«Per un modello sanitario pubblico sano, forte, capace di funzionare a vantaggio di tutti

1. Premessa

Il Manifesto per la salute ha avuto origine da un’esigenza molto forte da parte delle associazioni che si battono per i diritti degli anziani, specialmente per quelli affetti da stati di inabilità e da patologie croniche:  è l’esigenza di potersi misurare su un piano di parità con le forze politiche per ottenere un sistema sanitario e assistenziale rispondente concretamente alle necessità della popolazione.

La prima iniziativa rivolta a questo obiettivo è stata realizzata nel gennaio del 2003 da una quarantina di associazioni, sia di ispirazione laica che cattolica, elaborando e pubblicando   un documento sulla sanità sottoposto ai partiti con la richiesta  che ci si confrontasse sui suoi contenuti.

Le iniziative ed i dibattiti succedutesi hanno generato un ampia rete di associazioni, comitati, sindacati, uomini politici e medici che nel periodo settembre-dicembre 2004 si sono riuniti sotto il nome di Tavolo di Confronto producendo una ricca serie di documenti sulle problematiche sanitarie.

Epilogo di questo processo è stata l’elaborazione di un  Manifesto della salute e la successiva sintesi costituita da questo documento, che non esprime semplicemente un’elaborazione sulle problematiche della sanità, ma è un manifesto enunciato da un insieme di rappresentanze sociali e politiche che vogliono un servizio pubblico partecipato.

2. I Principi

Premessa necessaria per qualsiasi programma che riguardi il sistema sanitario è l’affermazione che la salute è un diritto da garantire, e non un bisogno da soddisfare. Ne consegue che esso deve essere garantito dallo Stato, che assegna a tale scopo le risorse necessarie, in rapporto alla ricchezza della nazione.Caratteristiche di questo diritto debbono essere l’universalità-nessuno può essere escluso; la equità-l’accesso deve essere garantito indipendentemente dal reddito; e l’uguaglianza-tutti debbono ricevere il trattamento più adeguato.Concordemente con l’affermazione che è meglio restare sani che ammalarsi, deve essere dato largo spazio alla prevenzione:  nel contempo va assicurata l’appropriatezza degli interventi volti alla cura, al recupero e all’assistenza.Secondo il principio di equità, chi più ha più deve contribuire. Perciò il Servizio Sanitario Pubblico deve essere finanziato attraverso la fiscalità generale, senza ulteriori contributi da parte dei cittadini. Spetta allo Stato garantire l’uguaglianza delle prestazioni, eliminando le disparità di trattamento fra regioni povere e regioni ricche. Alle regioni il compito di organizzare i servizi, coinvolgendo i comuni nella programmazione e nel controllo delle attività sanitarie.La programmazione deve avere al centro il cittadino, e deve fondarsi su interventi di medicina di base che vedano protagonisti il distretto e il medico di famiglia. Ai piccoli ospedali spetta il compito di integrare gli interventi di primo livello, lasciando alle strutture di alta specializzazione compiti di supporto commisurati alle esigenze della popolazione servita.e’ essenziale  infine garantire ai cittadini il diritto di partecipare alla elaborazione dei programmi e alla definizione della rete dei servizi  necessari nelle diverse zone.

2. Il bene salute secondo i liberisti

La proposta neoliberista in sanità punta all’efficienza economica del sistema, trascurandone l’efficacia complessiva(effectiveness). Essa poggia sull’assunzione che l’ingresso del privato in sanità sia la soluzione automatica di ogni problema, grazie alla forza dei meccanismi autoregolatori del mercato. Su questa base sono state introdotte riforme in tutta Europa; a distanza di qualche decennio è possibile verificarne il risultato.Nei paesi dell’Est la privatizzazione ha distrutto il sistema sanitario pubblico e ha contribuito, assieme al disastro economico che ha accompagnato la caduta del comunismo, al peggioramento delle condizioni di vita delle popolazioni, come dimostra la ricomparsa di malattie quali la tubercolosi e la difterite.

