di Felice Besostri | (socialista senza aggettivi) |

Sull’Ucraina, quando l’invasione era solo preannunciata come imminente avevo le idee chiare.

“Se ci sarà l’invasione la responsabilità storica sarà della Nato e del suo processo di estensione verso oriente”, come ho sempre ritenuto un errore l’allargamento della UE verso Est, prima di aver consolidato una scelta politica di coesione federale, piuttosto che del suo mercato, peraltro senza una scelta di coerenza fiscale (Olanda, Irlanda, Lussemburgo, Cipro e Malta), e con la divisiva introduzione dell’euro. Altro punto fermo è (o dovrebbe essere) l’art. 11 della nostra Costituzione.

La discussione che si aperta dopo l’invasione, ogni giorno più aggressiva, distruttiva e letale, non ha contribuito a definire una politica del nostro paese, uno di quelli più dipendenti dal gas russo, per una scelta di una società pubblica come l’ENI, comunque avallata dal governo italiano da sempre, senza distinzioni tra Prima e Seconda Repubblica, quindi anche dalle diverse maggioranze parlamentari, che detto incidentalmente, quando la nostra legge elettorale era proporzionale e i partiti erano insediati nella  società, rappresentavano la maggioranza del popolo italiano.

Le leggi elettorali successive al referendum Segni hanno abbandonato il principio proporzionale a cominciare da quelle conosciute come Mattarellum, che sia al Senato, che alla Camera prevedevano l’assegnazione di 3/4 dei seggi in collegi uninominali maggioritari con una correzione proporzionale per i restanti seggi da assegnare, con voto disgiunto alla Camera e con scorporo dei voti conseguiti dai candidati proclamati eletti al Senato. Dal 2005 si sono succedute leggi, che alteravano il rapporto tra voti e seggi con un premio di maggioranza dichiarato incostituzionale per due volte (Porcellum e Italicum) dalla Consulta e, infine, con un sistema apparentemente misto, 3/8 seggi maggioritari e 5/8 proporzionali, i cui effetti devastanti di vedranno, con le prime elezioni con il Parlamento ridotto a 400 deputati e 200 senatori, a causa del voto obbligatoriamente  congiunto a pena di nullità ed esclusione di una libera scelta dei candidati grazie alle liste bloccate. Il Rosatellum ha un premio di maggioranza nascosto, che se scatta, assicura ad una coalizione con il 35% del voti di controllare i due rami del Parlamento, quindi la Presidenza della Repubblica e la Corte Costituzionale.

Questa digressione ha una ragione collegata al titolo di questo articolo. Nel 2018 si è votato per il rinnovo del Parlamento e la sinistra ne è uscita male, e, in seguito, la sua presenza parlamentare ancora peggio per la formazione di Italia Viva. Nel 2018 la sinistra larga (purtroppo, anche nel senso di slabbrata e diluita) e plurale, composta da 6 liste (PD, Leu, PAP, PC, Sin. Riv., LdPpC) ha raccolto alla Camera il 23,73% , con sole 2 liste presenti in Parlamento, PD e LeU.

Con una legge integralmente proporzionale e senza soglie d’accesso avrà 94 seggi su 400, quindi lontanissima da una maggioranza assoluta, pertanto non corre il rischio di dover formare  da sola un governo, quindi di dover avere una politica estera ed anche in un governo di coalizione con il M5S, che è altrettanto diviso e confuso. Con le più recenti intenzioni di voto la situazione migliora di qualche punto percentuale, ma non tali da poter prevedere un governo di sinistra unita per attuare l’art. 3.2 Cost., che recita: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.”

L’invasione/aggressione (per chiamare le cose con il loro nome) ha anche coinvolto la Cina e Israele, come possibili mediatori, altre questioni sulle quali a sinistra non ci sono opinioni condivise e che sono tenute lontane, quando si affronta il problema della scomparsa di una sinistra in Italia, che in altri tempi ha superato il 40% dei consensi con i soli PCI e PSI, e che allo stato si trova in una condizione di minoranza numerica e politica come in nessun altro paese europeo.

