«In primo luogo mi preme ringraziare tutti voi per l’invito, ed in particolare il compagno Felice Besostri. È sempre emozionante parlare di Eugenio Colorni ma purtroppo impegni familiari mi impediscono di essere presente. Ci rifaremo alla 9° edizione.
Eugenio Colorni è un personaggio complesso, rappresenta un patrimonio assoluto per chi si riconosce nei valori del socialismo e dell’europeismo.
Particolarmente trascurato nel corso degli ultimi anni, con questa pubblicazione e con altre iniziative, la Fondazione Nenni sta cercando di rilanciare e far conoscere, soprattutto alle nuove generazioni, l’incredibile patrimonio intellettuale, politico, filosofico, umano che ci ha lasciato in eredità.

L’idea di fare una pubblicazione su Colorni nasce in primo luogo dalla scoperta di alcuni documenti inediti, conservati presso il Fondo Solari, recentemente inventariato e custodito presso la Fondazione Nenni,
Le vicende politiche ed umane di Eugenio Colorni mi hanno subito colpito. Sarebbe potuto scappare dall’Italia, come giustamente hanno fatto alcune generazioni di antifascisti che hanno scelto la via dell’esilio provando a costruire un fronte antifascista all’estero, ed invece Colorni, diventa giovanissimo capo del Centro Interno socialista.
Già noto all’Ovra per le sue inclinazione politiche viene costantemente vigilato, fino all’arresto nel 1938, con la promulgazioni delle leggi razziali, perché Colorni era ebreo (se pur non più praticante dal 1932). L’arresto però non ha nulla a che vedere con la religione. La polizia scopre di avere davanti un personaggio molto pericoloso.

Ma la ragione principale che mi ha spinto a scrivere questo saggio è stata dettata dall’esigenza di sottolineare il grande contributo di Colorni alla realizzazione e alla diffusione delle idee federaliste contenute nel Manifesto di Ventotene.

Le tesi sostenute dal Manifesto di Ventotene si collocano con un taglio del tutto nuovo e con un vigore senza precedenti in un discorso che aveva una lunga storia.
Il socialismo italiano, soprattutto nella sua componente riformista, aveva sempre mostrato interesse per il tema dell’unità federale europea. Di fronte al fascismo e ai suoi progetti autoritari, Turati aveva proposto, nel 1929, la costituzione degli Stati Uniti d’Europa come modello futuro dello sviluppo democratico del nostro continente, raggiungibile solo con l’abbattimento di quel regime, nemico delle libertà democratiche dei popoli europei. Come sostenne Turati nel 1929:
«Non vi sarà mai un’Europa Unita fintantoché l’Europa, conserverà nel suo seno quel cancro abominevole, che, per sua confessione, è, e si vanta di essere, l’Anti-Europa». Filippo Turati da giovane, era stato influenzato dall’ala federalista del pensiero risorgimentale. Nel 1880 egli aveva appoggiato l’idea di Stati Uniti d’Europa sul modello americano; Turati fuggì in esilio a Parigi, aiutato nella fuga da Carlo Rosselli e Ferruccio Parri, due liberal-socialisti che avrebbero avuto un ruolo importante nel federalismo italiano. Egli sarebbe presto tornato al suo passato sostegno in favore di una federazione – gli Stati Uniti d’Europa – come aspirazione suprema delle democrazie, dotata, come gli Stati Uniti, di potere sufficiente a mantenere la pace tra gli Stati membri.
Molti fuoriusciti italiani, soprattutto legati a G.L. e al Partito Socialista erano convinti europeisti. A Parigi il socialista Mario Pistocchi tenne numerose conferenza sul tema degli Stati Uniti d’Europa, già nel 1930. Nel 1931 Pistocchi, che poi divenne spia dell’OVRA, pubblicò un volume intitolato Il destino d’Europa, accompagnato dalla prefazione di Claudio Treves. Nel volume di Pistocchi si auspicava la realizzazione graduale dell’Unione Europea che avrebbe dovuto avere un proprio parlamento e un proprio governo.