Nell’ovest il nuovo sistema non ha affatto migliorato, complessivamente, la salute delle popolazioni; anzi, ha accentuato le differenze, anche sotto questo aspetto, fra ricchi e poveri, fra le classi abbienti e i disagiati..

3. Il caso Lombardia

L’aumento del benessere generale e l’applicazione della legge di riforma sanitaria 833 aveva prodotto un notevole allungamento della speranza di vita di tutta la popolazione regionale, in media un anno in più per ogni cinque anni di calendario. Il passaggio al nuovo modello di Sanità mostra, al contrario, un effetto differenziato per le classi di reddito: per i più agiati, la speranza di vita continua a crescere, mentre per le classi meno abbienti resta ferma, o addirittura si accorcia. Nella Lombardia, in particolare, si può notare una forte differenza dei tassi di mortalità e di patologia rispetto alle altre regioni europee che hanno paragonabili livelli di reddito. Per quanto riguarda i tumori, in particolare, accanto ad un forte aumento della sopravvivenza dopo la diagnosi, si registra un elevato incremento di nuovi casi, superiori a qualsiasi altra regione italiana.

Questi fatti, assieme all’invecchiamento della popolazione, comportano crescenti costi sanitari, a meno che non si inverta la rotta, puntando su investimenti in prevenzione e  su una accorta programmazione sanitaria. Al contrario, la riforma del sistema sanitario attuata da Formigoni, il cosiddetto “modello lombardo”, non è altro che l’applicazione pedissequa, ideologica e quindi scollegata dalla realtà, dei dettami del Fondo Monetario Internazionale, applicati in tutta Europa, a partire dall’Inghilterra governata dalla Tachter. Essa si basa sull’introduzione di logiche di mercato (internal market) con separazione fra il fornitore (erogatore) di prestazioni e finanziatore/acquirente (purchaser/provider split o pps) e cioè fra ASL-USL  e aziende ospedaliere pubbliche e private.

Il finanziamento degli enti erogatori (ospedali, case di cura, ecc.) non avviene sulla base della spesa storica o dei bisogni della popolazione, ma a prestazione, secondo il metodo dei cosiddetti DRG introdotti in Italia qualche anno fa. Per far ciò, sono stati introdotti i cosiddetti DRG (una specie di listino in cui sono elencate tutte le prestazioni effettuabili ed i relativi prezzi), cioè gruppi di prestazioni correlate alla diagnosi, a cui viene corrisposto un controvalore economico.

Le strutture pubbliche sono state “aziendalizzate” e contrapposte a quelle private (convenzionate), in una logica di mercato.

Questo modello, contrariamente a quanto ufficialmente dichiarato, ha comportato un forte aumento delle spese, contemporaneamente alla rinuncia a una programmazione efficace e alla diminuzione delle prestazioni utili. Le cause erano facilmente prevedibili. L’ospedale e le altre strutture sanitarie private non erogano mai l’intero arco delle prestazioni: si limitano a quelle più convenienti individuate nell’elenco ( DRG) definito dalla Regione Lombardia.

Da parte sua l’’ospedale pubblico si adegua, oppure è destinato a soccombere alla concorrenza, perché costretto ad erogare prestazioni non remunerative (gli istituti privati, invece, appunto perché tali, non essendo sottoposti a nessun controllo,possono scegliere ciò  che più aggrada loro: principio della libertà scelta propugnato da Formigoni), come nel caso, ad esempio, del Pronto Soccorso.

D’altro lato, i privati tendono a moltiplicare interventi inutili, se questi sono remunerativi: il caso Galeazzi ( utilizzo inutile delle camere iperbariche) è, in questo senso, esemplificativo. Il meccanismo di pagamento a prestazione, infine spinge a privilegiare interventi sempre più specializzati, con impiego di attrezzature sempre più sofisticate ed ulteriore aggravio dei costi.

