solo il PSOE supera il 30% in 2 comunità autonome e ha una percentuale compresa tra il 20 e il 30% in 11 a fronte delle 5 di Podemos, che salgono a 8 con le liste coalizzate.

La somma dei voti di PSOE e Podemos batte sempre il PP tranne che a Murcia, Ceuta e Melilla. Fin dal dicembre 2014 Sanchez ha riconosciuto che Podemos sia passato dal “socialismo bolivariano” al “socialismo scandinavo”. Non ci si deve far impressionare dalla affermazione che Podemos non è né   di destra, né di sinistra: basta intendersi sul significato. In Podemos l’affermazione è stata sempre accompagnata da altre   come che la contrapposizione fondamentale non è sinistra-destra, ma dittatura-democrazia (”el eje fundamental es dictadura-democracia”) e che Podemos  deve essere capace di costruire un linguaggio che emozioni e mobiliti e lavorare con gente di diversi ambiti e convertire “la maggioranza sociale che esiste in maggioranza politica”. Per conseguire questo obiettivo Podemos deve “ocupar la centralidad del tablero”, dove è importante distinguere tra “centrale” e “centrista”, che è un altro modo di non essere di destra o di sinistra. Essere al centro della scacchiera significa essere capaci di fare alleanze e in questo Podemos si distingue da M5S, anche se le alleanze le ha concluse solo in situazioni particolari nelle Comunità Autonome con presenza di nazionalità, esclusa quella basca, dove comunque è il partito di maggioranza relativa. In Italia ci sono minoranze linguistiche discriminate, di una certa consistenza in Friuli e Sardegna, ma non sono rappresentate da partiti identitari, escluso il Partito Sardo d’Azione. La capacità di coalizione di Podemos deve, invece, essere messa alla prova quando si tratta di interlocutori politici come il PSOE e UP-IU. A sinistra occorre saper trovare forme di cooperazione tra partiti e movimenti è un problema non solo spagnolo e italiano, ma europeo.

In Spagna il problema è posto ora grazie al risultato elettorale non corrispondente ai pronostici. In Italia riguarderebbe una formazione unitaria e plurale a sinistra del PD e M5S in una prima fase proprio per salvare la democrazia costituzionale. La promozione del referendum costituzionale sarà un fatto istituzionale, cioè richiesto dai parlamentari di opposizione, o anche di mobilitazione popolare? La risposta non può che essere la doppia richiesta, anche per contrastare la disinformazione. Proprio la vicenda spagnola ha messo in luce che c’è un Partito del Pensiero Unico Nazionale, che conta sulla disinformazione per far passare l’idea, che l’Italikum è la migliore legge possibile. In Spagna la fiducia è data al solo Presidente del Governo non a una coalizione. Sono anche possibili governi di minoranza che non possono essere abbattuti se non da una maggioranza, assoluta costruita intorno un altro Presidente del Governo. Se non c’è nemmeno una maggioranza semplice intorno ad un Presidente entro 2 mesi dalla prima votazione si va ad elezioni anticipate. Con il Porcellum il PP avrebbe avuto la maggioranza assoluta, che gli elettori gli hanno negato, con l’Italikum ci sarebbe stato un ballottaggio PP-PSOE, cioè tra i grandi sconfitti a prescindere dal fatto, che i comportamenti elettorali sono influenzati dalla legge elettorale esistente e quindi non era detto che il ballottaggio sarebbe stato PP/PSOE.