Nel settembre del 1932 Libero Battistelli in uno scritto sui Quaderni di Giustizia e Libertà, titolato «Disarmo e Stati Uniti D’Europa», sostenendo la tesi del disarmo, affermava che «Far sì che, dall’interno delle singole nazioni, le volontà non solo di pace, ma di giustizia, si orientino concordi verso un ideale comune e informino di questo comune ideale la struttura politico-sociale dei singolo stati…». Un buon articolo come lo definì Salvemini in un’epistola a Rosselli.
Nel corso degli anni ’30 Andrea Caffi fu uno degli intellettuali dell’area socialista che portò più a fondo la critica dello Stato-nazione. Egli riteneva che ciò che spingeva l’Europa alla guerra non fosse tanto il fascismo, quanto l’assetto dell’Europa stessa divisa in Stati sovrani.
Caffi enunciò tale teoria in coincidenza con la sua adesione al Movimento di Giustizia e Libertà. Successivamente questa sua visione dell’Europa si inserì nel gruppo secessionista dei “Novatori” a cui Caffi si legò.
Il gruppo dei “novatori” di Nicola Chiaromonte, Mario Levi, Renzo Guida, sviluppò un’accesa requisitoria contro il nazionalismo, individuato come una delle cause fondamentali del disordine europeo, criticando contestualmente anche il totalitarismo e il militarismo sovietico.
Nel periodo tra le due guerre mondiali la storia sbarrava la strada a qualsiasi progetto di carattere federalistico in Europa. Il problema dell’unificazione europea non poteva che porsi in termini di una collaborazione tra gli Stati. Fino alla seconda guerra mondiale, cioè fino al momento culminante della crisi dello Stato-nazione, il federalismo non andò oltre la critica allo stato nazione. Quando durante la resistenza, di fronte al crollo del sistema europeo delle potenze, l’unificazione politica europea divenne un obiettivo politico operativo, si formeranno i movimenti federalistici.
Nel 1938 era già disponibile, per chiunque conoscesse un po’ d’inglese, una vasta letteratura sul federalismo. Dalla prima guerra mondiale vi erano state le opere di Lothian e Curtis, le prime opere di Laski e il primo dei due volumi di Lionel Robbins. Mentre in francese era possibile leggere i testi di Blum che contribuì ad alimentare le concezioni federalistiche durante la resistenza.
Il salto di qualità nell’impostazione ideologica e programmatica dell’Europa Unita avviene tra i nostri confinati a Ventotene.
In Italia il Federalismo ebbe un profilo ideologico ben preciso e attribuiva molta importanza all’azione delle masse, specie nella visione di Eugenio Colorni, mentre in altri paesi europei, non si riconosce al popolo una funzione propulsiva, spingendo più per accordi o azioni diplomatici ad alto livello che non da una spinta unitaria e rivoluzionaria dei popoli europei.
L’esame compiuto dai compilatori del Manifesto di Ventotene, è unico nella storia della resistenza europea, poiché nessun altro gruppo si è preoccupato di precisare dettagliatamente cause e mezzi necessari alla costruzione dell’Europa federata.
Non fu un’improvvisa illuminazione quella di Eugenio, attraverso cui si sarebbe iniziata la sua vocazione europeistica. Il Federalismo europeista costituì il naturale punto di approdo di una personalità come quella di Eugenio Colorni, ricca di motivazioni culturali, di principi morali e di fermenti che, unitamente alle concezioni politiche, sospingevano verso quello sbocco.
L’europeismo di Eugenio ha le sue radici nella militanza in G.L, con l’influenza di Rosselli e trova la sua concreta maturazione durante la direzione del Centro Interno, si plasma su alcuni capisaldi teorici che caratterizzeranno il suo pensiero politico durante il confino e la Resistenza: l’impostazione intensamente libertaria e la fervida sensibilità umanitaria, la tensione verso la ricerca del nuovo – intimamente associata ad un giudizio critico verso i partiti prefascisti – la vocazione all’internazionalismo espressione diretta di una scelta etica, per l’amore verso i popoli e la convinzione che dopo la guerra dovesse nascere un processo di catarsi capace di sconfiggere, con uno sbocco rivoluzionario le ragioni stesse della guerra dischiudendo all’umanità un avvenire di libertà politica e sociale, di tolleranza, di fratellanza fra i popoli, di pace.
