«Premessa necessaria per qualsiasi programma che riguardi il sistema sanitario è che la salute è un diritto da garantire e non un bisogno da soddisfare. Caratteristiche di questo diritto devono essere l’universalità, l’equità e l’uguaglianza.

Il cosiddetto “modello lombardo” si basa sull’introduzione di logiche di mercato con separazione fra il finanziatore/acquirente e fornitore di prestazioni e cioè fra ASL (che vede impoverita la propria originaria funzione di gestione di servizi rivolti alla tutela della salute) e aziende ospedaliere pubbliche e private.

Il finanziamento non avviene sulla base dei bisogni della popolazione, ma a prestazione. I DRG, cioè gruppi di prestazioni correlati alla diagnosi, a cui viene corrisposto un controvalore economico sono stati introdotti dal 1995 su scala nazionale. In Lombardia questo strumento, con la l.r. 31/97 che ha introdotto la generalizzazione delle Aziende Ospedaliere affiancandole a quelle private in una logica di mercato, ha favorito l’incremento della produzione di prestazioni sanitarie a prescindere da ogni logica di programmazione e dalla loro appropriatezza.

Questo modello, contrariamente a quanto ufficialmente dichiarato, ha comportato un forte aumento delle spese, contemporaneamente ad una diminuzione delle prestazioni utili. Le cause erano facilmente prevedibili. Le cliniche e le altre strutture sanitarie private non erogano mai l’intero arco delle prestazioni: si limitano a quelle più convenienti individuate in un elenco definito dalla Regione Lombardia (una sorta di listino prezzi – i DRG appunto – in base al quale l’istituzione pubblica rimborsa gli istituti per le prestazioni eseguite).

I rimedi messi in atto  per contenere la spesa,  hanno conseguenze negative su quello sociale: si è introdotta la compartecipazione alla spesa da parte dei malati (in genere la parte più povera della popolazione) attraverso i ticket e l’aumento dell’IRPEF, si sono posti tetti alle prestazioni, si sono ridotti gli interventi socio sanitari quasi a toglierli dal sistema sanitario (salute della donna, salute mentale, tossicodipendenze, handicap grave, cronicità e non autosufficienza).

Il sistema di finanziamento a prestazione (DRG) ha aumentato le prestazioni non giustificate, ha di fatto aumentato la spesa,  e ha ridotto l’importanza degli interventi per la prevenzione, così come per la riabilitazione. Il caso Galeazzi e quello più recente, in corso di indagine, dell’Humanitas, mostrano che il sistema sanitario lombardo, in molte sue parti, è più volto al profitto che alla soddisfazione del bisogno di salute dei cittadini

Gli obiettivi dichiarati dalla giunta di destra erano una più vasta libertà di scelta dei cittadini; lo sviluppo di una più ampia rete di offerta con una liberalizzazione degli accreditamenti e convenzionamento di tutti i privati che lo avessero richiesto; la riduzione delle liste di attesa (conseguenza dell’aumento dell’offerta); un miglioramento qualitativo dei servizi; il contenimento della spesa sanitaria.

Dopo dieci anni di governo della giunta di destra il fallimento di questa politica è evidente, in quanto:

Ø      La sbandierata libertà di scelta è contraddetta dall’esperienza di cittadini sempre più soli, che si avventurano nel percorso ad ostacoli alla ricerca delle cure più appropriate. È divenuta un miraggio dopo l’introduzione dei tetti ai volumi di attività per le strutture sanitarie. Ma soprattutto la libertà di scelta ha di fatto creato disuguaglianze sociali dovute al decadimento dell’immagine e della valorizzazione del servizio pubblico;

Ø      I tempi di attesa per numerosi esami diagnostici, visite specialistiche e diversi interventi chirurgici risultano inaccettabili e spingono i cittadini all’acquisto privato delle prestazioni pur di ottenerle in tempi ragionevoli;