Nel 1990 con l’unificazione tedesca un territorio, già del Patto di Varsavia, entrò nella Nato. L’unificazione tedesca, fu, dopo il crollo del Muro di Berlino del novembre 1989, facilitata dall’U.R.S.S. di Gorbaciov, cui si dovrebbe riconoscenza imperitura per non aver preso esempio dagli interventi repressivi in Ungheria nel 1956 e in Cecoslovacchia nel 1968, né consentita la repressione al governo tedesco orientale, che aveva mostrato la sua competenza nella repressione con l’ausilio delle truppe sovietiche dei moti operai di Berlino Est nel 1953. E’ ragionevole pensare che siano state fatte promesse e date assicurazioni a Gorbaciov  sulla sicurezza dell’U.R.S.S, una federazione di Stati, che voleva riformare e non sciogliere, come deciso unilateralmente da Boris Eltsin e ratificato l’8 dicembre del 1991dai Presidenti di Bielorussia, Russia e Ukraina con l’Accordo di Belaveža, che sancì la fine dell’Urss e la nascita della Comunità degli stati indipendenti (Csi), aperta a tutte le ex repubbliche sovietiche.

Nello stesso anno 1991 nel Kossovo un referendum diede una chiara maggioranza alla suo distacco dalla Serbia, anche se la dichiarazione di indipendenza dovette attendere il 2008 e fu resa effettiva soltanto con l’intervento militare della NATO, dal febbraio 1998 – 11 giugno 1999, il primo intervento dopo il suo allargamento nel periodo 1997-1999, quando l’Italia era governata dall’Ulivo, ad Ungheria, Polonia e Repubblica Ceca e non in applicazione del suo articolo 5, che prevedeva soltanto la difesa di un suo membro aggredito, e senza copertura iniziale del Consiglio di Sicurezza, nel quale la Federazione Russa, che  ha sostituito l’U.R.S.S. non aveva esercitato  il suo diritto di veto. In effetti lo scioglimento dell’U.R.S.S. non aveva comportato solo atti ostili di allargamento ad est nei confronti della Federazione Russa, poiché, quando nel 1996 le è stata data la possibilità di aderire al Consiglio d’Europa, questa è stata vista come il riconoscimento della naturale identità europea della Russia, ma anche come un incentivo a una più celere transizione democratica.

Nel periodo 1998-2014 al G7 (Canada, Francia, Germania, Giappone, Italia, Regno Unito e Stati Uniti d’America e l’UE invitata permanente) è stato affiancato un G8 allargato alla Russia, allargamento cessato nel 2014 con l’annessione della Crimea, che temporalmente non è una reazione all’ulteriore avvicinamentoai confini della Federazione Russa con l’inclusione nella NATO, nel periodo 2002-2004, con il governo Berlusconi, grande amico personale del Presidente della Federazione Russa, Vladimir Putin al suo primo mandato (2000-2004), cui seguì il secondo (2004-2008) un terzo (2012-2018) dopo avere svolto la funzione di Primo ministro con la presidenza Medvedev (2008-2012). Il 7 maggio 2018, al termine delle elezioni presidenziali in Russia, Putin è stato rieletto per un quarto mandato con il 76,69% (per un totale di 56 430 712 voti) fino al 2024.

E’ opinione corrente, che entro tale data sarà modificato il divieto costituzionale di fare più di 2 mandati di 6 anni vita natural durante, una disposizione più severa della nostra, che consente, teoricamente, due mandati o più di 7 anni (art. 85.1 Cost. interpretato alla luce del recente precedente del 1° febbraio 2022).

Il primo allargamento a est della NATO fu peraltro accompagnato dal Partenariato Euro-Atlantico, o Euro-Atlantic Partnership Council (EAPC), creato il 27 maggio 1997 al vertice di Parigi ed è un forum di regolare consultazione, coordinamento e dialogo tra la NATO e i partner esterni, che sono 23, tra i quali la Russia e le altre Repubbliche ex sovietiche, tra le quali Georgia e Ucraina. È la diretta conseguenza del partenariato per la pace, formalmente costituito il 10-11 gennaio 1994, ma svuotato di significato con l’adesione di 14 membri alla Nato di paesi del patto di Varsavia e di 3 Repubbliche ex sovietiche, gli Stati Baltici. 

Questi Stati dovrebbero sempre tenuti distinti da quelli che costituirono l’U.R.S.S. dopo la vittoria della Rivoluzione d’Ottobre, poiché furono incorporati senza il loro libero consenso come conseguenza del Patto Ribbentrop-Molotov del 1939 nell’agosto 1940 e in seguito all’instaurazione di governi fantoccio e all’imprigionamento e alla morte dei deposti Presidenti estone e lettone, nonché alle deportazioni di popolazione: sono fatti che segnano la memoria dei popoli.

L’intervento militare Nato contro la Serbia per il Kossovo, chiamiamolo guerra, grazie alla copertura del Consiglio di Sicurezza dell’ONU non ha violato l’art. 11 Cost., poiché l’articolo “consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni”, che sarebbe il compito dell’ONU, quando gli riesce.

