«Due casi, anzi tre, che apparentemente non hanno rapporti tra di loro, impongono una riflessione sulla elezione diretta del sindaco a 23 anni di distanza dall’entrata in vigore della La legge 15 marzo 1993 n. 81, che ha introdotto l’elezione diretta del sindaco e del presidente della Provincia (quest’ultima abrogata dalla  pressoché unanime, perché presentata come una vittoria dei cittadini, che avrebbero scelto  il loro amministratore non più i partiti.
Due dei casi si sono già consumati: la defenestrazione di Ignazio Marino a Roma e le dimissioni non spontanee della signora sindaco di Quarto, Rosa Capuozzo. Due Sindaci eletti con grande consenso popolare per Marino più del 60% dei consensi e per la Capuozzo la rottura con un sistema di condizionamento camorristico e la novità del Movimento 5 Stelle.

Il terzo è in corso: la posta in gioco è il Sindaco di Milano, un evento che ha sempre avuto un significato non municipale dalle prime amministrazioni socialiste, alle vittorie della destra leghista e forzista fino alla riconquista arancione, anzi del doppio arcobaleno, con la vittoria di Giuliano Pisapia, prima alle primarie e poi nelle urne con il ballottaggio vinto contro la Moratti nel 2011, dopo 18 anni di predominio forzista e leghista.
Poca attenzione sistemica si è  prestata agli effetti della “riforma”, compreso al significato della parola, che una volta era una “Modifica volta a dare un nuovo e migliore assetto a qlco., in partic. in ambito politico, sociale, economico” ora ridotto al sinonimo di cambiamento/innovazione, anzi al semplice cambiamento, come è per la legge elettorale, che riproduce le incostituzionalità del Porcellum e, ancor più grave, la revisione costituzionale, che sarà oggetto di referendum nell’autunno di quest’anno. Il problema non è l’elezione diretta cheè prevista da molti ordinamenti, da quello statunitense in generale o da quello tedesco per i comuni, che optino per la  Bürgermeisterverfassung, con elezione distinta e non sempre contestuale del sindaco e del consiglio. L’elezione diretta anche per il vertice esecutivo di una regione, di uno Stato o di una Federazione costituisce la forma di governo presidenziale, ingiustamente rifiutata a priori, quasi per principio nel nostro paese, come equivalente di un sistema autoritario. Tuttavia dove vige ci sono anticorpi, che assicurano il controllo dell’esecutivo in primo luogo una rigida divisione dei poteri. Sul punto la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino del 1789, lascito immortale della Rivoluzione francese è netta:”Articolo 16-Ogni società in cui la garanzia dei diritti non è assicurata, né la separazione dei poteri determinata, non ha costituzione”.

