«Tutti cittadini elettori in Comuni appartenenti alla Circoscrizione europea III Italia Centrale (Lazio – Toscana – Umbria – Marche), come da tessere elettorali/certificati di iscrizione alle liste elettorali, che si depositano unitamente al presente ricorso (all. 1 e 2), per l’elezione della Delegazione Italiana al Parlamento Europeo ai sensi della legge n. 18/1979 e s.m.i., assistiti, difesi e rappresentati in giudizio, congiuntamente e disgiuntamente dagli avvocati On. Felice C. Besostri (C.F. BSSFCC44D213M172R) del Foro di Milano, Giuseppe U. Sarno (C.F. SRNGPP47H25A509Z) del Foro di Avellino, Francesca la Forgia (C.F.: LFRFNC73S63A883T) del Foro di Trani e Anna Falcone (C.F. FLCNNA71S70D086X ) del Foro di Roma, con domicilio eletto presso lo studio di quest’ultima in viale G. Mazzini 55 00195 Roma, P.E.C. annafalcone@ordineavvocatiroma.org come da deleghe a margine/in calce del presente atto.

I predetti avvocati dichiarano di voler ricevere le comunicazioni di cancelleria ex art. 170, comma 4, e 176 C.p.c al seguente indirizzo di posta elettronica annafalcone@ordineavvocatiroma.org Ricorrono

Contro

Lo Stato italiano in persona del legale rappresentante, pro tempore;

la Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente del Consiglio dei Ministri in carica;

il Ministero dell’Interno, in persona del Ministro dell’Interno in carica;

a codesto Onorevole Tribunale, in composizione monocratica, affinché sia fissata l’udienza di discussione ai sensi dell’art. 702 bis C.p.c., con l’assegnazione del termine per la costituzione dei convenuti-resistenti, all’esito della quale vengano accolte le seguenti domande:

CONCLUSIONI

Piaccia al Tribunale Civile di ****, ogni contraria istanza e deduzione disattesa, così giudicare:

previo rinvio pregiudiziale ai sensi dell’art. 267 TFUE alla Corte di Giustizia dell’UE delle questioni relative all’interpretazione/applicazione del diritto comunitario, avvalendosi del procedimento pregiudiziale accelerato ai sensi dell’art. 104 bis del Regolamento di procedura della Corte di giustizia europea, così come riconosciuto dalla stessa Corte di giustizia Europea, con nota del 05.12.2009 n° C-297/01;

previa rimessione alla Corte Costituzionale, delle questioni incidentali di costituzionalità che con il presente atto vengono dedotte in giudizio, considerata la loro rilevanza ai fini del decidere e ritenuta la loro non manifesta infondatezza:

accertare e dichiarare il diritto degli elettori ricorrenti come identificati in atto di esercitare il proprio diritto di voto libero, eguale, personale e diretto, così come attribuito e garantito nel suo esercizio dalla Costituzione Italiana e dai vigenti Trattati sull’Unione Europea e il suo funzionamento e norme comunitarie.

In caso di resistenza alla domanda dei ricorrenti, di voler dichiarare compensate le spese di giudizio, in quanto non vi è un interesse privato nel suo accoglimento, ma interesse personale come cittadini elettori alla regolarità e legalità costituzionale del processo elettorale.

ESPOSIZIONE DEI FATTI

1. I ricorrenti sono cittadini italiani iscritti nelle liste elettorali di Comuni appartenenti alla Circoscrizione III Italia Centrale (Lazio-Toscana-Umbria-Marche), nella quale hanno la residenza [docc. dI cui agli allegati 1) tessere elettorali, a 2) certificati di iscrizione alle liste elettorali].

2. Pertanto, i ricorrenti, in quanto elettori iscritti nelle liste elettorali, hanno il diritto fondamentale di esercitare il loro voto nelle forme e nei limiti previsti e garantiti dal combinato disposto degli articoli 1, 2, 3, 48, 49, 51, 56, 58, e 117, primo comma, della Costituzione e dell’art. 3 della Convenziona Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, nonché degli artt. 20, 22 , 223 e 224 TFUE, artt 2, 6, 9, 10 e 14 TUE, Preambolo cpv 2°, artt. 10, 12, 20, 21, 39, 51, 52 e 53 Carta dei diritti fondamentali dell’UE, art. 1 c. 1 nn. 2), 3) e 8), decisione 2002/772/CE che modifica l’atto relativo all’elezione dei rappresentanti al Parlamento Europeo a suffragio universale diretto, allegato alla decisione 76/787 CECA, CEE, EURATOM e della sentenza 23 aprile 1986, in causa 294/1983, Parti Ecologiste-Les Verts vs. Parlament Européen. Tale elencazione non è esaustiva in quanto il contrasto con singole norme europee comunitarie è sviluppato nei singoli PUNTI del ricorso (V. all. 3 – Elenco con testo delle norme europee citate e/o rilevanti ai fini del ricorso, della sent. 23 aprile 1986, in causa 294/1983, Parti Ecologiste-Les Verts vs. Parlament Européen e indicazione fonti)

3. È accaduto, tuttavia, che la legge sulla elezione della Delegazione italiana al Parlamento Europeo n. 18/1979 sia stata modificata con la Legge n. 10/2009, mediante l’introduzione di norme che, violando la Costituzione e i Trattati TFUE e TUE, gravemente limitano, comprimono e alterano l’efficacia e l’effettività del suddetto diritto di voto dei ricorrenti, così come costituzionalmente garantito dalle citate norme costituzionali e sovranazionali.

4. Di conseguenza, i ricorrenti hanno interesse all’accertamento in giudizio della pienezza del proprio diritto di voto così come garantito dalle invocate norme costituzionali e sovranazionali, previa declaratoria d’incostituzionalità delle vigenti disposizioni di legge che lo limitano, lo comprimono e ne alterano l’efficacia e l’effettività, nonché previa acquisizione delle pronunce della Corte di Giustizia della U.E. in seguito a rinvio pregiudiziale ex art.267 TFUE.

5. Per queste ragioni, in base agli articoli 24, 1° e 2° comma, e 111, 1° e 2° comma della Costituzione, e agli articoli 99, 100 e 101 C.p.c., i ricorrenti con il presente atto adiscono codesto Tribunale Civile di Roma per la tutela giurisdizionale del proprio diritto di voto che ritengono essere gravemente leso per i seguenti

ELEMENTI DI DIRITTO

6. Con la domanda di merito si chiede l’accertamento del diritto dei ricorrenti di esercitare il proprio diritto di voto libero, eguale e diretto, così come costituzionalmente garantito nel suo esercizio, lamentandone la lesione a causa della dedotta illegittimità costituzionale e della contrarietà alla normativa europea comunitaria della Legge 24 gennaio 1979, n. 18 – Elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all’Italia – così come modificata Legge 20 febbraio 2009, n. 10 “Modifiche alla legge 24 gennaio 1979, n. 18, concernente l’elezione dei membri del Parlamento europeo spettanti all’Italia”.