Ed è nel confino a Ventotene, in quella fucina di pensiero che erano le discussioni con Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi, che Eugenio trovò, come anelava nella sua ricerca in altri campi di pensiero, le ragioni per un ribaltamento di visuali generali in politica.
La concezione federalista, quale espressa dal Manifesto e da Eugenio, veniva infatti a costituire un’autentica rivoluzione del pensiero politico. La straordinaria originalità che la caratterizzava rispetto a precedenti enunciazioni delle idee federaliste era rappresentata dalla convinzione, su cui essa era fondata, che l’istanza dell’unificazione europea dovesse considerarsi non come complemento di esistenti concezioni politiche, ma come ragione di riconcepire, con un’ottica radicalmente modificata, ogni problematica economica, sociale e politica.
Nell’isola di Ventotene i confinati riuscivano a parlare di politica, improvvisando riunioni clandestine durante gli orari del ristoro. La mensa diventa il luogo di confronto tra gli illustri antifascisti. Da quelle riunioni nacque un autentico capolavoro politico destinato a cambiare le sorti dell’Europa «Il Manifesto per il Movimento per l’Europa Libera ed Unita», meglio conosciuto come «Manifesto di Ventotene».
Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi s’impegnano a redigere il testo delle discussioni che derivano principalmente dall’intensa concertazione del trio, peraltro non impermeabile ai suggerimenti di altri confinati. Parteciparono, sia pure occasionalmente, al dibattito sulla situazione europea e sulle possibili prospettive per il futuro del continente: Giorgio Braccialarghe, Arturo Buleghin, Enrico Giussani, lo sloveno Lokar Milos, Dino Roberto e l’albanese Stavro Skendi.
Il “plico” originario del Manifesto, comincia a circolare nel giugno del 1941 fra gli ospiti della colonia pontina ed organizzato in quattro parti:
1° La crisi della civiltà europea
2° I compiti del dopoguerra: L’Unita europea
3° I compiti del dopoguerra: La riforma della società
4° La situazione Rivoluzionaria: vecchie e nuove correnti.
Ricorda Spinelli «i capitoli che trattavano della crisi della civiltà europea, dell’unità europea come compito preminente del dopoguerra e del partito rivoluzionario necessario per realizzarla li scrissi io. Ernesto Rossi scrisse il capitolo sulla riforma della società da affrontare nel dopoguerra».
I confinati si impegnarono subito a far giungere le tesi federaliste sulla terra ferma.
La prima versione del Manifesto fu portata in “continente” da Ada Rossi, ed era scritta a mano su un solo foglio protocollo, con calligrafia minutissima, mentre la versione definitiva fu portata da Ursula Hirschmann. Ursula poteva andare e venire fra l’isola, Roma e Milano «ed era la nostra messaggera»; «la cosa era materialmente assai facile, perchè lei doveva assoggettarsi ad una perquisizione sulla persona e delle sue valigie, che consisteva nel fatto che la polizia chiudeva in una stanza con una vecchia inserviente la quale invece di perquisirla intascava una lauta mancia, e un quarto d’ora dopo apriva la porta annunziando che tutto era in ordine».
Le sorelle di Altiero Spinelli, Fiorella e Gigliola «sono state anch’esse messaggere».
Appena arriva a Roma, nel maggio del 1943, Eugenio costituisce il primo «Comitato direttivo del Movimento federalista» e ne diventa il responsabile: «dopo una seduta plenaria si è deciso che io prenda la direzione del movimento, raccontò in una lettera a Spinelli.
Dopo la partecipazione alla riunione fondativa del Movimento federalista a casa Rollier a Miliano, Eugenio (dopo l’otto settembre) diventa una figura di spicco della Resistenza romana: «Occupata Roma si era gettato a corpo morto nella organizzazione della resistenza, schivando i posti di dirigente per quelli del militante di base, che vive la vita difficile della cospirazione».