I rimedi messi in atto in Lombardia a partire dal 1992  per riequilibrare i conti sono disastrosi  sul piano sociale: si introduce la compartecipazione alla spesa da parte dei malati attraverso i ticket o “user fees”, si pone un tetto alle prestazioni, si riducono gli interventi di confine con l’assistenza, quali quelli assicurati dall’ADI ( Assistenza Domiciliare Integrata) e dai consultori. La carenza di efficacia complessiva del Sistema Sanitario così ristrutturato è stata messa in luce, tra l’altro , dalla prima emergenza, neppure clamorosa, capitata due anni fa; l’emergenza caldo:  l’impossibilità di intervenire, in qualsiasi modo, per alleviare le sofferenze di migliaia di anziani deceduti a causa delle temperature elevate.

4. Proposte

1. Niente ticket, niente liste d’attesa, cure odontoiatriche gratuite, più riabilitazione

In quanto strumento iniquo e non efficace per il controllo della domanda di prestazioni e dei farmaci, i ticket devono essere eliminati.

Nello stesso tempo occorre rendere più efficace l’attività di prevenzione e di cura per le patologie odontoiatriche, a partire da adeguati programmi di educazione nella scuola dell’obbligo: per situazioni personali e familiari di disagio economico, in base a parametri ISEE (è un sistema per la misurazione del reddito), occorre prevedere anche per i denti cure gratuite. Infine, va incrementata l’offerta di servizi in tutte le forme di riabilitazione (motoria, neurologica, cardiaca e psichica), oggi raramente disponibili come cure gratuite.

Parallelamente verranno ridotte le liste di attesa che in molti settori, nonostante i ripetuti annunci di Formigoni, risultano oggi sproporzionate alle esigenze di salute.

L’obiettivo di questi interventi è di ridurre drasticamente il ricorso sempre più frequente alle prestazioni a pagamento per accedere a visite ed esami che diversamente possono essere ottenuti in tempi troppo lunghi. Comportamenti di questo tipo, come è ovvio, pesano particolarmente sulla quota più disagiata della popolazione, negando di fatto l’universalità e l’equità del servizio sanitario regionale.

In linea con questi interventi, La Regione Lombardia si impegna a ridurre la spesa sanitaria strettamente privata. Come è noto, tra tutti i paesi europei l’Italia è quella dove la quota di denaro destinata alla salute che esce direttamente dalle tasche dei cittadini è la più alta, avvicinandosi ormai al 30% del totale. In questa situazioni il divario tra le classi sociali e la sofferenza di quelle dotate di scarse risorse abbienti tendono ad aumentare, imponendo al Servizio sanitario la studio di interventi in grado di riconvertire il sistema di salute a criteri di equità.

2.  Più spazio alla prevenzione

La Lombardia considera la prevenzione come un obiettivo primario, cui riservare investimenti non inferiori al 5% del fondo regionale. Saranno programmati specifici ‘Progetti Obiettivo’, fondati sulle indicazioni di un Osservatorio Epidemiologico Regionale integrato con l’Agenzia Regionale Protezione Ambiente (ARPA), e raccordati con l’attività di Province e Comuni, mirata a tutelare il territorio e l’ambiente e a migliorare le condizioni di vita dei ceti più svantaggiati. Esempi: la tutela nei luoghi di lavoro e una sana alimentazione.

In Lombardia verrà sostenuto il principio del rischio zero relativamente all’esposizione a sostanze tossiche e/o cancerogene e verranno avviati  programmi complessivi di bonifica ambientale e di riconversione ecologica delle attività industriali e agricole. Qualsiasi nuovo insediamento di impianti termici o industriali sarà subordinato alla valutazione di impatto ambientale.

