«BESOSTRI. Signora Presidente, colleghi, non ho deciso subito di intervenire su un argomento apparentemente estraneo ai temi di cui mi occupo normalmente all’interno della 1a Commissione; ma ho poi ritenuto necessario dare un contributo di approfondimento su alcuni aspetti del testo in esame. È opportuno chiarire contraddizioni e problemi che sono probabilmente il risultato dell’accordo molto sofferto trovato alla Camera dei deputati, che ha prodotto un testo normativo di cui nessuno può dichiararsi soddisfatto.
Questo ramo del Parlamento è attualmente diviso tra due ipotesi: se, malgrado questa insoddisfazione, si debba approvare senza variazioni il testo licenziato dalla Camera dei deputati o se invece si debba porre rimedio alle parti più controverse del testo che ci è stato trasmesso. Abbiamo ascoltato argomentazioni forti a favore dell’una e dell’altra soluzione.
L’argomento forte in favore della conservazione del testo in esame è l’assoluta mancanza di regolazione di un fenomeno già esistente, dovuto ai progressi della scienza medica; questa situazione costituisce già di per sé un pericolo maggiore dell’eventuale imperfezione del disegno di legge che ci accingiamo ad approvare.
Dall’altro lato, si può obiettare che, se per ottenere una regolamentazione qualunque, si introducono princìpi e formulazioni che anziché risolvere i problemi sono destinati a moltiplicarli, è preferibile porre rimedio tempestivamente alla situazione prefigurata dal testo di legge in esame.
Personalmente sono di questa seconda opinione e non già perché in questa occasione si debba procedere a un confronto dei nostri profondi convincimenti etici o filosofici.
Sarebbe sbagliato se, con l’intenzione, che tutti dovremmo avere, di dare una risposta ad un problema reale che coinvolge molte famiglie ed interferisce sulla vita di tante coppie e sulla possibilità stessa di mantenerle (numerosi matrimoni, infatti, vanno in crisi per l’impossibilità di avere figli), trasformassimo quest’occasione in una sorta di Kulturkampf dove si devono scontrare due concezioni diverse del mondo.
Sarebbe sbagliato, quale che sia la concezione che dovesse trionfare: le concezioni del mondo, quelle che coinvolgono le nostre più intime convinzioni non possono essere tradotte in norme di legge, qualunque sia quella che prevale, perchè essa si affermerebbe in base alla logica parlamentare delle maggioranze e delle minoranze che nulla ha a che fare con la validità o meno delle convinzioni che sosteniamo.
Per questa ragione, anche se alcuni colleghi molto autorevolmente hanno parlato di una concezione liberale rispetto ad una cattolica o cristiana, non vorrei scendere su questo piano: ritengo che la legge debba intervenire il meno possibile e il minimo necessario nelle scelte che sono rimesse alla coscienza individuale e alle proprie decisioni, perché è in tali scelte che si manifesta la differente concezione del mondo che ciascuno ha e che tutti dobbiamo rispettare, secondo il modello della nostra Costituzione repubblicana, che non fa nessuna scelta rispetto a valori che non siano quelli democratici comunemente condivisi.
Vi sono, dunque, alcuni elementi di perplessità che, a mio avviso, richiedono che questo testo sia comunque modificato: poco, tanto o radicalmente. Il primo è che non si può prevedere questa normativa, facendo parte di uno spazio giuridico europeo, senza tener conto delle regolamentazioni degli altri Stati, o perlomeno senza disciplinare questa situazione.Che succede, infatti, di una fecondazione eterologa realizzata tra italiani in Belgio, dove è ammessa? La nostra sanzione penale si estende anche ai fatti commessi in un altro Paese in conformità alla legislazione locale? Che dire se, poi, la coppia è composta da cittadini appartenenti a diversi Stati, tutti all’interno dell’Unione, ma con regimi diversi? L’embrione che trae origine da un ovulo che sia stato asportato in Italia e fecondato in Francia a quale regime giuridico è soggetto?
Dobbiamo dare una risposta a tali questioni soprattutto perché – ed è questo, a mio avviso, uno degli aspetti della legge che più crea perplessità – abbiamo voluto dare rilevanza giuridica all’embrione. Una volta che abbiamo compiuto tale scelta, non possiamo più dimenticarla in tutti gli aspetti che ne conseguono: se equipariamo – come è stato fatto con questa legge – l’embrione alla persona umana, allora esso può anche essere adottato. Non volendo introdurre la parola «adozione», ci si è comportati come se quella dell’embrione sia quasi un’adozione, disciplinata «come se» fosse tale, ma stiamo parlando di un vecchissimo istituto giuridico. Ciò ha semplicemente il significato di confermare che è stata compiuta un’equiparazione tra l’embrione e la persona e dobbiamo allora intervenire per regolare tutti gli aspetti connessi ad essa.
