Se è vero che non tutti i mali vengono per nuocere, è altrettanto vero che a quelle forze politiche che hanno ritenuto di essere le rappresentanti della sinistra italiana, la sconfitta del 25 settembre ha perlomeno posto degli interrogativi sulle ragioni della propria esistenza presente e futura.

Si tratta di interrogativi finalizzati a “mettere una pezza” per consentire ad una classe dirigente di tirare a campare o vi è la volontà di aprire una riflessione più profonda?

La ragione è cercare di dare risposte ad una società che sta profondamente cambiando affinché si possa garantire una sempre maggiore e generalizzata giustizia sociale quale presupposto per la vera libertà degli uomini, o semplicemente quella di sostituire una classe dirigente con un’altra?

Negli ultimi 30 anni, alcune formazioni politiche (ed una in particolare) hanno avuto la presunzione di ritenersi le legittime rappresentanti di quella parte del Paese che tradizionalmente si riconosceva nella sinistra italiana. Organizzazioni politiche e classi dirigenti che erano convinte di aver diritto di esistenza in ragione della non legittimazione degli avversari. Gli avversari non erano legittimati a governare perché fascisti, omofobi, razzisti o semplicemente impegnati a difendere interessi personali o di qualche azienda. Una classe dirigente che per ragioni prevalentemente legate alla propria storia politica personale non ha voluto aprire ad un revisionismo culturale che l’ha portata ad una contraddizione di fondo: essere di sinistra senza essere socialista in un’epoca nella quale solo una visione socialdemocratica poteva essere l’alternativa ai nazionalismi da una parte e al prevalere degli interessi della finanza globale dall’altra.

E’ stata imboccata la strada del “prodismo”, dell’ulivismo e del riformismo senza “se” e senza “ma”, e alla fine, come dimostrano i vari studi sui flussi elettorali, si è arrivati ad un Partito Democratico che ha raccolto buona parte del proprio consenso dalle classi più benestanti del Paese (prevalentemente del centro-nord) per le quali l’unico interesse era ed è mantenere il proprio benessere.

Sono stati gli anni delle “svendite” del patrimonio pubblico, della delegittimazione del ruolo dello Stato, dell’indebolimento del ruolo delle istituzioni, della precarizzazione del mondo del lavoro, delle leggi elettorali di stampo maggioritario che hanno determinato una rincorsa elettorale al centro, contribuendo a sbiadire i colori e le differenti culture politiche. Gli anni nei quali si è accentuata a dismisura la rincorsa ai diritti civili, dimenticando che questi ultimi, senza l’adeguata emancipazione sociale, divengono i diritti della minoranza che può socialmente ed economicamente permettersi di farli valere. Sono gli anni nei quali si è confusa la necessità di pari opportunità per le donne con le quote rosa, che invece di garantire le condizioni di base per agevolare la partecipazione delle donne alla vita politica e sociale del paese, hanno al contrario mortificato la donna relegandola a “specie protetta”.

Sono gli anni nei quali il popolo tradizionalmente di sinistra ha tolto il consenso alle forze politiche che si ritenevano loro rappresentanti, dichiarando di fatto il fallimento delle strade intraprese e dell’intera classe dirigente.

In questi giorni leggiamo di riflessioni, prese di posizione e iniziative che sostengono la necessità di aprire alla “questione socialista”. Si parla di costituenti socialiste e socialdemocratiche con un chiaro riferimento al socialismo europeo.

Chi, se non i sottoscritti (promotori della Costituente Nazionale PSE – Socialismo Italiano*), possono valutare positivamente l’idea di un percorso costituente del socialismo italiano? Ma attenzione, non bastano iniziative o qualche articolo sui giornali affinchè si creino progetti credibili!

Se si vuole essere realmente credibili, per prima cosa c’è bisogno di un passo indietro della classe dirigente (antisocialista) che ha avuto ruoli rilevanti negli ultimi trent’anni. Eliminate le “macerie”, si può aprire un percorso costituente che deve però mettere al centro le ragioni della propria esistenza e quindi una chiara visione socialdemocratica del futuro del nostro Paese, dell’Europa e del mondo intero.

*La “Costituente Nazionale PSE – Socialismo Italiano” nasce in Italia nel 2001, promossa da un gruppo di giovani ventenni animati dall’idea di sensibilizzare e promuovere la costruzione, anche nel nostro paese, di una grande forza del socialismo italiano come esisteva in tutta Europa. L’iniziativa coinvolse centinaia di giovani in tutta Italia, ma evidentemente gli interessi divergenti delle classi dirigenti che si sono succedute fino ad oggi sono responsabili di averne ostacolato la creazione o comunque di non averne mai creato i presupposti.

Daniele Delbene  – già Presidente nazionale Costituente PSE

Federico Pezzoli  –  già membro del coordinamento nazionale Costituente PSE

Vito Fiorinogià membro del coordinamento nazionale Costituente PSE

Antonio Leanza – già membro del coordinamento nazionale Costituente PSE

Luigi Rocca – già membro del coordinamento nazionale Costituente PSE

Fabio Picone  –  già membro del coordinamento nazionale Costituente PSE

Alessandro Tosigià membro del coordinamento nazionale Costituente PSE