Le censure d’incostituzionalità traggono principalmente origine dalle modificazioni, introdotte con la Legge n. 10/2009, nella disciplina previgente sulla elezione del Parlamento Europeo, contenuta nei testi originari, nonché di modifiche legislative nazionali e comunitarie entrate in vigore successivamente all’adozione della Legge n. 18/1979, come la Legge 15 Dicembre 1999, n. 482 “Norme in materia di tutela delle minoranze linguistiche storiche “, il Trattato di Lisbona e la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. Le modificazioni evidenziano, al di là di ogni ragionevole dubbio, la incompatibilità della normativa attuale con le norme costituzionali e comunitarie in materia, avuto riguardo ad alcune delle disposizioni introdotte a modifica o a integrazione delle precedenti.

7. In concreto, gli articoli 12, commi 4, 5 e 9; 20, comma 1, n. 1), 21, comma 1 n. 1) bis e 2) e 22 della Legge 18/1979 e s.m.i costituiscono violazione delle norme costituzionali, internazionali e comunitarie richiamate nel par. 2 del presente atto sia per quanto dispongono od omettono di disporre, sia per l’applicazione/interpretazione fatta in occasione delle elezioni europee del 2009, come sarà argomentato in proseguo.

8. Il timore che la legge elettorale italiana per il Parlamento Europeo minacci l’uguaglianza e le libertà del diritto di voto dei cittadini italiani e provochi una distorsione nella rappresentanza dei cittadini italiani come cittadini dell’Unione non è puramente teorica, ma empiricamente verificabile proprio in forza delle elezioni europee del 2009. Infatti, dal Verbale delle Operazioni dell’Ufficio Elettorale Nazionale presso la Suprema Corte di Cassazione per l’Elezione dei Membri del Parlamento Europeo spettanti all’Italia del 26 giugno 2009 è possibile desumere i seguenti risultati:

LISTE
VOTI
IL POPOLO DELLA LIBERTA’ con la collegata  VALLEE D’AOSTE
10.803.183
PARTITO DEMOCRATICO con la collegata SVP
8.094.254
LEGA NORD
3.126.181
DI PIETRO ITALIA DEI VALORI con la collegata
AUTONOMIE LIBERTE’ DEMOCRATIE
2.472.049
UNIONE DI CENTRO
1.990.784
[TOTALE PARZIALE VOTI LISTE SOPRASOGLIA]
[26.486.451]
RINFOND. COM. – SIN. EUROPEA – PdCI
1.032.379
SINISTRA E LIBERTA’
953.907
LISTA MARCO PANNELLA – EMMA BONINO
740.970
LA DESTRA – MPA – PENSIONATI – ALL. DI CENTRO
681.064
FIAMMA TRICOLORE
  245.611
PARTITO COMUNISTA DEI LAVORATORI
165.521
FORZA NUOVA
146.922
LIBERAL DEMOCRATICI – MAIE
70.939
[TOTALE PARZIALE LISTE SOTTO SOGLIA]
[4.037.313]
TOTALE
30.519.501

Dunque, è di tutta evidenza che più di 4 milioni di elettori non hanno avuto rappresentanza e, cioè, il 13,22% dei voti validi espressi: di gran lunga il terzo partito italiano dopo PdL e PD e prima della Lega Nord, con quasi un milione di voti in più.

Ai sensi dell’art. 2 della Legge n. 18/79 i seggi sono stati attribuiti alle Circoscrizioni in base alla popolazione residente (si badi bene: non iscritti alle liste elettorali) come risultante dall’ultimo censimento e, pertanto, il D.P.R.18.04.2009 aveva assegnato 19 seggi al Nord Ovest, 13 seggi al Nord Est, 14 all’Italia Centrale, 18 all’Italia Meridionale e 8 alle Isole, mentre l’assegnazione finale ha visto 21 parlamentari al N.O.(+2), 15 al N.E. (+2), 15 seggi all’Italia Centrale (+1), 15 seggi all’Italia Meridionale (-3) e 6 seggi (-2) all’Italia Insulare, tutto ciò per effetto della minore partecipazione elettorale e del comportamento elettorale (voto per liste sotto-soglia nazionale) dei elettori delle Circoscrizioni europee IV e V.