Ø      La collocazione territoriale delle nuove strutture e l’accreditamento di attività specialistiche sono avvenute senza programmazione, con una logica puramente di mercato incrementando gli squilibri del sistema;

Ø      Le politiche di razionamento della spesa, di precarizzazione del personale, gli inadeguati investimenti stanno pesando sulla qualità dei servizi;

Ø      La dinamica della spesa è cresciuta oltre il previsto a causa dell’incremento ingiustificato e repentino dell’offerta. L’eccesso di spesa è stato ripianato fino al 2001 facendo mutui per 1234 mln di €, dal 2002 introducendo un’addizionale IRPEF per un gettito annuo di 320 mln di €, dal 2003 con ticket sui farmaci e pronto soccorso per altri 200 mln di € annui.

Ø      Le ASL sono state di fatto private del ruolo di orientamento e di politica sanitaria e provvedono semplicemente a pagare le prestazioni. Per controllare la spesa la Regione ha emanato nel 2003 una delibera che impone alle ASL di fissare dei tetti di spesa agli erogatori, impegnandosi a riconoscere una percentuale fissa del fatturato dell’anno precedente indipendentemente dalla qualità del servizio fornito. Questo è puro dirigismo, con un governo della spesa fatto dal centro, che esautora le ASL chiamate solo ad applicare le direttive regionali.

Ø      Seppure l’aziendalizzazione del servizio sanitario sia stata introdotta da legge dello Stato, il modello lombardo l’ha portata agli estremi: i direttori generali rispondono a criteri di nomina politica, e a loro volta nominano i direttori amministrativi e sanitari all’interno di ASL e Aziende Ospedaliere. I pervasivi poteri del direttore generale, anche nel merito delle scelte sanitarie ha determinato l’emarginazione del personale medico-sanitario, con pesanti conseguenze sulla qualità del governo aziendale degli ospedali.

Ø      I medici di base, che costituiscono il punto di contatto tra i cittadini e il sistema sanitario,  sono in realtà privi di raccordi con il sistema ospedaliero e non sono sufficientemente incentivati ad aggiornare il loro patrimonio di conoscenze: ciò fa del tanto decantato “modello lombardo” un gigante dai piedi d’argilla.

Ø      L’erogazione di prestazioni diagnostiche, difficilmente controllabili per appropriatezza e qualità, è di fatto condizionata dalla convenienza degli operatori. Ciò penalizza sempre l’utente, o sotto il profilo economico, o sotto quello della qualità delle cure.

Ø      Sono stati fatti passi indietro nel rapporto con i Comuni, estromessi da qualunque ruolo significativo; questo di fatto impedisce al cittadino di poter esercitare anche in forma indiretta una verifica su tutte le scelte di politica sanitaria.

Ø     La decisione di distribuire in modo generalizzato la Carta Regionale dei Servizi (tessera sanitaria elettronica) è un’azione velleitaria, in quanto non sono disponibili i servizi promessi. Nelle quattro ASL dove è già stato avviato il Sistema Informatico Socio Sanitario, i servizi attivati sono pochi e con gravi problemi di funzionamento. La sproporzione tra  servizi disponibili e costi, diverse centinaia di milioni di euro, si sta trasformando in un colossale spreco e distrazione di risorse pubbliche dalla cura dei malati.

Ø      La gestione dell’Assistenza domiciliare integrata, storicamente affidata in modo prevalente ai distretti delle ASL in alcune province, con prevalenza di rapporti convenzionali in altre, è in via di smantellamento e di esternalizzazione e viene sostituita dall’utilizzo dei voucher.

