«Confesso che non ho mai lavorato a una catena di montaggio e che alla mia età (66 anni) è impossibile che ci lavori in futuro. Mia figlia si è brillantemente laureata e io sono stato brutalmente collocato a riposo d’ufficio dalla mia università. Dunque non avrei titolo per parlare degli accordi FIAT e/o della legge Gelmini. Posso obiettare che non viviamo in uno stato fondato su corporazioni, ma in una democrazia rappresentativa dove il popolo è sovrano ed è composto di cittadini con pari dignità e diritti. Posso ricordare che è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli che impediscano, di fatto, l’esercizio dei diritti garantiti dalla Costituzione e la piena partecipazione all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese. Con buona pace di Landini, Bonanni, Angeletti e Marchionne dirò, pertanto, la mia sugli accordi separati per Pomigliano e Mirafiori, come, in altra occasione, dirò la mia sull’Università nonostante la Gelmini, gli studenti e i ricercatori tuttora in servizio.

Come cittadino sono interessato alla ripresa economica e agli investimenti produttivi, così come al rispetto della Costituzione, come cittadino socialista sono particolarmente interessato alla giustizia sociale e all’estensione delle libertà e al principio di uguaglianza: una specificazione necessaria perché non sono un asettico osservatore neutrale.
In realtà, la nostra Costituzione, a leggerla bene, non contrappone cittadini e lavoratori, semmai non è stata attuata nei Titoli III (Rapporti economici) e IV (Rapporti politici) della Parte Prima: logicamente l’attuazione della Costituzione dovrebbe precedere la sua modifica, ma in politica e nel dibattito pubblico non sempre la logica s’impone, ma le priorità sono determinate dagli interessi di chi ha maggiori poteri, compreso quello di influenzare i mezzi di informazione di massa.
Pare che non ci sia scampo: se non stai dalla parte di Marchionne e dei sindacati firmatari separati sei un estremista conservatore, se non sei schierato con la FIOM un servo dei padroni. La realtà è sempre più complessa delle semplificazioni interessate e allora è necessaria una bussola per orientarsi: la mia è quella della Costituzione della nostra Repubblica e non perché sia un giurista di formazione, ma perché è il patto di cittadinanza.
Se valori costituzionali sono in gioco, non valgono considerazioni pratiche. Se valori costituzionali sono in gioco, la tutela è giurisdizionale o non c’è in uno stato di diritto. “Ci sarà pure un giudice a Berlino” ebbe il coraggio di dire un semplice mugnaio di Potsdam a un potente Kaiser tedesco e prima di concludere che non ci sia in Italia, come nel caso di leggi elettorali di sospetta costituzionalità, bisogna provarci. Le relazioni sindacali, in un paese democratico, sono caratterizzate da una contrattazione competitiva, cioè ciascuna delle parti cerca di ottenere il massimo dei vantaggi. Non è, pertanto, in discussione il diritto/dovere di Marchionne di fare gli interessi della FIAT, che probabilmente sono anche i suoi, se detentore di stock option, e dei sindacati di ottenere il massimo per i loro associati. Non costituisce, neppure, scandalo che vi possano essere divergenze tra i sindacati, su quali siano gli interessi prioritari dei lavoratori: per esempio la conservazione del posto di lavoro rispetto a miglioramenti salariali o ritmi di lavoro meno stressanti. Per un socialista di stampo europeo viene subito alla mente, che le differenze di opinione tra i sindacati, per non indebolirsi vicendevolmente, è opportuno che siano risolte prima di sedersi al tavolo con la controparte: la sede migliore sarebbe nell’ambito di un sindacato unitario sia di categoria che confederale, tipo IG Metal e DGB tedesche. Se politicamente non è possibile, non c’è altra via, che dare, finalmente, piena attuazione all’art. 39 della nostra Costituzione. I suoi principi sono chiari: l’organizzazione sindacale è libera, ma può essere imposto un obbligo di registrazione. Per registrarsi i sindacati devono avere statuti a base democratica (stranamente non vi è la stessa chiarezza per i partiti politici nel successivo art. 49) e i sindacati registrati hanno personalità giuridica e possono stipulare “rappresentati unitariamente in proporzione dei loro iscritti” contratti collettivi con efficacia erga omnes.