Con l’assegnazione di seggi al di fuori della Circoscrizione, a causa del comportamento elettorale dei votanti nella Circoscrizione stessa, si viola il principio del voto personale e diretto (art. 48 Cost.), in quanto il voto espresso in una circoscrizione, nel caso la IV (Italia Meridionale) e la V (Italia Insulare­– come è successo per la Lega Nord nelle Circoscrizione II° Italia Centrale e I (Italia Settentrionale Occidentale) ­­– viene assegnato a favore di persone neppure candidate nella Circoscrizione elettorale degli elettori, il cui comportamento (non aver votato per la Lega Nord o aver votato per liste rimaste sotto la soglia del 4% nazionale) ha provocato la sua elezione. Sul punto esiste un preciso precedente della Corte Costituzionale Federale Tedesca, Sentenza Urteil des Zweiten Senats vom 3. Juli 2008 2 BvC 1/07, 2 BvC 7/07, che afferma la violazione dei principi del voto uguale e diretto se un candidato è favorito o sfavorito dal comportamento elettorale in circoscrizione diversa da quella di candidatura. In materia di diritto elettorale per il Parlamento nazionale la Corte Costituzionale tedesca ha una ricca giurisprudenza: si ricorre, infatti, ad essa contro le decisioni del Bundestag, mentre le decisioni delle nostre Camere ex artt. 66 Cost. sono definitive. Pertanto, in un ricorso elettorale è impossibile porre una questione di costituzionalità di norme elettorali ed ottenere un rinvio alla Corte in via incidentale, stante la consolidata giurisprudenza della carenza assoluta di giurisdizione dell’A.G.O. o dell’A.G.A., come ha potuto personalmente sperimentare uno dei co-difensori (TAR Lazio Sez.II bis n. 1855/2008 del 27 febbraio 2008 e CdS, Sez.IV, n.1053/2008 del 11 marzo 2008). Soltanto un candidato, l’on Giuseppe Gargani aveva reagito alla trasmigrazione dei seggi, provocando la Sentenza CdS Sez. V, n. 02886/2011 del 13/05/2011. Con tale decisione, il Consiglio di Stato, interpretando il combinato disposto degli artt. 2 e 51 della Legge n. 18/1979, ha disapplicato l’art. 21 della legge applicando, in suo luogo, l’art. 83, comma 1, n. 8, del D.P.R. 367/1957 e s.m.i., affinché i seggi restassero nella Circoscrizione cui erano stati assegnati in rapporto alla popolazione residente, invece di trasmigrare in altra Circoscrizione. Trasmigrazione dovuta alla minore partecipazione e al comportamento elettorale degli elettori residenti, penalizzando il Sud (15 eletti, in luogo dei 18 seggi assegnati dal D.P.R. 18.4.2009) e le Isole (6 eletti, in luogo degli 8 seggi assegnati dal D.P.R. cit.). La Lega si è trovata con 2 europarlamentari in più nel Nord-Ovest e nel Centro, perché al Sud e nelle Isole non l’hanno votata, ma hanno votato per Sinistra e Libertà (soprattutto nella circoscrizione IV) e per la lista LA DESTRA – MPA – PENSIONATI – ALL. DI CENTRO (prevalentemente nella circoscrizione V). Il giudicato sul ricorso dell’On. Gargani ha avuto effetto limitato, cioè ha fatto soltanto perdere il seggio europeo all’On. Collino, candidato nella Circoscrizione Europea II Italia Settentrionale-Orientale (Regioni Trentino-Südtirol, Veneto, Friuli Venezia Giulia e Emilia Romagna). Il Consiglio di Stato, Sez. V, sent. n. 4786/2011 del 16/08/2011, non ha, infatti, accolto la stessa censura formulata in via generale nel ricorso R.G. 809/2011, come anche, pur essendo l’ultima istanza giurisdizionale nazionale, in violazione dell’art. 267, comma 3 TFUE, non ha sottoposto alla Corte di Giustizia della UE le questioni pregiudiziali. L’introduzione della soglia di accesso anche per l’elezione del Parlamento europeo comporta la violazione del voto eguale e diretto. Non rileva, a riguardo, che la soglia di accesso sia prevista anche per le elezioni nazionali, in quanto un sacrificio della rappresentanza può essere giustificato in una forma di governo parlamentare, per evitare un’eccessiva frammentazione partitica, in nome della governabilità e della stabilità, poiché il Governo deve avere la fiducia delle Camere (art. 94 Cost), mentre non è compito del Parlamento europeo dare una fiducia politica ad un Governo Europeo – la Commissione Europea – costituito sulla base di un’intesa politica fra i Governi degli Stati membri. L’argomentazione, avanzata a suo tempo, di evitare una frammentazione della delegazione italiana (relazione dei Senn. Ceccanti e Malan) per dare maggior peso all’Italia, ignora che nel Parlamento europeo i parlamentari sono suddivisi per gruppi politici e non nazionali, che per il Parlamento europeo sono elettori tutti i cittadini comunitari residenti (elettorato attivo) ed eleggibili i cittadini di qualsivoglia Paese membro dell’U.E. (elettorato passivo). Come si rileva da qualsivoglia sito informativo istituzionale dell’UE: “Eletti direttamente a suffragio universale ogni 5 anni, i membri del Parlamento europeo rappresentano i cittadini dell’UE. Il Parlamento, insieme al Consiglio dell’Unione europea, è una delle principali istituzioni legislative dell’UE. Il Parlamento europeo ha tre funzioni principali: discutere e approvare le normative europee insieme al Consiglio, controllare le altre istituzioni dell’UE, in particolare la Commissione, per accertarsi che agiscano democraticamente, discutere e adottare il bilancio dell’UE insieme al Consiglio” (http://europa.eu/about-eu/institutions-bodies/european-parliament/index_it.htm), come del resto prevedono gli artt. 10, comma 2 e 14, comma 2, primo periodo TUE, per quanto riguarda la rappresentanza dei cittadini dell’UE, e gli artt. 22, comma 2 TFUE e 39, comma 1 della Carta Diritti Fondamentali, per il diritto di elettorato attivo e passivo dei cittadini comunitari nel Paese di residenza. È quindi escluso che i parlamentari eletti in Italia rappresentino lo Stato italiano o i suoi interessi! Del resto lo stesso titolo della Legge n. 18/1979 parla di membri spettanti all’Italia e non rappresentanti l’Italia e, in effetti, i parlamentari europei sono assegnati agli Stati membri in base alla popolazione residente, e non in base ai cittadini dello Stato membro: “La rappresentanza dei cittadini[ dell’UE] è garantita in modo degressivamente proporzionale.” (art. 14 c.2 TUE). In altre parole, gli Stati membri sono circoscrizioni per l’elezione di un Parlamento rappresentativo dei cittadini dell’UE. La decisione 2002/772/CE consente di suddividere il territorio nazionale in circoscrizioni, ma “senza pregiudicare complessivamente il carattere proporzionale del voto” (art. 1, comma 1, n. 3 di modifica dell’art. 2 della Decisione 76/787 CECA,CEE,EURATOM, ora art. 2 versione consolidata). Questo carattere proporzionale non riguarda soltanto il voto di lista, ma anche il rapporto tra seggi e popolazione, che gli artt 21 e 22 Legge n. 18/1979 contraddicono, consentendo la trasmigrazione di seggi da una circoscrizione ad altra, poiché permettono l’elezione di candidati in altre circoscrizioni, sulla base di voti espressi nelle circoscrizioni che perdono seggi. Ciò viola il diritto al voto personale e diretto di cui agli artt. 48 e 56 Cost, quest’ultimo applicabile in forza del richiamo ex art. 51 Legge n. 18/1979. al T.U. per l’elezione della Camera dei Deputati DPR 361/1957, come ben argomentato dalla soprarichiamata sentenza Gargani. Tuttavia tale sentenza, pur avendo risolto temporaneamente il problema particolare dell’ On. Gargani, non risolve il problema in via generale e definitiva, in quanto gli articoli censurati restano tutt’ora in vigore e possono essere rimossi soltanto da una sentenza della Corte Costituzionale, o per effetto di una pronuncia della Corte di Giustizia della UE, in risposta a rinvio pregiudiziale per la disapplicazione della norma ritenuta in contrasto con la normativa comunitaria.