Ø     Va registrato un grave ritardo nella riorganizzazione dei Medici di Medicina Generale, dei Pediatri di Libera Scelta e dei Medici di Continuità Assistenziale, sia nel loro ruolo di garante della salute dei cittadini in forme territoriali e prossime alla domiciliarità che nella loro valorizzazione per assicurare le cure primarie. La guardia medica è ormai ridotta a poco più di un centralino. Questo impoverimento del tessuto sanitario (e sociale) ha determinato confusione, sensazioni di insicurezza da parte dei cittadini, diffidenza nei confronti della rete dei servizi pubblici, fuga al privato come elemento di rassicurazione in un vissuto complessivo di perdita di diritti;

Ø     La giunta di destra ha proposto l’istituzione di Fondazioni di partecipazione, aperte ai Comuni, per gestire taluni ospedali. In altri casi leFondazioni sono state la via per affidare a soggetti privati la gestione di piccoli ospedali in cambio di investimenti. In realtà si tratta di strumenti creati per rispondere all’evidente difficoltà di rapporto con i cittadini e con le comunità locali, che hanno tuttavia dimostrato di non essere del tutto idonei a garantire una buona collaborazione tra pubblico e privato; non creano evidenti vantaggi per i cittadini, mentre vi è il rischio concreto che sfuggano al controllo degli Enti pubblici.

Più in generale, si deve osservare che dal 1992 in Italia, per mantenere in equilibrio economico il sistema, si è puntato su politiche di risparmio, di razionalizzazione, di efficienza aziendale condizionando le politiche sanitarie alla compatibilità economica, senza valorizzare i livelli di programmazione territoriali e regionali. Questo ha portato risultati diversi tra le regioni. Di fatto, il sistema è stato finanziato in disavanzo, in modo cumulativo e costante, costringendo Stato e regioni a ripiani, assunzione di mutui, rinuncia ad adeguamenti tecnologici, ma soprattutto a scaricare progressivamente i costi sui cittadini. In un quadro di crescenti disuguaglianze sociali e di contrazione dei redditi, ciò porta spesso alla impossibilità di accesso alle prestazioni sanitarie creando disparità e penalizzazioni sul piano della salute. Le scelte strategiche ed organizzative attuate dalle giunte di destra in Lombardia hanno accentuato in modo forte questa impostazione economicistica. È necessario correggere questa visione della sanità. I livelli essenziali di assistenza non devono essere pensati come limiti di spesa ma come servizi essenziali da garantire. Si tratta di riformulare il valore della salute come investimento sul bene comune economico e sociale e non soltanto come costo da ridurre, puntando con forza alla riconversione dei bisogni di cura in bisogni di salute.

I nostri obiettivi:

Ø      Abolizione dei ticket su farmaci e pronto soccorso, e gratuità di tutte le cure sanitarie previste dai livelli essenziali di assistenza, comprese le fasi di riabilitazione. Il ticket è di fatto una tassa sulla malattia e uno strumento iniquo e inefficace per il controllo della domanda di prestazioni e dei farmaci. Durante la legislatura dovranno essere progressivamente ridotti gli altri ticket sulla medicina specialistica. Il servizio pubblico sostenuto dalla fiscalità generale e senza altri oneri per il cittadino è lo strumento più idoneo al perseguimento dell’interesse generale.

Ø      Nello stesso tempo occorre rendere più efficace l’attività di prevenzione e di cura per le patologie odontoiatriche, prevedere cioè anche per i denti cure gratuite. Infine, va garantita l’offerta di servizi per la riabilitazione (motoria, neurologica, cardiaca e psichica), oggi raramente disponibili come cure gratuite.

Ø      Ridefinizione del sistema di finanziamento. Quello a tariffa incentiva il proliferare delle prestazioni, e dunque l’aumento della spesa.Occorre dunque uscire dall’attuale paradigma. L’obiettivo è quello di pagare i risultati di salute e non la malattia. Altri sistemi appaiono più idonei al contenimento dei costi, come quello che assegna un budget prefissato ad ogni erogatore di servizi. Obiettivo deve essere l’introduzione di sistemi di finanziamento e remunerazione che allineino le convenienze dei diversi attori in sanità ai principi dell’etica professionale e agli obiettivi di salute della comunità.