Manca perciò una visione complessiva europea e in ogni caso non vi è una regolamentazione dei fatti che avvengono, per così dire, a cavallo tra una legislazione e l’altra, e che siano conformi ad una legislazione e, magari, contrari all’altra.
Entriamo ora nel dettaglio di alcuni articoli.
L’articolo 12, al comma 2 recita: «Chiunque realizza un processo volto ad ottenere un essere umano discendente da un’unica cellula di partenza, eventualmente identico, quanto al patrimonio genetico nucleare, ad un altro essere umano in vita o morto è punito con la reclusione da dieci a venti anni e con la multa da lire 100 milioni a lire 300 milioni, e con l’interdizione perpetua dall’esercizio della professione».
Cosa si colpisce con questa norma: il tentativo o l’effettiva generazione, partendo da questo embrione, di un altro essere umano clonato?
Tale questione non può restare nel vago, perché vi è una differenza se l’espressione «realizza un processo volto» viene riferita anche soltanto ad un tentativo oppure ad un processo che consegue l’obiettivo.
Inoltre, la legge, deve quanto meno stabilire cosa ne sarà dell’essere umano clonato. È un corpo del reato? Cosa ne facciamo? A seconda dello stadio dello sviluppo, lo sequestriamo e lo conserviamo per affrontare il processo, per dimostrare se – perché sarà questa la linea della difesa – si tratti di una cellula di partenza umana e non, magari, di un altro esperimento. Ciò ammetterebbe la possibilità di sopprimere l’embrione ad un certo stadio? Ma come si fa ad ammettere una simile possibilità se abbiamo statuito che l’embrione ha già dei diritti al momento del concepimento?
Entriamo quindi in un ginepraio – spero che i colleghi se ne rendano conto – dal quale diventa poi difficile uscire. Oppure, dobbiamo portare l’embrione a compimento, perché soltanto lo sviluppo dell’essere umano derivante da clonazione può fornire la prova che siamo di fronte all’ipotesi prevista dall’articolo 12, comma 2. E in tal caso, l’essere che da ciò deriva, è o no un essere umano?
Questi non sono interrogativi irrilevanti, perché il problema si è posto anche in sede di Consiglio d’Europa, dove l’Assemblea, sulla base di una mia proposta di emendamento, ha chiaramente affermato che il frutto di una clonazione vietata é un essere umano cui devono essere garantiti tutti i diritti riconosciuti agli altri esseri umani. Infatti, se ciò non venisse affermato, spero vi rendiate conto che si verrebbe a creare una contraddizione per cui, negando l’umanità di un essere umano in quanto derivante da un processo di clonazione vietato, diventerebbe legittimo sopprimerlo,
anzi, dovrebbe essere un dovere.
Ma cosa si dovrebbe fare se questo problema si dovesse porre nel momento in cui viene fatta un’irruzione in un laboratorio clandestino dove vi sono, a diverso stadio di sviluppo, esseri derivanti da clonazione, in presenza di un principio che sancisce che gli effetti del reato vanno arrestati? Ciò vorrebbe dire che è consentito sopprimere embrioni a qualsiasi stadio di sviluppo essi si vengano a trovare.
Questo è uno dei tanti problemi che ci pone l’attuale formulazione.
Per risolvere il problema, vogliamo forse approvare un testo in cui non sappiamo se la dizione «realizzare un processo volto» si riferisca all’intenzione, ad un primo stadio o comprenda anche il risultato finale, vale a dire un uomo perfettamente clonato da un altro uomo? A questo punto, è chiaro che le ipotesi di gravità del reato sono molto diverse se riferite al solo tentativo di clonare ovvero all’effettiva realizzazione di uomini clonati.
Peraltro, rispetto al reato che si configurerebbe mi sembra si prevedano, tra l’altro con riferimento al semplice tentativo, pene più onerose di quelle che concretamente vengono comminate anche in caso di omicidio: dare la vita in questo modo è dunque punito come uccidere un essere umano. Non mi arrenderei così facilmente a questa scelta che ha effettuato il legislatore dell’altro ramo del Parlamento!
Passiamo ora ad un altro articolo, il 16. Al comma 3 si stabilisce che «Entro dieci giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, le strutture e i centri di cui al comma 1 trasmettono al Ministero della sanità e al giudice tutelare territorialmente competente i seguenti elenchi non pubblici: un elenco (…) contenente l’indicazione numerica degli embrioni destinati a tecniche di procreazione medicalmente assistita, formati nel periodo precedente alla data di entrata in vigore della presente legge, unitamente all’indicazione nominativa di coloro che hanno fatto ricorso alle tecniche medesime, a seguito delle quali sono stati formati gli embrioni (…)».
