Sabato 21 agosto 2010 si sono celebrate le elezioni federali in Australia. Si rinnovavano tutti i 150 seggi della camera dei rappresentanti e 40 dei 76 seggi del Senato. Per la prima volta dalle urne non è uscito un partito vincitore in grado di portare il suo leader alla carica di primo Ministro.

Il Labour Party australiano ha ottenuto 72 seggi, lo stesso numero alla Coalizione
Liberal Nazionale. Si prospetta un caso di "hung parliament", cioè di parlamento
appeso.
Ciascuno dei partiti o coalizioni ha bisogno di 4 voti aggiuntivi per avere la
maggioranza assoluta, quindi devono di pendere dalle decisioni dei 4 indipendenti e
dei 2 rappresentanti rispettivamente del partito dei Verdi e del Partito Nazionale
dell’Australia Occidentale. L’orientamento degli indipendenti è piuttosto conservatore,
infatti 3 di loro sono provenienti dal National Party e il quarto dai Verdi, ma durante
la campagna elettorale sono stati attaccati nei loro seggi dalla Coalizione, che puntava ad una netta vittoria e con i sondaggi ancora favorevoli per i laburisti . In effetti, invece, la percentuale del Labour è diminuita del 5,2% rispetto al 2007, mentre la Coalizione ha guadagnato un 1,3%. Le perdite laburiste sono in massima parte andate a vantaggio dei Greens (+3,7%) come delusione all’abbandono del programma fortemente ambientalista del precedente premier Kevin Ruud . I problemi interni al Labour sono tra le cause della sconfitta, non è riuscito cioè alla
premier uscente Julia Gilliard di sostituire la popolarità di Kevin Ruud, alla cui defenestrazione dalla leadership ha contribuito, dopo esserne stata la vice per 3 anni,
Lo score di Kevin Ruud nelle elezioni del 2007 rimarrà ineguagliato: non solo ha sconfitto il liberal-conservatore Howard, ma quest’ultimo perse addirittura il suo seggio. Il Labour Party guadagnò 23 seggi e con 83 seggi distanziò gli avversari di 18 seggi. La defenestrazione della leadership nel giugno 2010, non ha consentito alla
Gilliard di imporsi all’opinione pubblica, benché fosse stata la presunta impopolarità di Ruud per alcune proposte in materia ambientale e di mercato del lavoro.
L’Australia ha un complicato sistema di voto maggioritario, che spiegarlo esaurirebbe lo spazio disponibile, in sintesi favorisce i due partiti maggiori per questa ragione i
conservatori divisi in tre partiti si presentano come coalizione, ma conta altresì il candidato nel singolo collegio. In queste elezioni la Coalizione con il 43,4% ha
ottenuto 72 seggi, quando il Labour nel 2007 vinse con 83 seggi aveva una percentuale analoga del 43,38%. La stessa "vittoria" della Coalizione con la conquista di 7 seggi in più è dovuta soltanto ad uno dei partiti della Coalizione, il Partito Liberale del Quensland passato da 0 a 23 seggi a scapito degli altri Partiti della Coalizione: il conto è presto fatto dal momento che il Labour ha perso 11 seggi. I Verdi riescono ad entrare nella Camera dei Rappresentanti con un parlamentare solo, pur avendo ottenuto 11,55 dei voti. La lezione australiana è importante per i fanatici dei sistemi elettorali maggioritari, già delusi, almeno quanto i tifosi delle Terze Forze, dai risultati delle elezioni britanniche che hanno condotto ad un inedito governo di coalizione Liberal-Conservatori. Eppure è piuttosto all’Australia che agli Stati Uniti che bisogna guardare per valutare l’opportunità di introdurre un sistema uninominale maggioritario in Italia. L’Australia è uno stato federale con una seconda camera, il Senato, dotata di poteri estesi. Malgrado il sistema elettorale l’Australia è un paese pluripartitico, ci sono 4 gruppi parlamentari presenti nella Camera Bassa, ma la Coalizione Liberal-nazionale è composta da 3 partiti, Partito Liberale, Partito Nazionale e Partito Liberale del Queensland,con differenze non inferiori a quelle presenti all’interno dell’italico PdL. Altra caratteristica australiana è la non omogenea distribuzione territoriale dei partiti. Un sistema elettorale uninominale maggioritario secco funziona soltanto in presenza di soli 2 partiti omogeneamente distribuiti sul territorio nazionale. In tutte le altre situazioni possono produrre instabilità. In Italia ci sono 2 partiti regionali maggiori, la Lega Nord nel settentrione padano e il PD nelle "regioni rosse" del Centro e una serie di partiti installati in una sola regione o provincia come la SVP, l’UV, il PPT o lo MPA. Nessuna maggioranza si delineerebbe con chiarezza, a meno che non ci fossero accordi preventivi di desistenza nei collegi: un altro modo di fare liste bloccate. Le leggi elettorali influenzano il sistema politico ma non la cultura politica. Ne abbiamo gli esempi sotto gli occhi con la formazione
del PD e del PdL, frutto di un sistema elettorale che credevano di sfruttare per i vantaggi del premio di maggioranza e delle liste bloccate. Invece ne sono stati vittime
per l’impotenza delle convivenze forzate: dove la cultura politica è maggioritaria ci sono partiti con una forte leadership politica e non padronale del tipo berlusconiano. Dove la cultura politica non è maggioritaria i partiti formali sono leggeri, perché sono forti i vincoli identitari e tribali dei gruppi, che li compongono. Nella situazione
politica italiana non c’è legge elettorale che tenga., che possa avere effetti taumaturgici o salvifici, tanto più quando non vi sia un consenso vasto sulle sue
caratteristiche. Apparentemente la scelta dovrebbe essere tra un sistema proporzionale con clausola di sbarramento (sistema tedesco) e un, non meglio precisato, sistema maggioritario uninominale. Se si vota anticipatamente o meno si voterà con questa legge, a meno che il PdL non si sfilacci anche al Senato. Le liste bloccate sono un attrazione fatale per i gruppi dirigenti dei partiti e senza nuovi soggetti politici, favoriti da una legge sui partiti politici, le elezioni serviranno solo a perpetuare i gruppi dirigenti in carica.

Felice Besostri