Ø      Riduzione delle liste di attesa. Le liste d’attesa devono essere ridotte ricorrendo alla riqualificazione del ruolo del medico di base nella individuazione dei percorsi di cura per il cittadino a cui deve corrispondere un’offerta di prestazioni qualificate da criteri di appropriatezza e di efficacia che consentano di risparmiare sulle attività diagnostiche e sulle terapie.

Ø      La rete ospedaliera lombarda deve essere riprogrammata e ridisegnata, superando la legge 31/ 97, con il ritorno, là dove è conveniente, degli ospedali alla ASL.

Le nuove strutture ospedaliere e quelle da ristrutturare dovranno seguire criteri innovativi nell’organizzazione logistica e gestionale, integrarsi come nodi di una rete, che deve contemplare le strutture private accreditate, distinte in:

·        ospedali ad alta specialità ragionevolmente distribuiti sul vastissimo territorio regionale, valorizzando le vocazioni e distribuendo in modo equilibrato le specialità e le più importanti dotazioni tecnologiche. Non è tollerabile che in Lombardia siano presenti 20 cardiochirurgie di cui 12 collocate in provincia di Milano e hinterland. Gli Istituti di ricovero e cura a carattere scientifico (IRCCS) debbono tornare ad essere considerati coma l’eccellenza del patrimonio pubblico e come tali gestiti;

·        ospedali intermedi, ben distribuiti territorialmente e dotati delle principali specialità e di reparti di riabilitazione;

·        ospedali di comunità organizzati per ospitare lungodegente, riabilitazione, diagnostica e visite specialistiche. Integrati ai servizi territoriali e alle attività dei Medici di Medicina Generale.

Ø      Creazione di un centro di eccellenza per la cura, la riabilitazione e il recupero dei pazienti in stato di coma di lunga durata e dei grandi traumatizzati, altamente specializzato su base multidisciplinare, di cui la Lombardia è ancora priva.

Ø      Più servizi sul territorio. La Lombardia ha storicamente una rete di servizi territoriali sanitari e sociali assai debole e poco integrata. E’ indispensabile far fronte alla carenza di servizi territoriali per la salute mentale, la neuropsichiatria infantile, i consultori. E’ inadeguata l’offerta pubblica sul territorio in alcune specialità: ginecologia, dermatologia, oculistica, odontoiatria. E’ fondamentale unacondivisione per la progettazione dei servizi necessari e per la loro localizzazione, da parte di ASL, Aziende Ospedaliere, Comuni, associazioni di volontariato, operatori. La qualità e la sostenibilità del sistema sanitario si giocano sulla capacità di riorganizzare il sistema delle cure primarie. I medici di medicina generale, i pediatri di libera scelta, i medici della continuità assistenziale, specialisti convenzionati devono essere incentivati all’associazionismo, affinché i cittadini trovino un’adeguata continuità assistenziale. Il medico di base ha la responsabilità di guidare il cittadino lungo i complessi percorsi diagnostici e terapeutici imposti dalla malattia. Nello stesso tempo è il professionista che meglio di altri può aiutare a evitare il rischio, oggi molto diffuso, di un consumo eccessivo e inutile di farmaci e prestazioni sanitarie: visite, esami, interventi chirurgici.

Ø      Valorizzare i servizi territoriali studiando soluzioni organizzative che permettano al cittadino di trovare risposta in un unico luogo a diverse esigenze di cura, semplificando il più possibile gli attuali iter burocratici e sperimentando modelli come l la “Casa della Salute” – ospitando nella stessa sede gli studi di medicina generale, la specialistica di primo livello, laboratori di analisi e attività consultoriali e di riabilitazione – che appare oggi il modello  più adatto a una larga sperimentazione regionale E’ necessario riformare la Guardia medicanotturna e festiva,     così da rendere questo servizio, molto richiesto dai cittadini, più efficace che in passato. Vanno rilanciati i servizi territoriali di neuropsichiatria infantile, adolescenziale e per adulti, tutti gravemente penalizzati dalla preminenza accordata negli ultimi anni agli ospedali. Va garantita una capillare rete di Assistenza domiciliare integrata come strumento in grado di ritardare il ricorso ad istituzionalizzazioni o al ricorso a ricoveri costosi e inutili,in particolar modo per le persone fragili, anziani,disabili, persone con difficoltà psichiche.

