( Bologna 20-21 novembre 2010)
di Felice Besostri, della Direzione Nazionale del PSI e portavoce del Gruppo di Volpedo
E’ una grande soddisfazione politica e personale essere qui a Bologna per il primo vero Congresso nazionale di Sinistra per Israele, che rappresenta l’inizio di un nuovo promettente percorso, avendo preso parte alle varie incarnazioni della SpI, capace di rinascere dalle ceneri come un’araba fenice.
Da socialista, allora nei DS, sono stato senatore nella XIIIa legislatura dal 1996 al 2001,dopo una campagna elettorale condotta insieme con Lele Fiano.
Allora a sinistra la situazione era più difficile di ora. Pensiamo alla posizione tradizionale del PCI sul M.O., che si era trasferita ai DS. Il clima a sinistra è cambiato, abbiamo visto le divisioni sul boicottaggio della Fiera del Libro di Torino. Tuttavia alcuni problemi ci sono tuttora. Quanti, anche compagni, vedendo il mio impegno sul M.O. e in SpI mi chiedevano se ero ebreo e ancora me lo chiedono: come se la pace in MO. e tra israeliani e palestinesi fosse un problema ebraico!
Ci sono cambiamenti, è stato citato l’intervento di Vendola, che ho ascoltato in diretta quale osservatore al Congresso di SEL a Firenze lo scorso settembre. Bene! D’altronde chi studia da Presidente del Consiglio doveva dare alcune garanzie agli USA e alla Chiesa cattolica e così ha messo, opportunamente, da parte il documento congressuale approvato su questione palestinese e sulla laicità.
C’è un pezzo di sinistra italiana reduce da dure sconfitte, l’Italia è l’unico paese d’Europa in cui la sinistra tutta, dai socialisti ai leninisti, è assente dal Parlamento Nazionale e dalla delegazione italiana nel Parlamento Europeo, che si aggrappa ad una speranza caricando sulle spalle di una sola persona i problemi della sinistra: una base molto fragile e una responsabilità eccesiva per una sola persona.
Sì, la situazione nella sinistra italiana è nel complesso migliorata, ma da alcune discussioni su Facebook si rileva anche l’esistenza di uno zoccolo duro, che sostiene la soppressione dello Stato di Israele.
È peggiorato, invece, il quadro dei nostri interlocutori naturali in Israele, non vi è un Rabin o un movimento di massa, come Peace Now, anche se organizzazioni israeliane o israelo-palestinesi per i diritti umani sono molto attive per attivare una giustizia non piegata alla ragion di Stato.
Sembra paradossale che le due parti, sinistra italiana e Israele, non si incontrino ma si incrocino, senza confrontarsi realmente. Il confronto è più importante della pace? Certamente se per pace, ma sarebbe meglio chiamarla tregua, si intende assenza di una nuova Intifada o di rappresaglie diTsahal.
Se c’è pace il confronto è più facile e produce più pace. La sicurezza degli israeliani e l’esistenza di Israele sono due punti fermi, anche per dare uno Stato ai palestinesi. L’espansione di insediamenti nei Territori occupati, e per me anche l’espansione edilizia a Gerusalemme Est, nulla ha che a vedere con la sicurezza dei suoi cittadini, tutti anche gli arabi. Al contrario è una minaccia alla sicurezza.
In conclusione vorrei spendere poche parole su una proposta che va per la maggiore: Due popoli, due Stati.
È una formula semplice e come tale pare l’uovo di Colombo, ma dovremmo rifletterci sopra.
Due popoli, due stati, ma quale tipo di Stati? Uno puramente ebraico? E l’altro puramente mussulmano, neppure arabo? Due stati etnicamente puri e teocratici?
Non ci sarebbe nulla di sinistra in questo, ma molto di sinistro, per le persone laiche, libertarie e democratiche, che noi siamo.