Senza l’attuazione dell’art. 39 Cost. ogni accordo sulla rappresentanza che discrimini una sigla sindacale rispetto alle altre rischia di collidere con gli artt. 2 e 3 della Costituzione, poiché non è dubbio, che il sindacato sia una formazione sociale e che l’appartenenza sindacale non possa essere fonte di discriminazioni sul luogo di lavoro.
Si pone un problema anche di rispetto dell’art. 21 Cost. sulla libertà di manifestazione di pensiero, che nel caso specifico è tutelato anche dall’art. 1 Statuto dei Lavoratori come diritto di critica “I lavoratori, senza distinzione di opinioni politiche, sindacali e di fede religiosa, hanno diritto, nei luoghi dove prestano la loro opera, di manifestare liberamente il proprio pensiero, nel rispetto dei principi della Costituzione e delle norme della presente legge”. Se l’ultima parola spetta ai lavoratori, la volontà democraticamente e liberamente espressa costituisce un vincolo anche per chi fosse contrario all’accordo e avesse fatto propaganda per il NO. Se il referendum è respinto per ragioni di principio, bisogna impedire che sia celebrato con un ricorso al giudice del lavoro. Quanto sia opportuno rimettersi a un giudice come organizzazione sindacale ho forti dubbi, tanto più quando, se è vero che sono in gioco diritti indisponibili, il ricorso può essere fatto da singoli lavoratori chiamati a partecipare al referendum. Un altro fattore di relativa debolezza della FIOM è che le organizzazioni di categoria firmatarie hanno coinvolto le loro confederazioni. La FIOM, invece, ha tenuto e tiene la CGIL a distanza, a meno che non si adegui alla linea decisa dalla maggioranza della categoria. La posizione della segretaria generale della CGIL, Susanna Camusso, consente di mettere in croce Marchionne e i sindacati firmatari separati in caso di firma per adesione successiva della FIOM. Nel caso non ci fosse l’unanimità che le parti originarie firmatarie hanno previsto espressamente, in contrasto con tutte le prassi sinora seguite, per le adesioni successive, sarebbe evidente la discriminazione.
A questo punto si potrebbe porre un problema di condotta antisindacale, se non di applicazione dell’art. 17 dello Statuto dei lavoratori, perché una scelta sistematica di accordi separati, che diano rappresentanza soltanto ad alcuni sindacati, sarebbe una forma discriminatoria di sostegno.
L’originaria formulazione dell’art. 19 dello Statuto dei lavoratori avrebbe consentito alla FIOM di organizzare la propria rappresentanza nelle unità produttive FIAT come sindacato maggiormente rappresentativo. Nel 1995, grazie ad uno dei 13 referendum radicali, è stato abrogato l’art. 19, primo comma, lettera a) e l’art. 19, primo comma, lettera b), limitatamente alle parole “non affiliate alle predette confederazioni” e alle parole “nazionali o provinciali”, quindi soltanto organizzazioni firmatarie di contratti applicati nell’unità produttiva possono costituire rappresentanze. Con i radicali ci sono molte affinità per i temi laici e dei diritti civili, ma il loro “liberismo”non è condivisibile da un socialista: questo fatto ha reso asfittico il progetto della Rosa nel Pugno e ogni altra ipotesi di collante programmatico, o anche solo elettorale, esclusivamente laico e libertario. Tuttavia non metterei sul banco degli accusati i radicali, ma piuttosto i governi e le forze politiche del centro-sinistra, che nella XIII legislatura non hanno risolto il problema, nonostante la vittoria dell’Ulivo nel 1996. Sono stati, invece, capaci di liberalizzare il commercio, malgrado che il referendum abrogativo di ogni autorizzazione amministrativa fosse fallito con una percentuale di no del 64,40%, cioè superiore a quella dei sì sull’art.19 dello Statuto dei lavoratori, un 62,10%. Particolarmente al disotto delle attese è stato il ruolo del partito pilastro dell’Ulivo il PDS-DS, e in minor misura dello SDI, che avrebbero dovuto cogliere il pericolo rappresentato dalla frammentazione e disunione sindacale. La presenza nei tre maggiori sindacati, invece di essere un punto di forza, si è rivelata una debolezza, sconfinata nella paralisi con la formazione del PD. Una volta di più ha giocato l’assenza a sinistra di un partito ispirato al modello socialista democratico europeo, che prevede un partito egemone a sinistra e una centrale sindacale unica. L’unità sindacale è ora più difficile, se non irrealistica, ma aver abbandonato la stessa parola d’ordine è un altro segno di debolezza progettuale e politica. Per noi che non lavoriamo a una catena di montaggio, ma siamo interessati alle sorti dei lavoratori un’altra questione da porre sul tavolo è quello dell’adeguatezza di un tavolo di trattativa nazionale, quando la controparte è un’impresa multinazionale: un operaio serbo, polacco o brasiliano non hanno minor valore di un’italiano.