Ø      Va potenziata la rete degli interventi legati alle cure palliative per garantire il diritto alla casa e alla domiciliarità per le persone anche nella fase terminale della propria vita.

Ø      Per evitare conflitti e aumentare il coordinamento tra l’attività territoriale e quella degli ospedali, è necessario superare la separazione generalizzata tra ‘acquirente’ e ‘produttore’ di prestazioni sanitarie in particolare nei servizi territoriali. Per questi le ASL devono continuare a garantire l’erogazione dei servizi.

Ø      I comuni associati, nella loro funzione di “sponsor dei cittadini” devono diventare attori che concorrono alla programmazionestrategica dei servizi a media e bassa intensità, al controllo dei risultati di salute, alle scelte nella allocazione delle risorse. I comuni associati devono esprimere un parere obbligatorio sulla nomina dei direttori generali e devono poterne chiedere la revoca motivata.

Ø      Valorizzare gli operatori sanitari. Attualmente il sistema di governo delle Aziende ospedaliere si risolve in un controllo politico del direttore generale sul personale medico-sanitario. Ciò è inaccettabile, è invece necessario un riequilibrio del potere decisionale a favore degli operatori sanitari.

Ø      Fondo per la non autosufficienza. Per l’addizionale IRPEF è necessario elevare il livello di esenzione. Il gettito non può essere utilizzato per ripianare i disavanzi prodotti dalle inefficienze del sistema ma va finalizzato esclusivamente alla costituzione di un Fondo regionale per la non autosufficienza le cui risorse dovranno essere amministrate dalle ASL. Agli anziani ricoverati in strutture residenziali va garantita la piena  attuazione del Decreto Legge 130 del 2000, evitando di far ricadere gli oneri sui parenti. Saranno valorizzati i Piani di Zona e forme di gestione consortile: eventuali buoni o voucher concessi dalla regione o dagli enti locali agli ultrasessantacinquenni verranno utilizzati esclusivamente a integrazione dei servizi garantiti.

Ø      Rivedere il sistema della diagnostica. L’inadeguatezza delle linee guida in questo settore pregiudica gravemente l’efficacia dei percorsi terapeutici. È necessaria una riorganizzazione su base regionale dei servizi, con laboratori d’urgenza locali e grandi laboratori per le alte specializzazioni, al fine di migliorare la qualità e contenere gli sprechi che si registrano oggi.

Ø      Prevenzione, informazione, educazione. La prevenzione primaria, la diagnosi precocel’educazione sanitaria costituiscono un investimento in salute ad elevato ritorno sociale ed economico. Esse devono essere considerate un obiettivo prioritario del sistema sanitario, nell’ambito delle quali promuovere iniziative di contrasto a fumo, inattività fisica, eccesso alimentare, stigma dei disturbi mentali, alcolismo, droga, incidenti stradali. Tutti gli attori del sistema, dai medici di medicina generale alle ASL alle AO, devono essere coinvolti in programmi di prevenzione attiva verso la popolazione generale o a gruppi di rischio per malattie di rilevanza sociale, che cerchino l’adesione consapevole dei cittadini interessati. Particolarmente importanti sono i servizi per la salute dell’età evolutiva e per prevenire il decadimento psicofisico e la non autosufficienza degli anziani. Va prestata una particolare attenzione alla prevenzione nei luoghi di lavoro, in una regione ad altissimo tasso di incidenti e di mortalità, che non si riesce ad abbattere anche a causa dell’estensione della precarizzazione e del persistere del lavoro nero. Va insediato un osservatorio epidemiologico regionale per monitorare i rischi, e per operare in modo integrato con l’ARPA a tutela dell’ambiente per migliorare la condizione di vita dei cittadini. Occorre una rigorosa valutazione di impatto ambientale per gli impianti termici ed industriali per contrastare l’inquinamento atmosferico e ambientale. Per quanto riguarda le sostanze tossiche o cancerogene e i processi produttivi pericolosi va perseguito l’obiettivo tendenziale del rischio zero, prevedendo i necessari interventi di bonifica ambientale, a partire da quelli che riguardano l’amianto.