Verranno sostenuti, infine, i servizi per la salute sessuale e riproduttiva, per la salute dell’età evolutiva, per la profilassi della malattie infettive, per la prevenzione e la diagnosi precoce dei tumori, per prevenire e/o attenuare il decadimento psicofisico di anziani/e. Saranno lanciate campagne di educazione per far conoscere  i provvedimenti utili a far diminuire i rischi di malattia.

3. Più servizi sul territorio

Il rilancio del Medico di Medicina Generale (Medico di famiglia) e del suo ruolo e, più in generale, quello dei servizi sanitari extra-ospedalieri è la priorità fondamentale per qualsiasi sistema sanitario moderno, l’unico modo per affrontare la sfida del millennio, rappresentata nei paesi industrializzati dalla rapida espansione della cronicità. Il malato cronico, infatti, è curato soltanto sporadicamente in ospedale: la sua qualità di vita dipende sostanzialmente dalla presenza di una rete organica di servizi, centrati sull’’attività dei Medici di famiglia e l’efficienza dei servizi di medicina territoriale (assistenza domiciliare, ambulatori polispecialistici, servizi di riabilitazione). Il Medico di famiglia inoltre ha la responsabilità di guidare il cittadino lungo i complessi percorsi diagnostici e terapeutici imposti dalla malattia. Nello stesso tempo è il professionista che meglio di altri può aiutare a evitare il rischio, oggi molto diffuso, di un consumo eccessivo e inutile di farmaci e prestazioni sanitarie: visite, esami, uso di farmaci, interventi chirurgici.

Nell’ottica dello sviluppo dei servizi territoriali:

–         Verranno studiate soluzioni organizzative che permettano al cittadino di trovare risposta in un unico luogo a diverse esigenze di cura, semplificando il più possibile gli attuali iter burocratici. Tra i modelli già avviati in altre Regioni, la ‘Casa della Salute’ – ospitando nella stessa sede gli studi di medicina generale, la specialistica di primo livello, laboratori di analisi e attività consultoriali e di riabilitazione – appare oggi il più adatto a una larga sperimentazione regionale.

–         E’ necessario riformare la Guardia medica notturna e festiva, così da rendere questo servizio, molto richiesto dai cittadini, più efficace che in passato.

–         Vanno rilanciati i servizi territoriali di neuropsichiatria infantile e adolescenziale e quelli per i malati mentali, tutti gravemente penalizzati dalla preminenza accordata negli ultimi anni agli ospedali. Alla cura delle persone vittime di disturbi psichici e alle loro famiglie saranno garantiti gli standard di risorse e di personale previsti dalla legge: la destinazione dei redditi prodotti dalla vendita o altro uso di beni mobili ed immobili, degli ex Ospedali psichiatrici,  verranno impiegati anche per ridurre i ricoveri e assicurare una adeguata assistenza sul territorio.

–         Per evitare conflitti e aumentare il coordinamento tra l’attività territoriale e quella degli ospedali, è necessario eliminare la separazione generalizzata tra ‘acquirente’ e ‘produttore’ di prestazioni sanitarie. A cominciare dai servizi territoriali, il ruolo delle ASL deve tornare a essere quello della gestione diretta.

E’ molto importante infine rivedere il sistema di finanziamento del sistema sanitario, puntando soprattutto, a cominciare dai servizi territoriali, sul pagamento ‘a quota capitaria’: pagando i medici, cioè, secondo i malati che seguono e gli obiettivi di salute raggiunti. Il pagamento a prestazioni, infatti, ha innescato in questi anni un produttivismo fine a se stesso: con questo sistema il medico e le strutture sanitarie vengono spinte a moltiplicare le loro attività (certificati, esami diagnostici, piccoli interventi) indipendentemente dal fatto che queste si dimostrino utili per i pazienti.