Per i motivi che saranno illustrati successivamente, l’introduzione della soglia del 4% è incostituzionale e contraria ai Trattati, in quanto la sola base che lo consente è la Decisione 2002/772/CE, nella parte in cui introduce con l’art.1 comma 1 n.3) l’art. 2 bis (ora 3 nella versione consolidata) nella decisione 76/787/CECA, CEE, Euratom, che ammette la possibilità di introdurre soglie di acceso fino ad un massimo del 5% nazionale. Di fatto tale facoltà, fino al giugno 2010, non era stata esercitata da ben 13 Stati (tra i quali Regno Unito, Spagna, Romania) con un alto numero di Europarlamentari in rapporto alla loro popolazione, come l’Italia (http://www.cortecostituzionale.it/documenti/convegni_seminari/CC_SS_Formule_elettorali_03032011.pdf). Altri con popolazione paragonabile all’Italia, come la Francia e la Germania, avevo esercitato tale facoltà non a livello nazionale, ma circoscrizionale, attenuando la distorsione della rappresentanza. In Italia, nel 2009, SeL nella circoscrizione IV (Italia Meridionale) e MPA e alleati nella circoscrizione V (Italia Insulare) avevano agevolmente superato la soglia di sbarramento. L’Ufficio Elettorale Nazionale ha proceduto all’assegnazione dei seggi spettanti all’Italia nel seguente modo: 29 al PdL, 21 al PD, 9 alla Lega Nord, 7 all’IdV, 5 all’UDC ed 1 alla SVP collegata al PD ex art.12 Legge n. 18/1979. Tale ripartizione è del tutto illegittima in quanto in contrasto con gli artt. 21 e 22 della Legge n. 18/1979, così come modificati dalla L. 20 febbraio 2009, n. 10, perché ha ignorato l’ultimo periodo dell’art. 21, comma 1, n. 2), che recita: “Si considerano resti anche le cifre elettorali nazionali delle liste che non hanno raggiunto il quoziente elettorale nazionale”. Da quanto è possibile desumere dal verbale dell’Uffici Elettorale Nazionale presso la Corte di Cassazione, dopo aver determinato la cifra elettorale nazionale, sono stati assegnati i seggi alle liste che “abbiano conseguito sul piano nazionale almeno il 4 per cento dei voti validi espressi”, sulla base del quoziente nazionale determinato ai sensi dell’art. 21, comma 1, n. 2, che è pari a 367.808 voti. Quindi il PdL ha ottenuto n. 29 Quozienti Nazionali Interi (d’ora in poi Q.N.I.), il PD + SVP n. 22 Q.N.I., la Lega Nord 8 Q.N.I., l’IdV n. 6 Q.N.I., l’UDC n. 5 Q.N.I. Tutte queste liste, le uniche ammesse al riparto, hanno conseguito più di un quoziente nazionale. Il PdL, il PD e la UDC non hanno eletto, quindi, europarlamentari con i resti. La Lega Nord (resto di 179.454 voti) e IdV (resto di 265.201 voti) hanno eletto con i resti un europarlamentare a testa. Almeno due seggi sono stati, quindi, illegittimamente, assegnati “alle liste per le quali le ultime divisioni hanno dato maggiori resti”, ossia: la Lista “Di Pietro Italia dei Valori”, che ha ottenuto un resto di 0,71 pari a voti assoluti 265.201, e la “Lega Nord”, con un resto di 0,46 pari a voti assoluti 179.454. Tale assegnazione si dimostra, però, del tutto erronea e contraria a quanto disposto dall’art. 21, comma 1, n. 2) della l. 20 febbraio 2009, n. 10, poiché dalla corretta applicazione della citata normativa, infatti, avrebbe dovuto conseguire l’assegnazione di un seggio ciascuno alle liste “Sinistra e Libertà” e “Rifondazione Comunista – Sinistra Europea – Partito dei Comunisti Italiani”. Le rispettive cifre elettorali, infatti, pari a voti 953.907 voti (SeL) e 1.032. 379 voti (Comunisti-Sinistra Europea), sono – e di gran lunga – superiori ai due maggiori resti delle liste ammesse al riparto, nonché allo stesso valore assoluto del quoziente elettorale nazionale determinato dividendo il totale dei voti delle liste sopra soglia per il numero dei seggi assegnati all’Italia. Ciononostante, non avendo tali liste, SeL e Comunisti-Sinistra Europea, superato la soglia di accesso nazionale, non sono state tenute in considerazione e, quindi, non hanno raggiunto un quoziente elettorale nazionale. In seguito alla divisione della cifra elettorale nazionale di ciascuna lista per il quoziente elettorale nazionale, per i restanti seggi da attribuire debbono essere considerate non solo le liste con i maggiori resti, ma anche le cifre elettorali nazionali delle liste che non hanno partecipato all’attribuzione dei seggi e che, quindi, “non hanno raggiunto il quoziente elettorale nazionale”. Tali liste non hanno raggiunto il 4% sul piano nazionale, ma la loro cifra elettorale è superiore ai resti delle liste, che hanno superato la soglia di accesso. Nessuna di queste liste, come dimostreremo matematicamente in proseguo, non può non aver conseguito un quoziente elettorale nazionale intero, anzi almeno due, se non tre, con il 4% dei voti validi. Il 4% è, infatti, calcolato secondo la formula: totale dei voti validi espressi ÷ 100 x 4 = soglia di accesso. Il quoziente nazionale è calcolato sul totale dei voti validi delle liste che hanno superato il 4% (voti 26.482.188), diviso per il numero dei seggi (72), ed è pari a voti 367.808. È di solare e matematica evidenza che 4/100 > 1/72. Il totale dei voti sul quale si calcola il 4% è costituito dai voti validi espressi (nel caso concreto del 2009 pari a 30.519.501 voti), mentre il valore numerico su cui si calcola il quoziente nazionale (1/72) è dato dal totale dei voti della sole liste che hanno superato il 4%, che è un insieme minore (nel 2009 è stato di 26.486.451 voti) dell’insieme costituito dal totale delle cifre elettorali di tutte le liste presentate (per le cifre vedi il precedente PUNTO 8). La disposizione di cui all’art. 21, comma 1, n. 2, della Legge 20 febbraio 2009, n. 10 non sembra lasciare spazio a differenti interpretazioni, tenuto conto di ulteriori e concorrenti profili. In primo luogo, tale norma è contenuta nel medesimo provvedimento legislativo che ha indicato nel 4% la soglia che le liste debbono raggiungere per partecipare alla ripartizione dei seggi a coefficiente pieno, con la conseguenza che non può essere considerata in altro modo se non come una disposizione di “salvaguardia” per le liste che non abbiano ottenuto tale percentuale a livello nazionale. La deroga alla soglia di accesso non è estranea al nostro ordinamento (si pensi alle liste espressione delle minoranze linguistiche o alla lista coalizzata che non raggiunge la soglia del 2% ex art. 83, c. 1 n. 6 D.P.R. 361/1957). In tal caso assume rilievo la maggiore cifra elettorale nazionale, quando non si raggiunge la soglia di accesso. Il richiamo alle disposizioni del TU Elezione Camera dei Deputati operato dall’art. 51 Legge n.187/1979 alla luce della sentenza Gargani, Cons. Stato, sez. V, n. 2886/2011, grazie alla quale l’on. Gargani siede tuttora nel Parlamento Europeo, è, quindi, più che pertinente. Da un concorrente angolo prospettico, detta disposizione non può essere diretta a consentire una ripartizione dei seggi restanti alle liste che abbiano raggiunto il 4%, dal momento che non è assolutamente realizzabile, né si è mai realizzata in qualsivoglia ordinamento che distribuisca i seggi, oltre che in base ai quozienti interi in forza dei maggiori resti, l’ipotesi secondo cui una lista ottenga un numero di voti sufficiente a superare detto sbarramento, ma non tale da consentirne la partecipazione alla ripartizione dei seggi a quoziente pieno: è matematicamente impossibile! In questa prospettiva, d’altra parte, appare evidente come alla citata disposizione non possa essere attribuito “altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore”, come prescritto dall’art. 12, comma 1, delle Disposizione sulla legge in generale. La costante giurisprudenza della Corte di Cassazione ha, infatti, chiarito che “a norma dell’art. 12 delle preleggi, nell’interpretazione delle norme giuridiche si può procedere alla ricerca dell’effettiva mens legis, sul presupposto che il legislatore abbia inteso sancire una norma diversa da quella che è resa manifesta dalla sua dizione letterale, solo nei casi in cui la lettera della legge non sia chiara ed inequivoca” (Cass. civ., 27 ottobre 1983, n. 6363). L’orientamento è stato più recentemente confermato dalla Suprema Corte, la quale ha chiarito che “nell’ipotesi in cui l’interpretazione letterale di una norma di legge sia sufficiente ad individuarne, in modo chiaro ed univoco, il relativo significato e la connessa portata precettiva, l’interprete non deve ricorrere al criterio ermeneutico sussidiario costituito dalla ricerca, mercé l’esame complessivo del testo della “mens legis”, specie se, attraverso siffatto procedimento, possa pervenirsi al risultato di modificare la volontà della norma sì come inequivocabilmente espressa dal legislatore” (Cass. civ., Sez. I, 06 aprile 2001, n. 5128). Al di là dei ragionamenti appare decisiva come già detto in precedenza, la semplice formula matematica per cui 4/10 è sempre maggiore di 1/72, come anche 1/72 è minore di 1/25 (soltanto con 24 seggi invece di 72, ora 73, una lista che superi il 4% potrebbe non avere un quoziente intero). A differenti conclusioni non è possibile giungere neanche riconoscendo il più ampio rilievo alla relazione dei senatori relatori Ceccanti e Malan, i quali hanno evidenziato, che la norma di cui all’art. 21, comma 1, n. 2, della Legge 20 febbraio 2009, n. 10 si “pone come norma di chiusura anche dopo l’introduzione dello sbarramento al 4 per cento. Infatti, non essendo il numero di seggi spettanti all’Italia inserito nella legge, che opera un rinvio alle fonti europee (attualmente il rinvio è al Trattato di Nizza), in via meramente astratta, a sbarramento invariato, potrebbe essere ipotizzabile una diminuzione del numero dei rappresentanti italiani al di sotto dei venticinque. In tal caso, in assenza dell’ultimo periodo, vi sarebbe il rischio di ritenere escluse dall’assegnazione dei resti anche liste che avrebbero superato lo sbarramento, ma che non avrebbero raggiunto il quoziente elettorale nazionale, che in quel caso sarebbe superiore al 4 per cento (se i seggi fossero, ad esempio, venti, il quoziente sarebbe del 5 per cento)”. Per i ricorrenti non è facile capire se questa affermazione dei relatori in Senato, in occasione della definitiva approvazione della legge in seconda lettura (quindi del tutto sconosciuta alla Camera dei Deputati che l’aveva approvata il 3 febbraio 2009 e nel nostro sistema bicamerale perfetto la volontà del legislatore è quella comune alle due Camere e non solo di una di esse in sede di definitiva approvazione), sia frutto di malafede o di crassa ignoranza di principi elementari di matematica. L’attribuzione in base alle cifre elettorali delle liste sotto soglia non minaccerebbe l’assegnazione di seggi con i resti alle liste sopra soglia, perché chi ha superato la soglia ha sicuramente una cifra elettorale superiore a chi non l’ha superata. Se l’ignoranza matematica è scusabile in chi abbia una malintesa formazione puramente umanistica, non ha giustificazione, se non nella malafede, l’argomentazione che la norma ha un senso come norma di chiusura nel caso che i seggi spettanti all’Italia fossero meno di 25, in luogo dei 72 del Trattato di Nizza, o i 73 del Trattato di Lisbona. Sebbene la norma non contenga né poteva contenere il riferimento al totale dei seggi, tali seggi erano ben noti al legislatore dal momento che il numero dei parlamentari assegnati all’Italia era contenuto in un Trattato Internazionale già ratificato prima della modifica della legge elettorale delle europee (Cfr. l’art. 9 dell’Atto relativo alle condizioni di adesione della Repubblica di Bulgaria e della Romania e agli adattamenti dei trattati sui quali si fonda l’Unione europea allegato al Trattato di adesione dei predetti Stati all’Unione europea, fatto a Lussemburgo il 25 aprile 2005, ratificato e reso esecutivo con legge 9 gennaio 2006, n. 16; richiamato anche dal DPR del 1 aprile 2009 di convocazione dei comizi elettorali). Per poter dare un senso alla loro interpretazione, i senatori Ceccanti e Malan sono costretti a far scendere al di sotto di 25 i parlamentari spettanti all’Italia. È un’ipotesi manifestamente assurda perché, in seguito a una tale riduzione, per mantenere un minimo di proporzionalità tra gli allora 27 Stati dell’Unione Europea bisognerebbe far scendere a 1 o 2 Parlamentari, massimo 3, un buon numero di Stati, e cioè la maggioranza di essi. Una tale diminuzione dei seggi non raggiungerebbe mai l’unanimità necessaria per l’approvazione del relativo Trattato a prescindere, a quel punto, dai problemi per la sua ratifica, oltre che mettere in discussione la natura e la funzione del Parlamento europeo come rappresentante dei 500 milioni di cittadini comunitari. Il parlamento italiano approvando la modifica alla legge elettorale europea non poteva neppure ignorare di aver approvato con la Legge 2 agosto 2008 n. 130, cioè pochi mesi prima la ratifica del Trattato di Lisbona, che ha portato i seggi dell’Italia a 73: quindi i seggi spettanti all’Italia sono aumentati e non diminuiti. Appare in tutta evidenza, infatti, che tale lettura del dato normativo è intervenuta in un momento successivo alla stesura del provvedimento legislativo, col solo scopo di limitarne la portata nota agli stessi relatori, che avevano sostenuto la necessità di introdurre una soglia di accesso per evitare che rientrassero in gioco le forze politiche escluse dal Parlamento Nazionale nel 2008. Per avvalorare le tesi dei senatori Ceccanti e Malan bisognerebbe ritenere che il numero dei seggi non sia nella disponibilità del legislatore nazionale. Il numero dei parlamentari, invece, è fissato in un trattato internazionale la cui ratifica è autorizzata con legge dalle Camere (art. 80 Cost.) ed in plenaria, poiché è inammissibile affidarla alle Commissioni in sede deliberante o redigente (art. 35 Regolamento Senato).