Ø      Dipendenze. La complessità e i mutamenti che sono avvenuti nel campo delle dipendenze richiedono un intervento da parte del servizio sanitario regionale di ampie dimensioni. Anche in Lombardia, i Dipartimenti delle Dipendenze che intervengono sui temi delle droghe e  dell’alcolismo, devono essere istituiti in tutte le ASL e devono essere aperti a tutte le altre forme di dipendenza. Il rispetto della dignità della persona ed il riconoscimento della esigibilità del diritto alla cura e alla riabilitazione e reinserimento sociale e lavorativo devono essere le principali linee guida.

Ø      Ai Dipartimenti di salute mentale, ai CPS, va garantita la destinazione dei redditi prodotti dall’uso e dalle vendite dei beni mobili ed immobili degli ex ospedali psichiatrici.

Ø      Una politica del farmaco più appropriata. Un sistema sanitario efficace richiede una politica del farmaco adeguata, senza sprechi e senza che i cittadini siano obbligati a spendere in proprio. Essa deve articolarsi sulle seguenti linee: maggiore disponibilità di farmaci generici, fino a oggi poco usati in Lombardia; sviluppo della distribuzione diretta: come in altre Regioni va introdotta, soprattutto per i pazienti dimessi dagli ospedali, la distribuzione dei farmaci necessari alle cure nei giorni successivi alle dimissioni; revisione dell’elenco dei farmaci distribuiti in ospedale; adeguamento delle confezioni alle esigenze dei malati.

Ø      Ricerca biomedica e innovazione: più sviluppo e nuove opportunità per la salute. Nella ricerca biomedica la Lombardia vanta una diversificazione ed una tradizione di eccellenza uniche. Negli ultimi anni, gli IRCCS pubblici lombardi sono stati teatro di contesa tra Regione e Governo con il risultato di metterli in seria difficoltà e far loro accumulare pesanti disavanzi di gestione. È necessario puntare su un loro forte rilancio. Ciò significa prevedere investimenti significativi in ricerca corrente e finalizzata, rafforzare la collaborazione virtuosa con le università, puntare su innovazione tecnologica e gestionale. Non solo gli IRCCS, ma tutti i maggiori ospedali devono essere messi in grado di partecipare a programmi di ricerca, i finanziamenti devono essere sempre più legati alla qualità dei progetti ed ai risultati conseguiti.

Ø      Medicine complementari e servizi per il benessere. Sempre più numerosi sono i cittadini che si rivolgono alla medicina non convenzionale. E’ doveroso regolare questo settore supportando i cittadini nei processi di selezione e consumo della medicina complementare e dei servizi per il benessere. Periodicamente va verificato ciò che è bene assicurare tramite il servizio sanitario nazionale, secondo il principio fondamentale dell’evidenza dei risultati, e ciò che va escluso.

Ø      Le risorse umane in sanità. Le professioni sanitarie infermieristiche, tecniche riabilitative e della prevenzione, sono una risorsa strategica per il sistema salute, considerato che la ricchezza professionale specifica di ognuna di queste discipline professionali (che raccolgono nella Regione Lombardia circa centomila operatori) presidia quotidianamente gli standard quanti/qualitativi delle prestazioni sanitarie erogate ai cittadini di concerto con il personale medico. Bisogna individuare requisiti per i criteri di accreditamento professionale al di là di quelli istituzionali già previsti, basati sui risultati dei benefici di salute attesi del professionista che eroga prestazione professionale. Questo percorso di garanzia del sistema è necessario per evitare lo snaturamento e l’abuso del ruolo professionale a tutela dei cittadiniall’oscuro, attualmente, di qualsivoglia forma di garanzia reale delle performances sanitarie.