4. Più attenzione agli anziani

Tra le fasce più svantaggiate della popolazione, quella degli ultrassantacinquenni, considerato il loro numero e la condizione disagiata di molti di loro, merita oggi particolare attenzione. La Regione Lombardia farà in modo che l’Assistenza Domiciliare Integrata (ADI) e gli altri servizi dedicati agli anziani siano finalmente commisurati alla domanda effettiva che proviene dal territorio.

Una organica integrazione dei servizi sanitari con quelli sociali, benché necessaria anche in altri settori di intervento, assume in questa area un rilievo strategico. Gli interventi a favore delle persone anziane verranno progettati, finanziati e gestiti dalle ASL Az. USSL in collaborazione con gli enti locali (province e comuni) e con la concertazione di tutte le forze sociali: ai sindacati e alle associazioni di volontariato, in particolare, spetta un ruolo primario non soltanto sul piano operativo ma anche nella programmazione dei servizi.

Per i malati non autosufficienti si propoe la costituzione di un fondo regionale, gestito dalle singole ASL finanziato con l’addizionale IRPEF in vigore. Agli anziani ricoverati in strutture residenziali va garantita la piena  attuazione del Decreto Legge 130 del 2000, evitando di far ricadere gli oneri sui parenti. Saranno valorizzati i Piani di Zona e forme di gestione consortile: eventuali buoni o vaucher concessi dalla regione o dagli enti locali agli ultrasessantacinquenni verranno utilizzati esclusivamente a integrazione dei servizi garantiti.

5. Una rete ospedaliera più moderna e razionali

La rete ospedaliera lombarda va ridisegnata (superando la legge regionale 31/97  varata dalla giunta regionale di  centro-destra) con il ritorno degli ospedali alle ASL ( Azienda Sanitaria Locale), riservando a poche realtà ospedaliere la caratteristica di azienda autonoma: questo per garantire non soltanto innovazione ma una programmazione efficace dell’attività. In alcuni reparti per acuti, e soprattutto in quelli destinati alla riabilitazione e alla lungodegenza,  i letti sono infatti insufficienti e vanno aumentati; altre volte gli ospedali o i reparti specialistici sono distribuiti in modo squilibrato sul territorio.

In tutti i casi l’ospedale pubblico deve rimanere il perno della rete ospedaliera lombarda e della sua attività. Per questo motivo la Regione non è disponibile a contrarre ulteriormente  i posti letto del pubblico, a razionare risorse e farmaci e a ridurne le prestazioni, così come è avvenuto negli ultimi anni: mentre si dichiara favorevole a tutti i provvedimenti che si propongono di aumentare l’appropriatezza degli interventi, la qualità delle cure e il confort alberghiero. Gli Istituti di Ricerca e Cura a Carattere Scientifico (IRCCS) debbono tornare a essere considerati come la perla del patrimonio pubblico e come tali andranno gestiti.

Perché negli ospedali lombardi il malato sia realmente il protagonista, è urgente controllare la libera professione. La legge che l’ha istituita, infatti, non ha come obiettivo di determinare all’interno degli ospedali, così come avviene attualmente, due corsie a velocità variabile: una, più rapida, per chi  è disposto a pagare e usufruisce della libera professione, la seconda, molto più lenta, per chi non può che affidarsi  alle procedure di routine.

Parallelamente occorre intervenire sull’emergenza infermieristica con provvedimenti sia straordinari che strutturali: è necessario reintrodurre incentivi economici e normativi che favoriscano sia la partecipazione degli infermieri ai corsi universitari sia la loro permanenza negli ospedali pubblici della Regione.

6. Più qualità nel privato

Parallelamente al riordino della rete ospedaliera, occorre rivedere la parità pubblico/privato, definendo tipologie e qualità degli interventi affidati dal Servizio sanitario alle strutture private: ma anche la quantità delle prestazioni da erogare, in base alla programmazione regionale. La Lombardia è una delle regioni italiane nelle quali la quota del privato accreditato è più alta: l’operatività e gli standard operativi del settore vanno pertanto definiti chiaramente. L’istituto dell’accreditamento, così come stabilito dalla legge 229 del 1999, rimane la base fondamentale per garantire ai cittadini la possibilità di scegliere tra servizi di pari qualità e all’imprenditore la certezza dell’attività.