L’interpretazione data dai ricorrenti è l’unica costituzionalmente compatibile e non in contraddizione con il carattere proporzionale dell’elezione del Parlamento europeo come enunciate dalle più volte richiamate Decisioni del Consiglio Europeo del 1976 e del 2002 (artt. 2 e 7, quest’ultimo ora 8 nella versione consolidata, all.3) e che rispettano gli artt. 3 e 51 Cost. in quanto, a causa del mancato coordinamento della Legge 10/2009 con l’art. 16 della Legge 10/11/1993, vengono escluse da rimborso delle spese elettorali le formazioni che non hanno superato la soglia del 4%. Ciò in difformità rispetto alle disposizioni per l’elezione della Camera dei Deputati ove soglia per l’elezione e soglia per il rimborso elettorale non coincidono, come non coincidono in nessun Paese che prevede una soglia di accesso e un rimborso delle spese delle campagne elettorali [in Germania rispettivamente 5% e 0,5% dopo una sentenza della Corte Costituzionale Federale che dichiarava costituzionalmente illegittime norme discriminatorie tra liste concorrenti alle elezioni. La sentenza della BverfG del 2004 (2 BvE 1/02 del 26.10.2004) ha annullato disposizioni della legge elettorale perché rende difficile il sorgere di piccoli partiti e la loro affermazione nella competizione politica. Con perdita del pluralismo politico e, quindi, con una limitazione della concorrenza fra partiti, Il Drei-Länder-Quorum svantaggia contro il principio di eguaglianza i partiti il cui programma si limiti, in consonanza con l’art. 2 comma 1, 1°periodo della legge sui Partiti politici, ad un singolo Land, nei confronti dei competitori che agiscano sull’intero territorio]. La regolamentazione italiana presenta il pericolo di una discriminazione. In effetti i costi di propaganda sono sopportati sia dalle liste che hanno successo, che da quelle che non hanno successo, per questo per la Camera dei Deputati è fissata una percentuale del 1% molto inferiore alla soglia di accesso del 4%. La disparità di trattamento non è giustificata, tanto più che il rimborso non è commisurato ai voti effettivi conseguiti dalle liste concorrenti, ma è calcolato sulla base degli elettori iscritti, con l’effetto paradossale che gli oltre 4 milioni di elettori di liste sotto soglia, compresi i loro candidati contribuiscono a finanziare le liste concorrenti, che risultano avvantaggiate per il prossimo rinnovo. Tale effetto viola i principi in materia elettorale per il Parlamento europeo fissati dalla già citata sentenza del 23 aprile 1986 in causa 294/83, e contrasta con quindi il diritto comunitario, di cui le sentenze sono parte integrante, nonché con l’art. 117 1° comma Cost.

