Ricorsi nei tribunali sulla procedura di approvazione con il voto di fiducia a cui si aggiunge di Felice Besostri uno sul voto all’estero. E il 14 dicembre è stato sollevato alla Corte costituzionale il conflitto di attribuzione. L’avvocato and Porcellum e anti Italicum spiega nei dettagli cosa accadrà
di Felice Besostri
Sulle prossime elezioni si è già abbattuta una tegola: la sezione terza del Tribunale civile di Venezia ha emesso un’ordinanza in un ricorso che si doleva della legge elettorale per la circoscrizione estero, con la quale si eleggono 12 deputati e 6 senatori, questi ultimi salvati il 4 dicembre 2016 dal rotondo No alla manomissione della Costituzione della deforma Renzi-Boschi. Per il Tribunale di Venezia, il voto della circoscrizione estero viola i principi del voto segreto e personale e pertanto con ordinanza del 5 gennaio 2018 ha rimesso alla Corte costituzionale la valutazione della legittimità degli articoli 1, 2° comma, 2, 4-bis, 12 e 14, della legge 459 del 27 dicembre 2001, che disciplinano il voto per corrispondenza dei cittadini italiani residenti all’estero. Tuttavia non ci sarà il tempo per l’esame prima delle elezioni, anche se il materiale non è stato ancora recapitato.
Il giudizio di costituzionalità in via incidentale non lo consente. Il 6 febbraio scade il termine di 20 giorni per costituirsi e la pubblica udienza non può essere fissata prima di 50 giorni da tale data, quindi non prima del 28 marzo. Invero il presidente può dimidiare il termine a 25 giorni, e il presidente Grossi l’ha disposto, per la trattazione congiunta dei ricorsi contro l’Italicum, ma anche in tal caso l’udienza dovrebbe tenersi non prima del 3 marzo, alla vigilia delle elezioni: semplicemente impensabile e, aggiungo, inopportuno. Né migliore sorte avranno i tre ricorsi presentati contro il Rosatellum con la procedura d’urgenza ex art. 700 del Codice di procedura civile, poiché il primo, quello di Firenze è stato discusso lo scorso 17 gennaio e, nel migliore dei casi, non potrà essere pubblicato in Gazzetta ufficiale prima del 31 gennaio prossimo: i conti son presto fatti. Il 18 gennaio si è discusso davanti al Tribunale di Trento il primo ricorso contro il Rosatellum avente per oggetto la procedura di approvazione con voto di fiducia delle leggi n. 52/2015 (Italicum, ndr) e n. 165/2017 (Rosatellum, ndr) e, in entrambi i casi, le norme speciali del Trentino-Alto Adige/Sadtirol.
Il 2 febbraio il Tribunale di Messina dovrà decidere su una trasformazione di un ricorso antitalikum in impugnazione della legge n. 165/2017. Altri tre Tribunali almeno e una Corte d’Appello sono investiti di ricorsi analoghi a Messina. Lo scopo di svolgere quattro elezioni parlamentari consecutive con una legge elettorale incostituzionale è stato raggiunto, grazie alla pervicacia di Pd e alleati della coalizione della destra e con i centristi distribuiti di qua e di là. A questo punto soltanto il voto degli italiani, come nel lontano 1953 con la sconfitta della “legge truffa“, potrà impedire il successo della manovra. Per non avere una decisione tempestiva della Corte costituzionale, cioè per evitare che il Rosatellum fosse annullato, come l’Italikum (sentenza n. 35/2017) prima della convocazione dei comizi elettorali si sono violate le raccomandazioni del Codice di buona condotta in materia elettorale approvato dal Consiglio d’Europa a Strasburgo, il 23 maggio 2003 (elaborato dalla Commissione di Venezia, ndr).