L’allargamento ad est della Nato creò dubbi, perplessità e opposizione tra figure di rilievo, pensiamo all’ex segretario di Stato, Kissinger o all’ex ambasciatore a Mosca Kennan, ma, almeno apparentemente non è stata percepita come un’aggressione o minaccia di aggressione, che richiedesse una forte reazione di contrasto.

La ragione era, che vi erano altre urgenze ben più minacciose per gli interessi della Russia, cioè la dichiarazione di indipendenza della Cecenia, che costrinse la Russia a ben due guerre, la prima iniziata nel dicembre 1994 e che non ebbe successo malgrado massicci bombardamenti aerei della capitale Grozny: circa 1.500 soldati russi e 25.000 civili avevano perso la vita solamente nell’aprile del 1995.

Appena nominato Primo Ministro nel 1999 Putin dovette affrontare la seconda guerra cecena, di cui Anna Politkovskaja è stata critica osservatrice, che pagò con la vita, nel 2006, la sua opposizione a Putin, che riesce però a vincere la guerra dopo 100.000 civili morti. In Ucraina siamo bel lontani da quei numeri, ma questo non dovrebbe bastare per giustificare l’aggressione militare alla luce dell’art. 51 dello Statuto della Nazioni Unite, per il quale “nel caso abbia luogo un attacco armato contro un Membro delle Nazioni unite” non si possa pregiudicare “il diritto naturale di autotutela individuale o collettiva”.

Il precedente del Kossovo si attaglia solo in parte alle due autoproclamate repubbliche autonome  del Donbass, poiché non si tratta più di riconoscerne l’indipendenza o l’autonomia all’interno dell’Ukraina, come previsto dagli accordi di Minsk, ma la loro annessione nella Federazione Russa. Sicuramente è stato un errore, come UE, aver lasciato degradarsi il conflitto tra il Governo centrale e le due repubbliche russofone. L’Ucraina è Membro del Consiglio d’Europa, nel cui ambito è stata adottata la Convenzione-quadro per la protezione delle minoranze nazionali, che ha firmato e ratificato e che è in vigore dal 1° maggio 1998, dunque, le difficoltà all’uso del russo violano le sue stesse leggi

Per la nostra Costituzione “La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino” (art. 52.1) e disposizioni analoghe ci sono in tutte le Costituzioni, è una scelta personale, che io non compierei per ridotte attitudini militari e rifiuto della violenza, ma non me la sento di criticare come scelta personale di cittadini di altro  Stato e scelta politica di un governo democraticamente legittimato, come è quello ucraino: Volodymir Zelens’kyj è stato eletto Presidente nel 2019 con il 73,22% al secondo turno e con 13.541.528 voti, in assoluto il candidato Presidente più votato, un milione di voti in più del Presidente filo-russo  Viktor Janukovyč .

 La guerra va fermata perché la maggior parte delle vittime, compresi i 2 milioni e mezzo di profughi sono sicuramente non colpevoli della espansione della Nato o della guerra civile, che va avanti da 8 anni.  Facciamo sentire la nostra solidarietà al popolo ucraino e quello russo, che non ha nemmeno la libertà di manifestare la sua opposizione alla guerra. Evitiamo di fare i grilli parlanti o le mosche cocchiere, tanto più che non siamo, come sinistra, in sintonia con il sentimento popolare, che non ha bisogno di essere indottrinato, per distinguere l’aggressore dall’aggredito, come dimostrano le quotidiane azioni di volontariato di migliaia di persone in Europa ed in Italia. A loro va la mia simpatia, più che ai legionari, da qualunque parte stiano.

Faccio fatica a capire, quando sia lecito armarsi e quando no, se per rispondere a Luigi Manconi Alessandro Portelli sul Manifesto (11/03/22) scrive che “Quando gli alleati fornivano le armi ai partigiani, infatti, erano già in guerra con la Germania: non solo, ma quella guerra la stavano vincendo e, particolare non secondario, avevano già «gli stivali sul terreno» in Italia, ed erano loro, non gli invasori tedeschi, che bombardavano le nostre città occupate col fine di far durare meno la guerra”. Con questo ragionamento applicato all’Ucraina le armi dovrebbero essere date alle milizie nazionaliste del Donbass e non all’esercito regolare ucraino. La violazione dell’art. 11 Cost. sarebbe chiara e non quantomeno dubbia. Sul punto mi piacerebbe raccogliere l’opinione del Presidente emerito dell’A.N.P.I., associazione cui sono iscritto, il compagno avv. Carlo Smuraglia, partigiano combattente, volontario nel Corpo italiano di liberazione (Divisione Cremona, 8° armata) fino alla fine della guerra, che le armi le ha usate.