« di Daniele Vittorio Comero
Settimana scorsa a Milano al Tribunale regionale amministrativo, il TAR, è accaduto un fatto particolarmente rilevante, classificato come secondario dai media, ma che può avere delle conseguenze politiche enormi. Mi riferisco alla discussione del ricorso presentato da alcuni cittadini e giuristi contro la proclamazione degli eletti in Consiglio regionale della Lombardia dopo le elezioni del 24-25 febbraio scorso.
Nel ricorso non viene messo in discussione il risultato finale, cioè la vittoria di Maroni su Ambrosoli, ma il sistema di elezione dei consiglieri e il collegato premio di maggioranza, di oltre il 60% dei seggi; in pratica è contestata la legge elettorale in se, la formulazione tecnica del “Lombardellum”, che come è noto è stato fatto in fretta e furia un venerdì pomeriggio in contemporanea con le dimissioni della maggioranza dei consiglieri, a fine ottobre 2012, dopo vari scandali che avevano coinvolto la giunta Formigoni, in particolare quello che aveva portato in custodia preventiva l’ex-assessore del PDL Zambetti.
Quel pomeriggio  l’approvazione della nuova legge elettorale è stata fatta sulla base di emendamenti ad un testo base presentato dal PD, ma la fretta dei consiglieri di chiudere la legislatura ha lasciato un testo raffazzonato, che nei giorni successivi non è stato facile ricomporre in un testo giuridicamente solido e coerente.
La questione è molto tecnica, per cui si fa fatica a trattarla senza correre il rischio di annoiare il lettore. In questa sede l’importante è segnalare la notizia: il TAR della Lombardia ha ritenuto plausibili le ragioni dei ricorrenti, rappresentati dagli avv. Felice Besostri, Tani e Zecca, rinviando alla Corte Costituzionale il giudizio sulla costituzionalità della Legge Regionale 17/2012, in particolare nella parte relativa al premio di maggioranza e le soglie di sbarramento per l’accesso al consiglio. Rimane da capire la questione dell’esenzione della raccolta delle firme che ha facilitato alcune liste (Fratelli d’Italia ecc..).
Non sono solo problemi giuridici, vi possono essere conseguenze pesanti sul piano politico, infatti il PD è subito corso in aiuto di PDL e Lega. Il tutto potrebbe finire in una bolla di sapone oppure, cosa più probabile, determinare un rivolgimento politico in Regione. Visti i tempi non brevi di giudizio della Corte, previsti a metà 2014, i possibili effetti, come l’esclusione di alcune liste dal Consiglio, sono da prendere con le molle.
Intanto per il 3 dicembre è fissata l’udienza della Corte Costituzionale che dovrà giudicare sulla legittimità del sistema elettorale per la Camera, il cosiddetto “porcellum”, formando così un curioso intreccio di ricorsi sui sistemi elettorali, che sono il cuore pulsante del sistema politico.
Settimana scorsa Maroni ha dichiarato di essere sorpreso: “Non ho ancora letto le motivazioni del Tar, ma francamente mi pare sia una cosa stravagante, perché il premio di maggioranza è previsto addirittura nella legge nazionale e in altre leggi regionali”. Tra qualche mese sapremo se la cosa è stravagante oppure è reale.
Molto duro invece è l’avv. Besostri, socialista, già deputato dell’Ulivo, protagonista in entrambi i ricorsi, il quale prevede che:
La fine della Seconda Repubblica non sarà decisa dalla giustizia penale, ma da quella ordinaria e amministrativa. La Prima Sezione della Cassazione con Ordinanza n. 12060 del 21 marzo-17 maggio 2013 ha mandato in Corte Costituzionale il porcellum. Il Tar Lombardia Sez. III Milano con ordinanza del 8 ottobre ha mandato in Corte il Lombardellum, che come si è appreso dalla difesa regionale è stato ricalcato sul Campanellum – la legge elettorale regionale della Campania – quella di Bassolino del 2009 e modificata nel 2010. Peccato che in Campania nessuno abbia impugnato la maggioranza di Caldoro. Certamente chi fa la legge fatica a riconoscere che è incostituzionale eppure è sotto gli occhi: si tratta dell’art. 48 della Costituzione, per cui il voto deve essere libero,eguale, personale e segreto.
La Seconda Repubblica è basata su premi di maggioranza abnormi ed elezione diretta. Lo sfacelo della democrazia è sotto i nostri occhi, ma non del Parlamento che vuole cambiare la Costituzione, un parlamento frutto di nominati e non di eletti, perciò agli ordini di chi li ha collocati in buona posizione nelle liste bloccate. Rappresentano gli interessi della Nazione come chiede l’art. 67 Cost. o prendono ordini da chi li ha nominati? La sentenza non è ardua e non c’è bisogno di aspettare i posteri.”
Intervento di Felice BesostriFonte: L’indipendenza