Per tale Codice – paragrafo II, Condizioni per l’attuazione dei principi, c.2 Livelli normativi e stabilità del diritto elettorale, lett. b -: «Gli elementi fondamentali del diritto elettorale, e in particolare del sistema elettorale propriamente detto, la composizione delle commissioni elettorali e la suddivisione delle circoscrizioni non devono poter essere modificati nell’anno che precede 1′ elezione,…». La legge n. 165/2017 è stata approvata alla fine di ottobre e pubblicata l’11 novembre 2017 e si vota il 4 marzo 2018, appena 113 giorni dall’entrata in vigore. Una corsa contro il tempo che ha richiesto ben 8 voti di fiducia tra Camera e Senato – in violazione dell’art. 72.4 Cost. secondo molti costituzionalisti – per evitare una discussione approfondita, l’approvazione di emendamenti e voti segreti dall’esito incerti al Senato e la collaborazione attiva del Presidente della Repubblica, che ha promulgato senza badare alle incongruenze: basti dire ad esempio che sono previsti in due regioni al Molise alla Camera e in Trentino-Alto Adige/Siidtirol al Senato dei collegi plurinominali da eleggere con metodo proporzionale, rispettivamente 1 deputato e 1 senatore: neo-lingua orwelliana!
E, infine ha sciolto le Camere il 28 dicembre per votare il 4 marzo, quando la legislatura finiva il 14 marzo 2018 e si poteva votare entro il 24 maggio 2018, cioè domenica 20 maggio nel perfetto rispetto dell’art. 61 Cost.: una fretta ingiustificata se non per fingere uno scioglimento anticipato, per riammettere le candidature di sindaci, che avrebbero dovuto dimettersi almeno 180 giorni prima del 14 marzo 2018, e decreto legislativo 189/2017 per correggere facendoli passare per errori materiali i termini di entrata in vigore dei collegi uninominali e plurinominali che altrimenti sarebbero stati vigenti a far tempo dal 3 gennaio, cioè decorsi i 15 giorni di vacatiti legis. Ma in tal caso il capo dello Stato non avrebbe potuto sciogliere le Camere il 28 dicembre 2017 e contestualmente emanare il decreto che individua i collegi uninominali e quelli plurinominali, che li ricomprendono, assegnando il numero di parlamentari spettanti ad ogni collegio plurinominale in base al numero degli abitanti residenti nelle circoscrizioni regionali. In altri tempi non sarebbe stato possibile aggiungere un articolo non esistente nell’originale, come si legge nella Gazzetta ufficiale n. 295 del 19 dicembre 2017 – Suppl. ordinario n. 58: «Art. 6 (La pubblicazione originale del presente decreto non comprende l’articolo 6)».
Il degrado dell’opinione pubblica e delle istituzioni è tale, che non credo che qualcuno si scandalizzerà. D’altro canto cosa ci si può aspettare da uno Stato in cui è possibile inserire in una revisione costituzionale, una norma di diritto estranea alla materia: “Restano validi a ogni effetto i rapporti giuridici, attivi e passivi, instaurati anche con i terzi”. (art. 40, c. 3, ultimo periodo). Si trattava di una formulazione generica, ma che avrebbe sanato tutte le affittanze a trattativa privata, grazie all’autodichia (vedi box),
Bisogna far valere un quarto potere dello Stato: quello elettorale dei cittadini
fatte con il famoso immobiliarista Scarpellini. La reazione deve essere del corpo elettorale, che deve essere inteso come un potere dello Stato al pari del legislativo, dell’esecutivo e del giudiziario. Questa tesi da noi è una assoluta novità, ma in America latina già nella seconda metà del XIX secolo su impulso di Simon Bolìvar fu costituzionalizzata: «El poder electoral del pueblo», si affiancò ai tre poteri tradizionali. Su questo assunto si fonda un conflitto di attribuzione presentato in Corte costituzionale il 14 dicembre scorso da legali del gruppo poiché discosta dal modello costituzionale. Da qui l’importanza del Patto per Costituzione e la democrazia, redatto da Anna Falcone e da me, al quale ha aderito la lista di Liberi e uguali con il presidente Pietro Grasso alla testa e alcuni candidati di Potere al popolo. Votare per farlo rispettare è il primo dovere.