Tenete presente che se non vengono rispettate alcune di queste indicazioni è prevista una sanzione penale, per un fatto che non era sicuramente reato al momento in cui è stato commesso: anche qui, a mio avviso, ci troviamo in presenza di un’altra violazione di un principio costituzionale.
Ma poi quale fondamento giuridico ha questa schedatura ex post per un’attività non regolata dalla legge e perciò presuntamente lecita? Quello di rivelare a chi è nato grazie a questa tecnica, contro la volontà di chi ha fatto ricorso ad essa (cosa perfettamente lecita prima dell’entrata in vigore della legge) e che può aver deciso in coscienza di non farlo sapere al figlio, di non essere nato da un parto assolutamente regolare? È vero che questo elenco resta segreto, ma è una segretezza del tutto relativa.
Le contraddizioni maggiori derivano proprio dal consentire l’adozione dell’embrione, perché questa mal si concilia (mi pare che qualche collega l’abbia già rilevato) con il divieto della fecondazione eterologa, perché se c’è sicuramente qualcosa di eterologo, questo è l’embrione adottato.
Com’è possibile, allora, che una fecondazione eterologa, di cui sono consenzienti (come per l’adozione) i genitori, dove per lo meno uno dei due è genitore dell’embrione, è un reato e invece se si adotta l’embrione, questo non costituisce più un reato? Fra l’altro, questa adozione richiede quello che si vieta, e cioè l’impianto dell’embrione fecondato nell’utero di un’altra donna, cioè della madre adottiva. Ma allora questo sarebbe consentito? È consentito in determinati casi, cioè in quelli di adozione.
E perché, allora, e quali sono a questo punto le ragioni che impediscono che lo stesso fatto che viene ritenuto lecito in un’ipotesi non lo sia in un’altra? Qui operiamo delle scelte che in questo senso sono arbitrarie.
Inoltre, vi è la previsione di non punibilità delle coppie che hanno fatto ricorso alla fecondazione eterologa, secondo un giusto principio di civiltà: è prevista, insomma, la punizione del medico che li ha assistiti per violazione della legge, ma non della coppia. Nulla o poco si dice, però, in relazione ancora una volta al frutto di questa fecondazione eterologa. Dobbiamo esplicitare in maniera molto chiara quali sono, appunto, i diritti e le relazioni: dobbiamo aggiustare tutta la nostra legislazione in merito.
Nel riconoscimento o nel disconoscimento di paternità gli esami di carattere genetico sul DNA sono ammessi, mentre ai fini di stabilire (e non di escludere) chi è la madre nel caso di utero in affitto sono esclusi, cioè si parte dal principio che, per legge, madre è quella che ha partorito il bambino.
Naturalmente questo principio vale finché – a prescindere dalla tecnica dell’impianto – abbiamo a che fare con un parto naturale. Vi chiedo però se vi rendete conto di quali problemi potranno sorgere con una fecondazione totalmente extrauterina. Io non ho una risposta in proposito. Mi domando se anche questo metodo – o meglio il frutto di esso – sia ammesso oppure no.
Francamente si tratta di una serie di problemi che fanno tremare i polsi nel volerli affrontare. Sono problemi che non pensavamo di dover affrontare; la realtà delle cose e lo sviluppo della tecnica (quest’ultima motivata da intenzioni generose o da intenti speculativi, ma questo è un problema – a mio avviso – secondario) hanno creato fatti nuovi che richiedono risposte diverse e sicuramente meditate ma, soprattutto, risposte omogenee nello spazio giuridico nel quale abbiamo scelto di vivere. Altrimenti si riprodurrebbe fatalmente una situazione analoga a quella del periodo in cui l’aborto era consentito in alcuni Paesi e non in altri, con una serie di problematiche, anche di ordine pratico, che sarebbe ingiusto sottovalutare.
Qualcuno di voi avrà giudicato alcuni aspetti e passaggi del mio intervento paradossali, ma a volte è necessario ricorrere al paradosso, che contiene sempre una parte di verità, per porre il legislatore di fronte alla necessità di meditare in maniera approfondita su un provvedimento.
Credo che la motivazione ± che condivido ± della necessità di dare una risposta alla fecondazione medicalmente assistita, sulla quale tutti quanti siamo d’accordo, abbia fatto ritenere all’altro ramo del Parlamento che di fronte a problemi così grandi vi fossero delle scorciatoie. Non ci sono; ho cercato di farlo presente e mi sono limitato a due articoli che ho esaminato con un’ottica diversa da quella medica o del diritto della donna, dell’uomo e, più in generale, dell’individuo, di avere dei figli. Questi articoli però sono sufficienti a dimostrare come sia necessario che questo provvedimento ritorni in Commissione per pervenire ad un testo che, quantomeno, dia una risposta ad alcuni dei problemi che ho sollevato.
(Applausi dal Gruppo DS).