Il retroscena. Dopo le parole di Davigo, anche Cantone per la decadenza. Lettera di Besostri a Grasso. L’ex direttore del Tg1: lascio

Un atto e una data irrompono nel caso Minzolini. Il 3 marzo del 2016 un funzionario del Comune di Roma protocolla con il numero progressivo “18” la materiale cancellazione dalle liste elettorali di “Minzo”, al secolo Augusto Minzolini, il retroscenista preferito di Silvio Berlusconi, al punto che l’allora capo del governo lo nominò direttore del Tg1. Ma una condanna per peculato, per via di 65mila euro spesi con la carta di credito aziendale, diventata definitiva a novembre 2015, inguaia “Minzo”.

Il 17 febbraio 2016 i giudici della Cassazione depositano le motivazioni della sentenza in cancelleria. Tempestivamente il Comune, il 3 marzo, cancella Minzolini dalle liste, perché alla sua pena principale – 2 anni e sei mesi – si aggiunge anche l’interdizione dai pubblici uffici per un pari periodo. Da ieri, quella data, è sul tavolo del presidente del Senato Piero Grasso.

A mandarcela è stato Felice Besostri, il battagliero avvocato anti Italicum e anti riforma costituzionale, che cita le parole di Pier Camillo Davigo nell’intervista a Repubblica Tv di giovedì: «Minzolini ha riportato la pena accessoria dell’interdizione, quindi non può fare il parlamentare, non lo può fare! Il Senato ha il dovere di dichiaralo decaduto». Davigo cita il paradosso di un cittadino che non può essere eletto in quanto interdetto, mentre Minzolini, pur interdetto e quindi non eleggibile, continua «a votare le leggi». Il grillino Luigi Di Maio diffonde il video di Davigo e ribadisce che il mancato sì alla decadenza è «un atto eversivo». Il presidente dell’Autorità anticorruzione Raffaele Cantone, in una nota per Antimafiaduemila, ricorda che “l’articolo 54 della Costituzione impone a chi ricopre cariche pubbliche di adempierle con disciplina e onore. È indubbio che chi è condannato per fatti di una certa gravità sia inidoneo a svolgere la funzione più importante che c’è, la rappresentanza parlamentare”.

Besostri va sul concreto e, nella lettera a Grasso chiede che “la giunta si pronunci senza indugio sull’interdizione”.

La Giunta per le autorizzazioni, come dice il presidente Dario Stefàno, sta studiando il caso, per capire tempi e modalità. Ma voto sulla decadenza e sull’interdizione stanno per essere superati da quello dell’aula sulle dimissioni. Sì, ieri “Minzo” ha garantito che «si dimetterà lunedì». Non lo ha fatto finora perché non accetta che sia «qualcun altro» a chiederlo finché è «nella pienezza dei poteri». Ma cosa succede se lunedì arriva la lettera? Fonti autorevoli del Pd al Senato già dicono che “l’indicazione sarà per il sì”, questa volta niente libertà di voto, anche se quello sulle dimissioni è segreto, al contrario di quello palese sulla decadenza. In condizioni normali, per mettere in calendario una richiesta di dimissione passano circa due mesi.

E di solito il primo voto respinge la richiesta. Se davvero Minzolini invia la lettera lunedì, i capigruppo potrebbero discuterne subito. Scontata la richiesta in questo senso di M5S. Anche il Pd potrebbe accelerare per riposizionare il partito dopo la pioggia di critiche per il voto contrario o l’assenza di molti senatori per la decadenza. Dopo le dichiarazioni di Graziano Delrio e di Matteo Renzi sull’errore commesso, è assai probabile un riposizionamento. Una prima verifica ci sarà col voto sul calendario, per alzata di mano, ma con la controprova delle luci, lì si vedrà chi vuole “dimissionare” Minzolini subito e chi no. La fonte autorevole del Pd ipotizza anche una data, subito dopo Pasqua, cioè dopo il 18 aprile, perché l’aula del Senato prima è occupata coi decreti. Ma sicuramente M5S battaglierà per votare prima.

Liana Milella

Fonte: La Repubblica