Cos’è l’autodichia
Si tratta di una prerogativa che ranno alcuni organi costituzionali di risolvere controversie attinenti ai propri dipendenti attraverso propri organi giurisdizionali appo-sitamente costituiti, senza ricorrere ai tribunali, ma che la Camera dei deputati nel 1996 estese a tutti i contratti, compresi acquisti, affittanze, appalti e forniture. Un caso speciale è l’art. 66 Cost. per cui le Camere sono gli unici giudici sui titoli di ammissione dei propri componenti. Questa è la ragione per la quale sino alla sentenza 1.112014 della Corte costituzionale investita dalla Cassazione su ricorse degli avvocati Bozzi, Tani e Besostri, le leggi eletto-rali erano sottratte al controllo di costituzionalità.
Un Patto che si basa sulla Costituzione
Il documento redatto dai giuristi che invitano i politici a sottoscriverlo in vista del voto
La vittoria schiacciante dei No al referendum costituzionale sulla riforma Renzi-Boschi è un segnale preciso. La Costituzione deve essere il fil rouge che lega l’operato di chi si presenta alle prossime elezioni. Questo è il senso del Patto per la Costituzione e la democrazia ideato e firmato tra gli altri, da Felice Besostri, Anna Falcone, Vincenzo Vita, Gianni Ferrara, Paolo Maddalena, Pietro Adami. Questo documento, invita coloro che lo sottoscrivono «a contrastare ogni ulteriore proposta di riforma che miri a modificare, palesemente o surrettiziamente, la forma democratica e parlamentare del nostro modello repubblicano». Coloro che sottoscriveranno il Patto dovranno quindi sostenere i principi sanciti nella Costituzione. In particolare la garanzia del diritto al lavoro, «e all’inclusione nei percorsi lavorativi delle persone con disabilità» e naturalmente la garanzia dei diritti pensionistici e assistenziali. Nel Patto spicca quanto sancito all’art.3, il “faro” per la garanzia dei diritti dei cittadini, la rimozione di tutte le diseguaglianze: dalla salute all’istruzione, dalla giustizia rapida per tutti all’assistenza sociale.
Nel Patto si a riferimento alla «piena attuazione del Titolo III della Costituzione sui “Rapporti economici” tramite un opportuno e necessario intervento pubblico in economia». E anche e soprattutto, per quanto riguarda la politica estera: «all’interpretazione e revisione dei Trattati europei alla luce dei principi inderogabili dettati dalla Costituzione». Il Patto prevede norme precise e controcorrente sulle politiche migratorie. E cioè «la revisione delle politiche sui flussi migratori alla luce della piena effettività dei principi costituzionali sul diritto d’asilo, la cancellazione accordi che non garantiscano il pieno rispetto della dignità e dei diritti fondamentali delle persone, dei migranti economici e di quanti a qualsiasi titolo fuggano da regimi totalitari, territori di guerra o colpiti da crisi, carestie, disastri ambientali e violazioni dei diritti umani». Infine, l’ultimo punto, basilare, per la democrazia in Italia.
Principi precisi e controcorrente su trattati economici e politiche migratorie
Il Patto infatti sancisce «la piena garanzia, anche giurisdizionale, dei diritti di elettorato attivo e passivo, nonché dei diritti di partecipazione politica». L’impegno è dunque «a promuovere una legge elettorale conforme al prioritario rispetto del principio di rappresentanza democratica, dell’autonomia e della centralità del Parlamento e dei parlamentari, tale da sancire il diritto degli elettori a partecipare attivamente alla selezione delle candidature e alla scelta degli eletti, nel rispetto della parità di genere e dell’equi-librio fra generazioni». Al Patto hanno aderito Liberi e uguali con l’adesione annunciata da Pietro Grasso il 7 gennaio, e alcuni esponenti di Potere al popolo.
Fonte: Left del 26 gennaio 2018