«II dibattito in corso nella sinistra da dopo le Europee a cui il «Manifesto» ha dato ampio spazio, richiede di fare un punto: Credo due tendenze   di fondo si siano affermato, che sarà bene Individuare nella loro differenze é rispetto alle quali decidersi. Perché decidersi è urgente, necessario, in una situazione in cui Renzi (sia pure alle prese con difficoltà crescenti) disimpegna un ruolo di dominus praticamente incontrastato. Manca  una alternativa sia a destra, sia a sinistra. Questa è la vera forza di Renzi, ciò che rende inevitabili le politiche di «larghe intese».

Ma questa è altresì una preoccupante novità, dato che persino nel ventennio berlusconiano c’era un polo dl centro-sinistra che almeno disimpegnava una funzione di garanzia democratica, se non di alternativa (che questa, evidentemente, non c’è mai stata). La sinistra deve ripensarsi da qui. Da sfide nuove non solo per il sistema politico, ma per la democrazia come tale. Basti pensare all’inusitato attacco al Senato democratico, cioè elettivo, ma anche al raddoppio delle firme necessarie per una legge di iniziativa popolare o di un referendum abrogativo. Senza dire della abolizione della eleggibilità delle Province o dell’italicum. Democrazia rappresentativa e democrazia diretta sono oggi un unico attacco. Anche questa una cosa mai vista. La sovranità popolare come tale è in questione. Se non in pericolo. La sinistra che ha da dire? Il dibattito e l’azione politica sono all’altezza di tali sfide e doveri? Proverò e rispondere dirimendo le due tendenze di fondo cui accennavo all’inizio.
La prima mi sembra riguardi un settore della sinistra italiana che avanza una proposta sbagliata e svelatasi a più riprese perdente. Penso all’intervento di Guido Viale sul «Manifesto» di qualche tempo fa o alla relazione di Marco Revelli alla recente assemblea nazionale della Lista Tsipras. Contributi che hanno un fondamentale impianto anti-partitico e perciò stesso anti-politico; in cui cioè società civile e movimenti sono contrapposti per principio alla dimensione della politica, dell’organizzazione, della mediazione. Alla crisi della politica non si può ovviare con un siffatto approccio, che rimane tutto interno alla crisi stessa.

E anzi costituisce l’errore strategico, che è dietro tutte le improvvisazioni e i fallimenti di questi anni, da quelli elettorali di Sinistra Arcobaleno e di Rivoluzione Civile, a quelli politici di Alba, di Sel, di Rifondazione. Il secondo filone risulta più credibile e condivisibile, ma anche, credo, più debole. E quello di chi ritiene indispensabile arrivare presto alla costituzione di un nuovo partito della sinistra italiana, di chi lo considera una necessità per la sinistra, per la politica, per la democrazia.
Penso ad Asor Rosa, che sul «Manifesto» del 19 luglio, di contro al «polo brutalmente unificante» delle politiche neo-centriste, rimanda al «modello europeo dell’alternanza» e intorno a questo propone di ripensare un nuovo soggetto politico della sinistra. Niente di politicista o “organizzativista”. Il contrario: la riorganizzazione della sinistra intorno ad .un progetto politico, ad un’ipotesi di società e di Paese, ad una rinnovata centralità del lavoro alternativa all’ideologia liberista, ad una idea di democrazia e di sovranità popolare che metta in crisi la normalizzazione sistemica di Renzi. Anche Piero Bevilacqua, sempre sul «Manifesto»; ha avanzato proposte simili: «riorganizzazione del fronte alternativo», «solidificarsi in strutture in grado di rendere permanente la militanza politica», una «forza unitaria che faccia da collante generale, da continuatore istituzionale della spinta partita dal baso». Vecchi schemi da superare: società civile versus politica, movimenti contrapposti a partiti, spontaneismo contrò organizzazioni. Il tempo delle decisioni è ora. Solo una fase «costituente» culturale e politica potrà portare la sinistra italiana ed europea oltre la sconfitta epocale lasciataci in eredità del 1989. Cioè dal Novecento.

Fabio Vander