Sempre a proposito di privato, la Regione ribadisce la contrarietà alle Fondazioni che, anche in Paesi dove sono state sperimentate da tempo, hanno dimostrato di non essere uno strumento idoneo a garantire una buona collaborazione tra pubblico e privato.

Alle strutture che operano nell’ambito del servizio pubblico, pubbliche e private, la Regione chiede di stabilire con i lavoratori del settore (medici, infermieri e amministrativi) rapporti di lavoro  stabili e vincolanti. Negli ultimi anni il processo di esternalizzazione si è ampliato in misura ingiustificata: sono troppi, attualmente, i medici non assunti, i contratti a termine, le consulenze esterne, il ricorso alle ‘cooperative’ anche per prestazioni professionali delicate come quelle degli infermieri. Le professioni sanitarie, d’altra parte, rappresentano per tutta la comunità una risorsa troppo importante perché vengano svilite da contratti precari o, peggio, da un autentico sfruttamento del lavoro subordinato.

7. Più appropriatezza nella politica del farmaco

Ecco l’insieme dei provvedimenti proposti per garantire che anche nel campo del farmaco i cittadini lombardi siano ben curati: ma senza sprechi e senza essere obbligati a spendere in proprio. Il risparmio complessivo che queste decisioni garantiscono è importante:

–         Maggiore disponibilità di farmaci generici, fino a oggi poco usati in Lombardia. Si tratta dei medicinali che, identici come composizione chimica ed efficacia a quelli ‘griffati, costano meno.

–         Sviluppo della cosiddetta distribuzione diretta. Secondo l’attuale legge, infatti, i cittadini potrebbero comperare il farmaco direttamente in ospedale o nelle farmacie comunali con prezzi fino al 50% inferiori a quelli praticati solitamente

–         Revisione dell’elenco dei farmaci distribuiti in ospedale, eliminando quelli inutili o inadatti alla malattia dei singoli pazienti: e sostituendo, tutte le volte che è possibile, il farmaco più costoso con quello meno costoso.

–         Adeguamento delle confezioni alle esigenze dei malati. Non dovrebbe più accadere, cioè, che una discreta porzione dei farmaci comperati venga ‘buttata via’ perché inutile.

8. E soprattutto più democrazia

Il servizio sanitario pubblico non va concepito come un supermercato dove ognuno, se va bene, avrà modo di soddisfare i suoi bisogni. Al contrario, tutto il sistema-salute dev’essere attivamente partecipato dai cittadini, i quali devono essere messi in grado non soltanto di conoscerne obiettivi e organizzazione ma anche di fare delle proposte correttive o migliorative. La Regione si impegna a superare la mancanza di trasparenza, l’assenza di controllo e la conduzione autocratica che caratterizzano l’attuale gestione del Servizio sanitario lombardo. Il ruolo dei direttori generali va drasticamente ridotto; nelle nomine dei dirigenti, sia di ASL Az.USSL che ospedalieri, si deve guardare alla professionalità piuttosto che all’appartenenza politica; ai rappresentanti degli enti locali, alle organizzazioni sindacali, alle associazioni dei pazienti e al volontariato va riconosciuto un ruolo attivo attraverso i ‘Comitati di partecipazione’.