Sgomberato il campo dalle questioni di metodo, si potrebbe finalmente discutere di piano industriale e finanziario. Va bene aumentare la produttività, ridurre le pause fisiologiche e spostare la mensa, si fa per dire, ma per produrre cosa? Se la FIAT ha perso costantemente quote di mercato anche in Italia e non solo in Europa, ci sarà un problema di management e di progettazione dei modelli? Produrre più invenduto non pare una prospettiva brillante.
Nel 2050 è prevista la forte riduzione dei motori a scoppio, se non addirittura la loro scomparsa: Mercedes e giapponesi e anche i francesi studiano da qualche tempo, realizzano prototipi e immettono sul mercato una serie di scelte alternative dall’idrogeno all’elettrico e aumentando la quota di auto ibride, stando al Corriere della Sera (pag. 53 del 12 novembre 2007) la FIAT non andava oltre l’introduzione del metano, anche se ha in listino tutta una panoplia di auto ecologiche. E’ un fatto che la Mercedes stia presentando nuovi modelli elettrici e a idrogeno e fa una campagna di immagine sul punto. Se il parametro di riferimento delle retribuzioni sono cinesi e indiani, non sarà mai possibile comprimerle fino al loro livello. In Europa dobbiamo piuttosto chiederci come mai case automobilistiche tedesche e francesi con salari superiori ai nostri aumentano la loro fetta di mercato. Esistessero forze politiche di sinistra dovrebbero discutere di FIAT a tutto campo e non fare a gara per dire come voterebbero al referendum, se fossero operai di Mirafiori, non importa se favorevoli o contrari. Al referendum parteciperanno i diretti interessati e agli esterni non si può chieder altro che di rispettare e comprendere le loro scelte, che dovranno essere libere, cioè consentendo la stessa agibilità ai sindacati favorevoli e a quelli contrari.
Soltanto i circoli socialisti e libertari torinesi del Gruppo di Volpedo hanno avuto il coraggio di organizzare un convegno, il 16 di dicembre 2010, con proposte concrete di politica industriale e di trasformazione di Torino da CITTA’ della FIAT a CITTA’ dell’AUTO. Un disegno di politica industriale di rilevanza politica, amministrativa e istituzionale, perché considerato l’indotto, richiede l’attuazione della Città metropolitana. Saldare proposte politiche generali con quelle proprie di una competizione amministrativa municipale è una delle sfide sulle quali costruire alleanze. Non basta la scelta del candidato Sindaco.
Intorno alle vicende FIAT si aprono anche prospettive politiche conflittuali. Una sinistra nuova e ricostituita deve essere capace di scegliere, anche tra CGIL e FIOM, se necessario, come a livello europeo tra GUE e PSE. Questa sfida riguarda tutti a cominciare da PD e PSI per finire a SEL, la formazione più giovane, insieme con la Federazione della Sinistra, nel panorama della sinistra (in senso lato) italiana. Per la maturazione delle sue scelte elezioni anticipate per il Parlamento nazionale sarebbero una iattura, paragonabile a quella delle politiche 2008.
Le elezioni amministrative coinvolgono località rilevanti ed emblematiche, come Torino, Milano, Bologna e Napoli e le primarie, dove si sono svolte, come a Milano, hanno messo in luce potenzialità senza precedenti di rapporti a sinistra con il sostegno alla candidatura di Giuliano Pisapia. La scelta è se si approfondiscono queste potenzialità o si fanno prevalere gli interessi di bottega.

Felice Besostri