L’europeismo nella Resistenza è venuto a collocarsi con un taglio del tutto nuovo e con un vigore senza precedenti.
Assieme a Braccialarghe e ad Eustachio Colorni costituisce una banda partigiana del Movimento Federalista. Una ventina di giovani, per lo più ebrei, che però ben presto si discioglie e si aggrega al Partito Socialista.
Alla fine di gennaio del 1944 Eugenio, con la collaborazione di Ginzburg, stampa in 3.000 copie (delle quali furono distribuite solo 500) un volumetto dal titolo Problemi della Federazione europea contenente le tesi federaliste concepite a Ventotene. La stampa avviene nella tipografia clandestina improvvisata a Roma in zona Monte Sacro.
Nell’impossibilità di ricevere una copia della versione stampata all’indomani del convegno in via Poerio nell’agosto del 1943 e pubblicata sui Quaderni del M.F.E., Eugenio lavora su un dattiloscritto probabilmente del 1942 che allora era in circolazione tra i socialisti, quindi su una versione del Manifesto precedente alla prima edizione a stampa. Dattiloscritti del manoscritto federalista realizzati grazie all’opera di riproduzione di Ursula, Ada Rossi e le sorelle di Spinelli, Gigliola e Fiorella e da Arialdo Banfi che nel 1942 «Con le dita inesperte cominciai a copiare il Manifesto federalista e a diffonderlo tra gli amici che sapevo antifascisti».
Nel biennio 1942-1943 il dattiloscritto del Manifesto federalista pervenne dapprima in Sicilia, transitando negli ambienti vicini a Guttuso e a Lia Pasqualino Noto, arrivò poi oltre il versante francese delle Alpi, toccando Nizza, e da lì, presumibilmente, raggiunse i circoli dei fuoriusciti italiani in Francia attraverso Trentin che nella primavera del 1942 ricevette il Manifesto da Ursula e naturalmente in Basilicata dove vissero i coniugi Colorni.
Eugenio scrive la Prefazione, rivede la forma del testo riorganizza in tre capitoli invece di quattro e taglia alcuni passaggi (non inserisce il capitolo che riguarda «La situazione Rivoluzionaria: vecchie e nuove correnti»). Inoltre aggiunge due saggi scritti da Spinelli tra il 1942 e il 1943 «Gli Stati Uniti d’Europa e le diverse tendenze politiche e Politica marxista e politica federalista».
I tagli riguardano essenzialmente due duri giudizi sulla Chiesa cattolica e sull’Unione Sovietica. Eugenio ammorbidisce le posizioni con l’esigenza di mantenere buone relazioni con le realtà comuniste e cattoliche della Resistenza.
Eugenio ha un importante ruolo nel conferire al Manifesto la sua caratterizzazione fortemente programmatica e puntualmente incardinata nella realtà storica. L’opuscoletto di 125 pagine, con la dicitura «Edizioni M.F.E» in copertina non reca i nomi degli autori delle tesi federaliste e la prefazione datata Roma, 22 gennaio 1944 è firmata M.F.E..

L’europeismo per Eugenio è un pensiero al quale giungere non solo comprendendo gli errori del passato ma con la mente sgombra da preconcetti dottrinali o da miti di partito.
In un articolo di marzo nel 1944 dal titolo «Amministrazione o Rivoluzione», Colorni sostiene che «La crisi che scoppierà fra poco col crollo della Germania, e che investirà sicuramente tutti i paesi balcanici, e probabilmente quelli scandinavi e la Francia, potrà veramente assumere l’aspetto di una grande rivoluzione europea, nella quale l’assetto politico, economico, sociale del nostro continente verrà messo in questione…tutti i problemi istituzionali si riproporranno da questo nuovo punto di vista…già da oggi si agitano forze progressive che propugnano soluzioni non imperialistiche e tendono ad eliminare definitivamente il pericolo delle guerre a ripetizione mediante un totale rinnovamento della struttura economica e sociale dell’Europa su base unitaria»

Antonio Tedesco