L’informazione esauriente e la partecipazione dei cittadini costituiscono il migliore strumento di controllo etico e legale su eventuali comportamenti e procedure illeciti. Presumibilmente le irregolarità rilevate finora dalla magistratura a carico della sanità lombarda sono soltanto le punte dell’iceberg,  i ‘frutti velenosi’ più appariscenti del sistema di gestione produttivistico e competitivo voluto da Formigoni e Borsani. E’ positivo, naturalmente, che la magistratura continui a fare il suo mestiere. Da  parte sua la Regione si attiverà per portare trasparenza, responsabilità ed equità nelle procedure amministrative si cui è fondato il servizio sanitario: i concorsi e gli appalti e, per quanto riguarda i pazienti, il diritto agli accessi, alle migliori cure disponibili e all’informazione.

Conclusione

Tutte le considerazioni esposte in precedenza sono nate da un ripetuto scambio di idee tra le persone che hanno accettato di contribuire all’elaborazione di un sistema sanitario regionale alternativo a quello disegnato da Formigoni. Per questo motivo, il documento non va considerato come un punto di arrivo, ma piuttosto come una prima proposta di programma, aperta alla partecipazione di chiunque intenda confrontarsi con il problema della sanità lombarda, animato da principi di autentica democrazia.

Allegato 1

Politiche Sociali

Le politiche sociali si prefiggono di attivare quelle prestazioni e servizi capaci di rimuovere e superare le difficoltà che ogni  persona può incontrare nel corso della sua vita. La famiglia  quindi non va considerata sussidiaria a servizi sociali pubblici non adeguati, ma un riferimento importante per la realizzazione di un progetto di tutela sociale.

Le politiche sociali non si limitano solo ai servizi socio-assistenziali o socio-sanitari, ma necessitano della integrazione di  tutta una serie di servizi comunali (politiche abitative, culturali, dei trasporti, ecc.)e delle ASL Az. USSL (fornitura di presidi sanitari, dimissioni protette,ecc).

Il Terzo settore (che oggi abusa  negli appalti della cosidetta  pratica del massimo ribasso)deve essere considerato soggetto sociale impegnato  non solo nel fornire prestazioni socio-assistenziali, ma anche nel rinnovamento e qualificazione delle reti di protezione sociale; i gruppi di auto-mutuo-aiuto vanno coinvolti  anche per una riduzione dei costi.

La famiglia non va considerata soggetto fornitore di servizi. Essa è certamente un riferimento importante per la realizzazione dei del piano dei servizi, a patto che si parta dal riconoscimento dei diritti dei singoli componenti.

Alla base delle politiche sociali deve esserci la creazione e qualificazione dei servizi; i trasferimenti monetari possono essere utilizzati solo nella cornice di interventi multidimensionali.

L’integrazione sociale sia che riguardi fasce diverse di età (minori, anziani, ecc.), sia tipologie di bisogni differenti (handicappati, tossicodipendenti,ecc.),sia nicchie particolari (immigrati, prostitute, ecc.) deve essere progettata come intervento gestito insieme   da più assessorati comunali  o da  più enti.

Il nostro futuro PSSR deve:

1)      Valorizzare i Piani Sociali di Zona (PSZ), intesi come veri e propri piani regolatori dei diritti sociali, in ogni distretto sanitario, favorendo l’integrazione di servizi comunali e di ASL Az. USSL;

2)      Valorizzare le autonomie locali assegnando alle Province e ai Comuni compiti chiari nella programmazione territoriale dei servizi sociali e sanitari, di osservatorio,di monitoraggio e valutazione degli interventi, di formazione e qualificazione professionale degli operatori;

3)      Le risorse dei Comuni devono essere finalizzate alla qualificazione dei servizi e non a trasferimenti monetari;

4)      Predisporre i servizi adeguati per i minori con problemi di disadattamento sociale e/o familiare, evitando se non in situazione estreme l’inserimento istituzionale.