Ø      Umanizzazione dei servizi. Con il Decreto ministeriale 65/95 che istituisce la Carta dei Servizi Sanitari, è stato istituito un patto con i cittadini per l’umanizzazione dei servizi lungo due linee principali: l’accessibilità e l’accoglienza, dentro un sistema che garantisca equità e universalità. La prima fase di questo percorso è stata un tentativo di costruire una relazione fra pari; quindi un cittadino consapevole dei propri diritti verso strutture accessibili a tutti e umanizzate, e operatori della salute rispettosi della dignità della persona in un particolare momento della propria vita. Purtroppo ancora troppo spesso il sistema sanitario regionale risulta auto-referenziale e mette a tacere qualsiasi criticità proveniente dalla cittadinanza attiva. Questo percorso va dunque portato a compimento, attivando anche le indicazioni della legge 150/00 sulla comunicazione e sugli Uffici della Relazione con il Pubblico.

 

In conclusione, osserviamo che un sistema sanitario improntato alla qualità, che sappia anche integrare strutture gestite privatamente secondo criteri di complementarietà ed equilibrio, è certamente realizzabile, come hanno dimostrato le Regioni storicamente governate dal centrosinistra.

Così come hanno dimostrato che una programmazione democratica e partecipata, determina condizioni di cambiamento se ha il consenso dei cittadini e delle loro rappresentanze istituzionali; che, risparmi ed investimenti, non sono incompatibili, bensì fattori essenziali di buon governo. Che l’innovazione organizzativa e strutturale è realizzabile senza dover percorrere la strada delle Fondazioni.

LA LOMBARDIA DELLE PERSONE

 

Una Lombardia che offre pari opportunità e uguaglianza di diritti

Le donne sono nella nostra società il punto di incontro fra lavoro, famiglia, affetti, realizzazione di sé: sono loro infatti a fare i conti con la pressione della vita quotidiana, con un’organizzazione sociale del tempo poco attenta agli individui, ma anche con l’invecchiamento dei propri cari, o con la cura dei figli, la loro crescita, o con la esiguità del tempo per sé.

È ora che anche la Lombardia dia seguito concreto alla legge regionale sui tempi, in attuazione della normativa nazionale, promovendo con i Comuni piani dei tempi che consentano maggiore libertà nell’attuazione dei piani di vita individuali.

Nella nostra regione solo il 7% degli uomini usufruisce dei congedi parentali. Le donne lavorano più degli uomini, poiché la cura delle persone in ambito familiare è quasi interamente sulle loro spalle. Una madre su 3 dichiara che è difficile conciliare i tempi per il lavoro e quelli per la famiglia. Il 6% delle future madri viene licenziato prima del parto. Il 14% delle donne lascia il lavoro dopo la nascita del figlio per l’inconciliabilità degli orari con le nuove esigenze. Questi numeri sono inaccettabili per una Regione che vuole essere modello di coesione sociale per il resto d’Italia.

Una Regione ricca e moderna come la Lombardia non può imporre alle donne di rinunciare al lavoro, all’autonomia economica, ma anche allarealizzazione di sé, nei lavori dipendenti, nelle professioni, nell’impresa, nell’artigianato, per realizzare la propria identità di genere.

Le donne lombarde sono cittadine con pari diritti e dignità degli uomini; diritti e dignità, oggi negati dalla precarizzazione e dal non riconoscimento della maternità, che sono anche condizione di sviluppo economico e di autonomia nel progetto di vita di tutti.