La coincidenza tra soglia di accesso e soglia per il rimborso viola, inoltre, gli art. 3 e 51 Cost. Tale disposizione è da leggere anche in relazione al diritto di associarsi liberamente in partiti politici di cui all’art. 49 Cost., che impone parità di condizioni nella possibilità di concorrere alle elezioni, non certo di essere eletti. Dagli artt. 14 e 14 bis del DPR 361/1957 si desume l’equivalenza tra partiti, o gruppi politici organizzati, e le liste concorrenti alle elezioni. Un partito politico in quanto tale, cioè una libera associazione di cittadini, ha diritto di concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale. Nel nostro ordinamento la forma più rilevante è quella di partecipare alle competizioni elettorali: ne consegue che le limitazioni alla partecipazione di partiti politici non devono essere irragionevoli e/o arbitrarie. Le norme sul rimborso delle spese elettorali hanno questa funzione, dopo che è stato escluso un finanziamento diretto ai partiti in quanto tali. La questione può, quindi, esser oggetto sia di questione pregiudiziale alla Corte di Giustizia, che di rinvio alla Corte Costituzionale. In quest’ultimo caso, anche per violazione dell’art. 3 Cost., in quanto alle minoranze politiche è riservato un trattamento deteriore rispetto alle minoranze linguistiche, che hanno una garanzia di elezione con un numero di voti notevolmente inferiore a quello di liste escluse sotto soglia e, ai sensi dell’art. 12 Legge n. 18/1979, una garanzia di elezione con una percentuale di voti lontanissima al 4% nazionale e calcolata su base circoscrizionale.

10.1 Se gli effetti distorsivi su piano nazionale sono stati illustrati nel precedente PUNTO 8 del presente ricorso, le diseguaglianze di voto a livello dell’intera UE sono ancora più sconvolgenti. Vediamo in concreto: “Non è una sottigliezza, è la denunzia, a tacer d’altro, del carattere decrescente della proporzionalità nella composizione numerica del Parlamento europeo, per il che quanto minore è la popolazione di uno degli stati membri, tanto maggiore è il peso del voto dei suoi cittadini, anche fino a dodici volte più di quello degli elettori dello stato più popoloso.” (Da “L’Unione europea non è una democrazia legittimata” del prof. Gianni Ferrara). Una tale drastica opinione era stata espressa prima di conoscere i risultati delle elezioni 2009. Prendiamo per esempio i voti di lista di Sinistra e Libertà: in tali elezioni SeL ne ha ottenuto 953.907 e nessun europarlamentare, invece Malta (408.000 abitanti, votanti P.E. 254.030) ha eletto 5 deputati, Lussemburgo (476.000 abitanti, votanti P.E. 218.423 ) 6 deputati, Cipro (690.000 abitanti, votanti P.E. 312.479) 6 deputati, Estonia (1.342.000 abitanti, votanti P.E. 397.186) 6 deputati, Slovenia (2.008.516 abitanti, votanti P.E. 482.058) 7 deputati.

I voti di SeL sono superiori al totale dei votanti di Malta, Lussemburgo ed Estonia, pari a 869.648, che eleggono 17 europarlamentari.

I voti delle 4 maggiori liste escluse dal riparto dei seggi:

SeL 953.907

Rifondazione 1.032.379

Radicali 740.970

MPA 681.069

TOTALE 3.408.320 = 0 seggi

I voti sono di più della popolazione di Cipro, Estonia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta e Slovenia singolarmente considerati, che eleggono ciascuna da 5 a 7 europarlamentari. I voti delle 4 liste escluse sono superiore di 500.000 unità al totale delle popolazioni di Cipro, Estonia, Lussemburgo e Malta (2.916.000 abitanti), che complessivamente eleggono 23 europarlamentari, e il doppio degli elettori votanti di Malta, Lussemburgo, Cipro, Estonia e Slovenia, pari a 1.664.185, che ne eleggono 30. I voti delle 4 liste escluse, cioè di cittadini elettori della U.E., non hanno alcuna rappresentanza parlamentare. Una tale ingiustizia non è una conseguenza della proporzionalità decrescente, bensì delle scelte del legislatore italiano. Per le sue modalità di introduzione e di calcolo la soglia di accesso del 4% ha comportato una concreta lesione del principio di proporzionalità. È vero che una soglia di acceso fino al 5% è consentito dall’art. 2 bis (ora 3 della versione consolidata, all. 3) della Decisione 76/787 introdotto dalla Decisione 2002/772/CE, tuttavia una decisione è fonte normativa di rango inferiore ai Trattati e, in particolare, si impone di verificarla alla luce dei Trattati che siano entrati in vigore successivamente, nel caso di specie il Trattato di Lisbona, entrato in vigore il 1° dicembre del 2009, nonché la Carta dei Diritti Fondamentali della UE, che è stato equiparata ai Trattati solo con il Trattato di Lisbona, che così, integra la Carta dei diritti fondamentali nel diritto primario europeo (art. 6 par.1, comma 1 TUE). Ai sensi dell’art. 223, comma 2 le norme approvate “entrano in vigore previa approvazione degli Stati membri conformemente alle rispettive norme costituzionali.” Nel caso concreto la previsione di una soglia nazionale di acceso con deroghe esclusivamente a favore di sole 3 minoranze nazionali, rispetto alle 12 riconosciute dalla Legge n. 482/1999 e senza modificare l’art. 16 legge n. 515/1993, non è conforme ai principi costituzionali enunciati dagli artt. 3 e 51 Cost. e ai principi di diritto comunitario di cui alla sentenza 23 aprile 1986 in causa 294/83. Il modo degressivamente proporzionale con cui sono assegnati i seggi agli Stati, se combinato con una soglia di accesso che può raggiungere il 5% calcolato sui suffragi espressi, comporta un’intollerabile distorsione della rappresentanza dei cittadini UE in relazione allo Stato di residenza, quindi in contrasto con la libertà di circolazione ed è irrilevante, a riguardo, che siano equiparati ai cittadini dello Stato di residenza. Una soglia del 5% corrisponde, facendo riferimento alle elezioni 2009, a 12.071 elettori a Malta, a 19.850 elettori in Estonia e a 24.402 elettori in Slovenia. In Italia tale percentuale corrisponde a 1.525.975 elettori di ogni singola lista, ma come abbiamo visto, in realtà, sono stati esclusi dalla rappresentanza 4.037.313 elettori, corrispondenti pressappoco ai 4.040.516 complessivi abitanti di Slovenia, Estonia e Cipro, Stati che nel 2009 hanno eletto 19 europarlamentari. La rappresentatività del Parlamento Europeo è pertanto seriamente minacciata, e l’uguaglianza tra i cittadini non è affatto assicurata, poiché il peso del loro voto, e quindi della loro rappresentanza politica, varia a seconda del luogo di residenza. Nel caso concreto italiano, con l’introduzione della soglia di accesso, sono stati, inoltre, esclusi dal Parlamento Europeo, nelle elezioni del 2009, interi partiti (PSI, VERDI, PRC-PdCI) affiliati a partiti a livello europeo (PSE, VERDI Europei, Sinistra Unita Europea), indebolendo, così, la loro funzione riconosciuta dall’art. 10 par. 4 TUE. Ancora, la soglia di acceso per le elezioni europee è contraria all’art. 48 Cost. così come interpretato dalla Corte Costituzionale con la sentenza 2/10 luglio 1968 n. 96, che ha testualmente statuito “in materia di elettorato attivo l’art. 48, secondo comma, della Costituzione ha carattere universale e i principi, con esso enunciati, vanno osservati in ogni caso in cui il relativo diritto debba essere esercitato”. Tale soglia è, altresì, in contrasto con il principio di uguaglianza dei cittadini dell’Unione Europea, così come enunciato dalla Carta dei Diritti Fondamentali nell’Unione Europea (Preambolo e artt. 20, 23), dal Trattato UE (Preambolo cpv. 2 e artt. 2, 9, 10, par.3) e dal TFUE (artt. 8, 10, 18, 20).