Va ribadita l’importanza di una rete pubblica di servizi per la prima infanzia (asili nido);

4)      Garantire il mantenimento e il recupero dell’autonomia, l’inserimento sociale e lavorativo e l’aiuto per le incombenze della vita quotidiana delle persone con disabilità attraverso servizi domiciliari;

5)       Prevedere anche servizi di carattere semiresidenziale, ma con un numero molto basso di persone, evitando di cadere in forme spurie di istituzione;

Vanno rifinanziati  infine i Ser.T.  , la l.r. 77/89 (nomadi e immigrati) , e va costituito il fondo regionale per la non-autosufficienza per attivare programmi integrativi di intervento per gli anziani e non autosufficienti, aumentato il fondo sociale regionale e promossa la L.6/04  (amministratore di sostegno);

Partecipanti

Eugenio Alberti (esperto di comunicazione)

Giuseppina Amato

Fulvio Aurora (Gruppo consiliare Rifondazione Comunista)

Virgilio Baccalini (Forum Regionale per la Salute mentale)

Edoardo Bai (Forum Difesa salute)

Maria Carla Baroni (Responsabile Comitato Scientifico PdCI Lombardia)

Filippo Beccaceci (Centro Italiano pace mediorientale, MRE, Repubblicani Europei)

Anna Bernasconi (medico ospedaliero,  coordinatrice  per trapianti  area Monza e Brianza , segreteria provinciale PdCI)

Lella Brambilla (CGIL Lombardia)

Anna Celadin (Associazione Dialoghi Necessari)

Fulvia Colombini (Segretaria Camera del Lavoro per le politiche sanitarie)

Luigi Cornalba (Ospedale di Melegnano, Comitato Promotore difesa salute)

Elisabeth Cosandey (Forum Difesa della salute)

Alfredo Costa (sindacalista CGIL Milano)

Grazia Cretella (Azienda ospedaliera G. Salvini)

Celestino De Brasi ( RSU Niguarda)

Dario Diffidenti (AUTEM Salute DS )

Gaspare Jean (Prof. Gaspare Jean, medico,PdCI)

Rinaldo Ferretto (Associazione Talassemici DepranociticiLombardi

Valeria Forti (Centro Diritti del cittadino)

Walter Fossati (Medicina Democratica)

Aldo Gazzetti (esperto di sanità, Verdi)

Giuseppe Landonio (primario oncologo Ospedale Niguarda)

Andrea Lanfranchi (ASVAP 5 Associazione Salute mentale)

Ester Lanfranchi (AUTEM Salute DS)

Alfredo Ferappi (Dialoghi Necessari)

Silvano Lombardo (Repubblicani Europei)

Calogero Maggi (SDI)

Andrea Micheli (Forum Difesa della salute)

Claudia Musso (Associazione Senza Limiti)

Giovanni Padovani (giornalista)

Angrico Pagliara (Vice Presidente Società Nazionale Mutuo Soccorso C. Pozzo)

Michelangelo Proietto (Comitato Noticket, Partito dei Comunisti Italiani)

Giorgio Roversi ( CGIL Lombardia)

Mariateresa Scarpa ( Dipendente Az. Ospedaliera pubblica; Consulta Bioetica)

Pippo Torre (Rifondazione Comunista)

Luigi Tranquillino (Consigliere provinciale Rifondazione Comunista)

Giuseppe Vanacore (Segretario CGIL Regionale Lombardia)

Vincenzo Vigna (cardiochirurgo, consigliere comunale di Pavia, Italia dei Valori)

Fernando Vitale (ALSI)

Dario Vittone (Forum Difesa salute, Gruppo Consiliare Rifondazione Comunista)

Giulio Zanotto

Piermaria Zannier (medico di famiglia, coordinatore regionale medici di famiglia FP CGIL)

Graziella Diana ( Forum Difesa Salute)

Achille Zasso ( ASL-USSL Milano)

Fiorenza Bassoli (Vicepresidente Consiglio Regionale)

Calogero Maggi (SDI)

Riccardo Piccoli (Margherita)

Enrico Ferrante ( medico ospedaliero, Italia dei Valori)

Gianni Castellani ( Italia dei Valori)

Milano 20 gennaio 2005