Condivisione delle responsabilità familiari, conciliazione fra maternità e lavoro devono diventare l’asse attorno cui ridisegnare una moderna politica delle pari opportunità. Non è più accettabile culturalmente che i bambini non siano ancora considerati soggetti autonomi di diritto: è qualcosa di più che la pur necessaria battaglia per l’incremento degli asili nido, peraltro pochissimi. E’ una strategia non assistenziale ma educativa, è coraggio nell’innovazione dei servizi per l’infanzia e per la loro diffusione sul territorio.

L’invecchiamento della popolazione, sebbene derivata da un aumento delle aspettative di vita grazie al benessere, pone problemi inediti, le cui risposte oggi sono prevalentemente affidate alle famiglie, e in esse, alle donne. La colpevole inerzia della destra ne affida l’assistenza quasi interamente alle risorse familiari e parentali. A tutti noi è capitato di entrare in relazione con esigenze di assistenza domiciliare, o con il bisogno di una residenza protetta, o solo con la necessità di periodi di sollievo delle donne che curano e si fanno carico della non autosufficienza di un padre, di una madre, di un disabile. Abbiamo trovato disperazione, o indifferenza delle istituzioni, o rassegnazione e rinuncia delle donne al loro progetto di vita in nome dell’affetto. Un ricatto inaccettabile.

Ancora più difficile è il percorso che attende le giovani donne, dal momento dell’ingresso nel mondo del lavoro, che in troppi casi saranno chiamate a scegliere tra lavoro e avere figli, per la drammatica insufficienza di servizi alle famiglie, nidi e asili in testa.

Alle donne della Lombardia serve più welfare, servizi sociali e sistemi dei tempi adeguati alle loro esigenza di coordinare famiglia e lavoro. Sinora invece è notevolmente cresciuta la flessibilità nel lavoro, mentre l’organizzazione sociale non ha conosciuto analoghi cambiamenti.

Al familismo della destra, fatto di effetti annuncio e poche scelte concrete, ma di erogazioni finanziarie a pioggia, contrapponiamo un progetto sulla famiglia che tenga conto delle sue trasformazioni.

Alla ricchezza e qualità della società femminile lombarda non corrisponde un adeguato riconoscimento nella presenza istituzionale. Il nuovo Statuto e la nuova legge elettorale dovranno tenere adeguatamente conto che una rappresentanza condivisa da donne e da uomini, una presenza paritaria nelle liste sono ormai regole di una democrazia moderna, sottratta all’opacità degli accordi di potere.

Le nostre proposte partono dall’assunto che le differenze, a partire da quella di genere, sono un valore della nostra società. Esse richiedono dunque una politica che valorizzi le competenze femminili nella vita sociale e nel mercato del lavoro attraverso:

Ø      l’incremento delle misure a sostegno della famiglia (come luogo di valorizzazione delle diverse soggettività) e di una paritaria relazione di coppia, anche attraverso l’impegno a sostenere la famiglia nei suoi momenti di crisi, in particolare tenendo in considerazione il benessere dei figli; in questo senso siamo a favore della creazione del mediatore familiare per il sostegno delle famiglie in crisi nell’ambito delle ASL territoriali;

Ø      la costruzione di una rete diffusa e integrata di servizi a favore della persona (prima infanzia, handicap, anziani) e a sostegno del lavoro di cura;

Ø      la ricostituzione di servizi specifici di cura della salute e di prevenzione (consultori pubblici per la contraccezione, la maternità, la menopausa);

Ø      il sostegno legislativo ed economico delle autonomie locali e all’autonomia scolastica per l’avvio di esperienze concertate (scuola di base, superiori, università, ricerca) che promuovano e producano nuovi modelli educativi;

Ø      sostegno formativo e informativo all’imprenditoria femminile;

Ø      l’incentivo alla progettualità locale per la piena attuazione della legge 53/2000 in materia di conciliazione tra lavoro di cura e lavoro fonte di reddito (congedi parentali, sperimentazioni di adattabilità nelle aziende, sostituto d’impresa, piano degli orari e dei servizi).