Gli Stati che non hanno soglie di accesso sono, ad oggi, 14 in seguito alla sentenza della Corte Costituzionale Federale Secondo Senato del 9. Novembre 2011 nei 2 BvC 4/10, 2 BvC 6/10, 2 BvC 8/10, che ha dichiarato contraria alla Costituzione la clausola di sbarramento del 5% nella legge elettorale europea tedesca. L’interesse di tale decisioni deriva dal fatto che la disposizione violata, l’art. 38 GG, ha formulazione analoga a quella del nostro art. 48. La soglia di accesso o clausola di sbarramento paradossalmente e irragionevolmente (essendo quest’ultimo anche un parametro di costituzionalità) colpisce elettori attivi che si recano alle urne, con il rischio di demotivarli in caso di rinnovo dell’organo nel quale non abbiano avuto rappresentanza.

Il problema maggiore per la legittimazione politica del Parlamento è il preoccupante aumento dell’astensione dal voto. Il tasso di astensione è cresciuto di quasi 27 punti percentuali: dal 30,08% del 1979 al 57% del 2009. Nelle elezioni 2009 si è registrata la più bassa percentuale di partecipazione ad un’elezione europea: circa il 43%. Nelle elezioni 2009 l’Italia è rientrata nel 4° gruppo di Stati, quello dove l’astensione è cresciuta più del 6 per cento rispetto alle elezioni europee 2004. In Italia la caduta di partecipazione è costante ed è progressivamente aumentata nel tempo: 85,65% (1979), 82,47% (1984), 81,07% (1989), 73,60% (1994), 69,76% (1999), 71,72% (2004), 65,05% (2009). Si tratta di 20 punti percentuali in meno rispetto al 1979 e, se può essere consolatorio, inferiore a quello medio della UE, pari a 27 punti percentuali [questi dati sono tratti da: Direzione generale della Comunicazione Unità monitoraggio dell’opinione pubblica, RICERCA DOCUMENTALE SULLE ELEZIONI EUROPEE 2009 Astensione e comportamento elettorale nelle elezioni europee 2009, Bruxelles 13.12.12 (http://www.europarl.europa.eu/pdf/eurobarometre/2012/research/Desk_research_Abstention_principaux_enseignements_IT_v2.pdf).

10.2 Le disposizioni sulla soglia di accesso della legge elettorale italiana per il Parlamento Europeo e le disposizioni comuni in vigore – art. 3 versione consolidata della Decisione 76/787 CECA, CEE, EURATOM, atto relativo all’elezione dei rappresentanti al Parlamento Europeo a suffragio universale diretto, come modificato dalla Decisione 2002/772/CE – sono contrarie ai Trattati in vigore e non sono proporzionate agli obiettivi fissati nei Trattati, nella misura in cui consentono allo stato nazionale, che, ai sensi dell’art. 223 TFUE, non può esercitare autonomamente il potere legislativo in materia, ma deve partecipare al procedimento complesso previsto dalla norma, sia nel caso di legge elettorale uniforme che di principi comuni . I principi comuni non sono più tali se ogni Stato è libero di fissare sia la soglia di accesso, che la sua consistenza con l’unico limite che non superi il 5% , perché si opera un discriminazione irragionevole tra i cittadini dell’UE non più compatibile con la natura del Parlamento europeo, che è cambiata con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona. Il Trattato di Lisbona ha, infatti, modificato il mandato ufficiale dei deputati al Parlamento europeo, che da “rappresentanti dei popoli degli Stati” (art. 189 del Trattato istitutivo della Comunità Europea), sono divenuti “rappresentanti dei cittadini dell’Unione” (art. 14 par. 2 del TUE) e ha sancito che “i cittadini sono direttamente rappresentati, a livello dell’Unione, nel Parlamento europeo” (art. 10, par. 2 TUE). Le regole dettate in tempi in cui i deputati erano rappresentanti dei popoli degli Stati, non possono valere, quindi, per deputati che sono diventati rappresentanti dei cittadini dell’Unione: gli Stati nazionali sono liberi di determinare come far rappresentare i loro rispettivi popoli, sia che si tratti di loro cittadini, che di cittadini di altri Stati membri della UE, purché li equipari, ma non di escludere irragionevolmente dalla rappresentanza cittadini della UE, che siano o meno anche loro cittadini. In caso di contrasto tra norme vale il principio di gerarchia delle fonti e le Decisioni del Consiglio sono fonti di rango inferiore ai Trattati. Le norme dei Trattati vanno, inoltre, interpretate alla luce dei principi ispiratori dell’Unione così come sanciti dal Preambolo e dall’art. 6 del TUE. Fra questi, assumono rilievo centrale le disposizioni del TITOLO VII – DISPOSIZIONI GENERALI CHE DISCIPLINANO L’INTERPRETAZIONE E L’APPLICAZIONE DELLA CARTA (artt. da 51 a 53 ) della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, che, proclamata ufficialmente a Nizza nel 2000 e adottata il 12 dicembre 2007 a Strasburgo, con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, il 1° dicembre 2009, ha acquisito lo stesso valore giuridico dei Trattati, in virtù dell’articolo 6, paragrafo 1, primo comma, del Trattato sull’Unione europea. Non si può dubitare, inoltre, che tra i principi fondanti dell’Unione vi sia quello dell’uguaglianza (cfr. i capoversi II, IV e VII del Preambolo al TUE in riferimento alla cittadinanza comune, cpv. X., e alla libertà di circolazione, cpv. XII, del richiamato preambolo). I principi ispiratori dei Trattati si sono tradotti in norme puntuali e precise del TUE quali: nel TITOLO I – DISPOSIZIONI COMUNI, gli artt. 2 (rilevante anche per il problema delle minoranze, che sarà trattato al PUNTO 12 del presente ricorso) e 3 par. 2 (libera circolazione dei cittadini) e par.3, comma 2 (parità uomo-donna, di cui al PUNTO 11.2.); nel TITOLO II – DISPOSIZIONI RELATIVE AI PRINCIPI DEMOCRATICI, gli artt. 9 (uguaglianza dei cittadini) e 10, parr. 1 (democrazia rappresentativa), 2 (rappresentanza diretta dei cittadini nel PE) e 3 (“Ogni cittadino ha il diritto di partecipare alla vita democratica dell’Unione”); nonché nella CARTA DEI DIRITTI FONDAMENTALI DELL’UE gli artt. 20 (uguaglianza), 23 (parità uomo-donna) e 39 (diritto di voto e di eleggibilità). Dopo il disastroso risultato della partecipazione elettorale nelle elezioni 2009, la Commissione Affari Costituzionali del PE nell’approvare una proposta di modifica delle normative comuni per l’elezione diretta del PE in data 2 febbraio 2012, nel considerando di cui alla lettera I, afferma che “l’affluenza complessiva alle elezioni del Parlamento è diminuita costantemente, passando dal 63% del 1979 al 43% del 2009, il che impone al Parlamento europeo, al Consiglio e alla Commissione di adottare misure al fine di promuovere la partecipazione popolare al processo democratico dell’Unione” (Seconda relazione PE 472.030v03-00 A7-0027/2012 http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=-//EP//TEXT+REPORT+A7-2012-0027+0+DOC+XML+V0//IT ). Quali sono gli effetti sui cittadini che hanno partecipato al processo elettorale nel 2009, votando per liste che non hanno ottenuto rappresentanza parlamentare per essere rimaste sotto soglia nazionale (pur avendola superata in una circoscrizione), che non hanno ricevuto alcun rimborso dei costi elettorali, ma che paradossalmente hanno contribuito con i loro elettori a finanziare i partiti concorrenti sopra soglia e che, per di più, non saranno esentati alla raccolta delle firme per la presentazione delle liste nelle elezioni del 2014? La domanda è retorica: tali cittadini molto probabilmente saranno demotivati nel partecipare, in quanto sarà impossibile, o comunque estremamente difficoltoso, che si presentino liste nelle quali questi elettori possano riconoscersi. Ai fini della effettiva uguaglianza dei cittadini nel diritto di scegliere ed eleggere i propri rappresentanti nel Parlamento europeo, indipendentemente dal luogo di residenza, è assurda e contradditoria, quindi – e non risponde al principio di proporzionalità, cui si deve attenere la normativa europea ai sensi dell’art. 5 TUE – non tanto l’esistenza di una soglia di accesso in sé, ma il fatto che sia facoltativa, variabile e nazionale. Ciò implica, infatti, che vengano discriminati i cittadini elettori che risiedono negli Stati più popolosi e che, in base al principio della proporzionalità degressiva (art. 14, par. 2 TUE), hanno un rapporto seggi abitanti di molto inferiore agli Stati minori. Soglie di accesso sono legittime se poste a livello dell’Unione per liste tra loro collegate e se sono della stessa entità, cioè in misura fissa percentuale e non variabile da 0 a 5%. Eventualmente, sarebbero ammissibili anche soglie che tengano conto dell’ambito circoscrizionale di presentazione delle liste, cioè in tutti i Paese dell’UE, ovvero soltanto in alcuni di essi. Altresì, le soglie di accesso, potrebbero essere teoricamente ammissibili se degressivamente proporzionali rispetto al rapporto seggi-abitanti. Sono correzioni a un principio che deroga all’uguaglianza del voto in assenza della necessità di contemperare rappresentanza e governabilità, e che, nella struttura attuale delle istituzioni comunitarie e dei loro reciproci rapporti, non ha alcuna ragione. La soglia nazionale contraddice il ruolo che i Trattati assegnano ai partiti europei (art. 10, par. 4 TUE e art. 12, par. 2 CARTA DIRITTI FONDAMENTALI) .