Un accordo PSOE- Podemos è possibile soltanto sulla base di un grande progetto di cambiamento, che abbia ben presente il quadro politico europeo: una rigenerazione politica di tutti i soggetti in campo a cominciare dal PSE ma anche della Sinistra Unita Europea, se l’espansione della sinistra alternativa dovesse dipendere dallo sfaldamento socialista è inevitabile la vittoria delle destre. Occorre avere ben chiare le priorità e quale sia il pericolo maggiore per le masse popolari.
Se si è convinti che siamo di fronte ad un attacco generalizzato alla democrazia, perché il rafforzamento degli esecutivi è la strada obbligata per far passare le politiche di austerità, controllare il disagio sociale con leggi eccezionali di repressione del dissenso e i fenomeni migratori con la chiusura delle frontiere, l’unità per difendere gli spazi democratici è una scelta obbligata. Nel periodo tra le due guerre mondiali del XX° secolo l’offensiva fascista e nazista fu sottovalutata e in Germania e in Italia la sinistra socialista e comunista si divise. Anche allora la crisi economica e politica si alimentavano a vicenda e sfociò in una guerra. A differenza di allora i cittadini europei non devono temere forme violente e generalizzate, ma già gli extra- comunitari è non ne sono al riparo: il “Mostro è Mite” per usare l’espressione di Raffaele Simone.[8]
In tutti i paesi europei si rafforzano gli esecutivi di pari passo con il peso crescente delle organizzazioni e istituzioni internazionali, nelle quali gli Stati sono rappresentati, quasi esclusivamente dai loro Governi e si rafforzano movimenti politici non vincolati ai valori democratici, ma identitari quando non apertamente xenofobi. Non ne sono risparmiati paesi di antica e consolidata democrazia, come Gran Bretagna, Francia, Finlandia, Danimarca: persino la Norvegia non è stata vaccinata dalla strage di Utøya.[9]
La crisi economica, che non è solo finanziaria e produttiva, ma anche politica, sociale e morale richiede un nuovo modello di società che aumenti le libertà e diminuisca la diseguaglianza: questa è la sfida alla sinistra, che non può essere superata senza una nuova dinamica unitaria. Ai partiti socialisti deve essere richiesto di ritrovare le ragioni della loro diversità dal capitalismo e alle altre componenti della sinistra di superare il settarismo e le tentazioni autoreferenziali. Quest’anno cade il centenario della conferenza di Kienthal (24-30 aprile) sarebbe il caso di far rivivere quello spirito, se non vogliamo rinunciare alla speranza di una società più giusta e libera e senza l’incubo di devastanti cambiamenti ambientali, minaccia alla stessa sopravvivenza dell’umanità.

Milano 6 gennaio 2016

Felice Besostri

[1]Edgar Morin, Ma Gauche, Bourin, Paris, 2010

[2]Le critiche al processo di integrazione europea e alle sue politiche, in particolare alla decisione di dar vita all’€uro, di Vladimiro Giacchè, inTitanic Europa(2012), e Costituzione italiana contro Trattati europei(2015)   sono largamente condivisibili, ma l’alternativa è un’altra Europa, non nessuna.

[3]Per avere un’idea della distorsione: nelle ultime elezioni 2015 UP-IU ha ottenuto 923.105 voti a livello nazionale, mentre En Comun Podem 927.940 nella sola Catalogna. UP-IA ha ottenuto 2 deputati eletti nella circoscrizione di Madrid, di contro En Comun Podem 12 deputati e 4 senatori nelle 4 circoscrizioni catalane.

[4]Continuo a usare, in attesa di tempi migliori, questa espressione per semplicità, che è una semplificazione, malgrado la sua ambiguità per chi crede ancora nella necessità di una società libera, ugualitaria e solidale, cioè in una prospettiva socialista di superamento del capitalismo. Socialismo e sinistra non sono la stessa cosa, sul punto rinvio a Jean-Claude Michéa, I Misteri della Sinistra, Dall’ideale illuminista al trionfo del capitalismo assoluto, Neri Pozza, Vicenza, 2015

[5]1996: 12.065.402 e 162 seggi, 1993: 11.403.805 e 176 seggi (la maggioranza assoluta)

[6]Maggioranze tra SPD e Linke ne sono state sperimentate a livello di Land, il più importante Berlino, ma ne sopravvive solo una, anche per la semplice ragione che non hanno trovato il conforto delle urne nelle successive elezioni.

[7]Europee 2014 PD voti 11.203231, 40,81%, votanti 57,22 %, SPD voti 8.003.628, 27,3%, votanti 48,1%. Ultime elezioni nazionali PD voti 8.644.523, 25,43 %, votanti 67,39%, SPD 11.252.215, 25,7%, votanti 71,5 %.

[8]Raffaele Simone, Il Mostro Mite, Garzanti, Milano, 2008

[9]Luca Mariani ,Il Silenzio sugli Innocenti .Le stragi di Oslo e Utøya, Ediesse, Roma, 2013