«Il ricorso depositato il 26 gennaio al Tribunale di Firenze e preparato dall’avv. Felice C. Besostri (foto), uno dei legali che riuscì a portare in Corte Costituzionale il Porcellum, legge 270/2005, porta la firma di quindici personalità1 della cultura, dell’associazionismo e della politica toscana a testimoniare l’allarme per una tendenza a tagliare la rappresentatività delle istituzioni invece di favorire il pluralismo in un’epoca di preoccupante crescita dell’astensione dal voto.

E’ stata appena fissata l’udienza di discussione della causa per il 21 aprile: per quella data la Regione Toscana, con ogni probabilità, difenderà con i propri legali la legge elettorale che tanto assomiglia all’Italicum. Però se il Giudice valuterà fondati i dubbi di costituzionalità esposti dai ricorrenti sospenderà il giudizio chiedendo che la Corte costituzionale si pronunci, allora si potrà arrivare alla abrogazione, almeno parziale, della legge regionale n. 51 del 2014 approvata, dopo mesi che il consiglio regionale discuteva e che sembrava probabile un accordo di centrosinistra, da un improvviso accordo tra il PD e Forza Italia promosso da Denis Verdini, lo stesso che pochi mesi prima aveva suggerito l’Italicum a Renzi e Berlusconi.

Perché è criticata la legge toscana? I motivi sono simili a quelli che condussero alla sentenza contro il Porcellum (sent. n. 1/2014 C. Cost.): si tratta di una legge che limita la rappresentatività delle istituzioni favorendo in modo irragionevole (eccessivo) la governabilità. Il meccanismo si avvale di vari strumenti quali sbarramenti, premi di maggioranza, ballottaggio, listini bloccati, voto disgiunto che, messi insieme, stravolgono il diritto di voto e costringono artificialmente l’elettore a orientarsi verso un voto “utile”, o comunque inconsapevolmente a determinare un consiglio dove siederanno solo tre o quattro partiti, dove la maggioranza sarà in realtà una minoranza (anche esigua, se il premio sarà assegnato al ballottaggio) e dove potranno essere vanificati voti per un’intera coalizione che non superi il 10%.

In dettaglio: sono validi solo i voti dati a liste che otterranno almeno il 5% dei voti se da sole, o il 3% se coalizzate con altre; ma la coalizione passa solo se supera il 10% dei voti, altrimenti tutti i voti sono come non dati (salvo che una lista della coalizione raggiunga il 5%, ma saranno comunque persi quelli dati alle altre liste della coalizione). Il presidente che riesca al primo turno ad aggiudicarsi il 40% dei voti ottiene il 57,50 % dei seggi (23 su 40), se raggiunge il 45% avrà invece il 60% dei seggi in consiglio (24 seggi). Se nessuno raggiunge il 40% al primo turno, si disputerà il secondo turno in cui otterrà i 23 seggi il primo piazzato, qualunque sia la percentuale raggiunta (e in questo caso il premio potrebbe essere ben maggiore del 17,50% e qualunque sia l’affluenza al voto).

Inoltre è ammesso il voto disgiunto, cioè che prescelga un candidato presidente e un candidato consigliere di una lista o coalizione con diverso candidato presidente di riferimento, con l’effetto di concorrere al risultato di un candidato di una lista o coalizione, ma contribuendo ai voti decisivi per il premio a un candidato presidente contrapposto.

Infine le liste: in teoria si possono esprimere le preferenze, ma è data la possibilità ai partiti di proporre dei “listini regionali” bloccati, composti di tre candidati regionali uguali in tutte le regioni (ma la legge è ambigua: sembra che si possano proporre diversi listini in ogni circoscrizione). Se si considera che per ottenere 4 eletti in consiglio è necessario avere il 10% dei voti e che col listino si bloccherebbero i primi tre eletti e che in una coalizione passa per primo, comunque, il candidato presidente, si vede bene che chi sceglierà di proporre il listino bloccato di fatto vanificherà le preferenze espresse dagli elettori.

I principi costituzionali violati da queste disposizioni sono, soprattutto, quelli della sovranità popolare (art. 1) dell’uguaglianza del voto (art. 3 e 48) della libertà di costituire partiti politici (art. 49) della parità di condizioni nell’accesso alle cariche elettive (art. 51) e di parità tra i generi (art. 3 e 51) applicabili senz’altro anche alle regioni (art. 114, 117, 122).

E il contrasto col più diretto precedente della giurisprudenza della Consulta è evidente: la sentenza che abrogò il Porcellum censurò due aspetti, la mancanza di preferenze o di un meccanismo che comunque consentisse all’elettore di conoscere e scegliere il candidato; l’irragionevolezza di un premio di maggioranza alto e privo di soglie di accesso che in nome della governabilità comprime il principio costituzionale della rappresentatività delle istituzioni.

Intanto in Consiglio regionale si avvicina la votazione di una proposta di modifica alla legge 51 che cancellerebbe la soglia di accesso del 5% per lasciare quella del 3% sia per liste in coalizione che liste che si presentino da sole, ma la maggioranza per ora è contraria.

Paolo Solimeno

1I ricorrenti sono Paolo Bagnoli, Francesco Baicchi, Beatrice Bardelli, Carlo Bartoloni, Sandra Bonsanti, Marcella Bresci, Marcello Buiatti, Tommaso Fattori, Jacopo Ghelli, Paolo Marini, Corrado Mauceri, Roberto Passini, Luigi Marino Remaschi, Mauro Romanelli, Monica Sgherri.

Fonte: Radiocora