In Italia a causa della paura per le forme di governo presidenziali e dei sistemi elettorali maggioritari, non per amore della democrazia, ma per timore del popolo, abbiamo inventato un ircocervo istituzionale, cioè la proporzionale con premio di maggioranza e elezione diretta di diritto( comuni e regioni) o di fatto(nella revisione costituzionale in corso) del Capo dell’esecutivo. Nei sistemi elettorali maggioritari la maggioranza va conquistata collegio per collegio, cioè bisogna averla, nel nostro è un premio alla minoranza più consistente con il capo più piacente. Il premio per di più non è attribuito in base ai consensi delle liste in lizza, ma dei voti del candidato sindaco o presidente di Regione, per il quale è ammesso di regola il voto disgiunto quindi una quota consistente dei consiglieri sono consiglieri del sindaco, cui devono l’elezione, e non rappresentano i cittadini. A coronamento del tutto vi è la formula “simul stabunt, simul cadent”, cioè la stabilità degli esecutivi non è assicurata dalla positivamente sperimentata formula della sfiducia costruttiva, cioè che non puoi fai cadere un’amministrazione se non hai una maggioranza assoluta di ricambio, ma dal ricatto di nuove elezioni: una formula di successo quella che ha tenuto in vita un parlamento eletto con una legge incostituzionale. I cittadini non hanno una rappresentanza, che risponda a loro, ma ai partiti o gruppi di interessi lecito o illeciti(p.es. camorra a Quarto),che hanno scelto i candidati da eleggere. L’asservimento agli interessi esterni è stato completato dalla riduzione dei poteri decisionali  dell’assemblea rispetto all’esecutivo. Se il consiglio comunale o regionale non conta per le grandi decisioni, già c’è una selezione negativa a monte. Una volta l’entrata nel consiglio era la porta per la nomina ad assessore ed anche a sindaco od anche la prima formazione della classe politica  destinata a altri incarichi elettivi: tre nomi a caso e non esaustivi per Milano Craxi, Cossutta e Malagodi. Chi abbia idee per Milano ora ha solo una scelta mettersi nella cordata del candidato sindaco con più possibilità di successo, indipendentemente da chi sia. La perdita di prestigio dei consigli è, a mio avviso, una e non ultima  delle cause delle degenerazioni che hanno colpito quasi tutti i consigli regionali (per questo premiati nella composizione del futuro Senato a mezzo servizio, ma con immunità piena)  e consigli comunali ( processo di mafia capitale). L’elezione diretta specialmente nelle grandi metropoli non si basa sulla conoscenza diretta del candidato, maturata per la sua azione nell’amministrazione: a memoria il solo Sandro Antoniazzi è rimasto in Consiglio dopo una sfortunata candidatura a sindaco. In Germania è praticamente la regola per sceglier i candidati alla presidenza di un Land aver maturato esperienza e acquisito visibilità come capo della maggioranza o della minoranza.

Da noi, invece, i casi sono due o si ripresenta il sindaco uscente ovvero bisogna inventarsi un candidato, che lo possa battere in popolarità: che sappia fare il sindaco è secondario. Bisogna attirare personaggi mediatici, che eventualmente concepiscano la carica come trampolino per più alti destini come è stato per Renzi e Del Rio, già sindaci di Firenze e Reggio Emilia. In questa logica le primarie sono necessarie, ma in assoluta mancanza di trasparenza e regole certe. Le primarie non hanno alcuna base legale, a differenza del paese che le ha inventate. La selezione dei candidati e il diritto di voto sono decisi di volta in volta da chi le organizza e se ne sono viste di tutti i colori compreso il voto ai sedicenni e agli stranieri non cittadini UE. Per le Città Metropolitane, come Milano, c’è una contraddizione in più. Il sindaco di Milano è per legge il Sindaco metropolitano, che dovrebbe governare 3.195.000 abitanti, ma eletto da  600.000 elettori di una città di 1.251.000 abitanti, meno del 40% del totale. Ebbene i cittadini metropolitani sono esclusi dalle primarie. In un primo momento avevo deciso di non partecipare, ma ho cambiato idea perché è l’unica, per quanto parziale, occasione per riprendersi una parte della sovranità, che mi appartiene per l’art. 1 della Costituzione.  la scelta è semplice bisogna impedire che la carica di Sindaco di Milano sia decisa a Roma o la prossima volta a Bruxelles, sempre guardando ad interessi materiali dei gruppi di potere e potendo scegliere chi conosca la macchina comunale e sappia affrontare la  situazione delle finanze pubbliche  sempre più precaria per sciagurate scelte  governative8abolizione IMU e per il buco delle aree Expo (certo) e dello stesso evento espositivo (altamente probabile). Dovrebbe essere l’occasione anche per cominciare a discutere dei potenziali conflitti di interesse con una normativa che, come fossimo in un villaggio di campagna, prevede l’incompatibilità di un titolare di farmacia, ma non di essere stato a capo  di una società pubblica ad alta esposizione mediatica r di essere amministratore di un ente, che è tra i massimi creditori del Comune di Milano, come erogatore di mutui. Se il sindaco si sceglie con le primarie è in quel momento che la  gara non deve essere condizionata e alterata.

Felice Besostri

Milano, 30 gennaio 2016