11.1 Esistono altre disposizioni, oltre alle norme sul finanziamento delle campagne elettorali, che alterano la concorrenza tra i soggetti politici già presenti nel Parlamento Europeo e i nuovi che volessero accedervi in base ad elezioni libere e democratiche. La prima è l’esenzione, per i primi, dalla raccolta di firme per la presentazione delle liste (ai sensi dell’art. 12, comma 4, Legge n. 18/1979), mentre i nuovi soggetti devono raccogliere non meno di 30.000 sottoscrizioni e non più di 35.000 in tutte le Regioni. I sottoscrittori devono risultare iscritti nelle liste elettorali di ogni Regione della Circoscrizione per almeno il 10% del minimo fissato al secondo comma, pena la nullità della lista.” (art. 12, comma 3 legge cit.). I soggetti già presenti in altre istituzioni e nel Parlamento uscente hanno un vantaggio non indifferente, oltre ad aver potuto usare le istituzioni, per farsi conoscere. Un partito già presente nelle istituzioni ha, inoltre, un’organizzazione nel territorio e soggetti autenticatori per le sottoscrizioni delle liste, ha ricevuto un rimborso per le spese sostenute per l’elezione, e il vantaggio di potere contare sul contributo degli eletti uscenti: è evidente, pertanto, il vantaggio di cui gode in partenza nella competizione. Esentarli, in più, dalle sottoscrizioni delle liste da loro un privilegio non giustificabile a danno di liste concorrenti meno conosciute. In Italia l’art. 49 Cost. non ha avuto attuazione: in una legge sui partiti politici potrebbero trovare spazio eventuali norme di favore, perché si tratta di soggetti registrati che sono stati sottoposti ad una procedura per il riconoscimento dello status di partito politico. La violazione dei principi della sentenza 23 aprile 1986 in causa 294/1983, Parti Ecologiste-Les Verts vs. Parlament Européen sussiste come anche la violazione degli artt., 3 e 51 Cost. Con la riduzione dei soggetti competitori, è minacciata anche la libertà di voto garantita dall’art. 48, comma 2 Cost.

11.2 La normativa impugnata viola, inoltre, il combinato di cui agli artt. 3 e 51 Cost. sul principio delle pari opportunità, poiché non prevede per le future elezioni alcuna misura di riequilibrio di genere nella rappresentanza politica. La giurisprudenza amministrativa ha già evidenziato in molte pronunce che la “previsione costituzionale di cui al novellato art. 51, comma 1 Cost.” ha “valenza precettiva (e quindi sia di immediata applicabilità) e non meramente programmatica (cfr. TAR Puglia – Bari – 18.12.2012 n. 2200; TAR Puglia, Lecce, Sez. I, 24 febbraio 2010, n. 622; TAR Campania, Napoli, Sez. I, 7 giugno 2010, n. 12668; TAR Sicilia, Palermo, Sez. I, 15 dicembre 2010, n. 14310; TAR Campania, Napoli, Sez. I, 10 marzo 2011, n. 1427; TAR Sardegna, Cagliari, Sez. II, 2 agosto 2011, n. 864; TAR Calabria, Reggio Calabria, 26 ottobre 2011, n. 750; TAR Puglia, Bari, Sez. I, 11 gennaio 2012, n. 79; TAR Puglia, Bari, Sez. I, 17 gennaio 2012, n. 191). Fra queste menzioniamo:”attesa la trasversalità del principio, ciascun soggetto che compone la Repubblica, dovrà darvi attuazione in considerazione degli strumenti normativi di cui dispone ed entro i limiti di competenza per materia ad esso riconosciuti.” (TAR Campania, Napoli, Sez. I, 7 giugno 2010 n. 12668).

In dispregio della vincolatività del principio in oggetto, si riscontra nella disciplina elettorale europea in Italia, l’assenza di ogni meccanismo permanente di riequilibrio di genere, sia per quanto riguarda la composizione delle liste che nell’espressione delle preferenze.

Quanto al primo profilo, La legge n. 90/2004 aveva previsto all’art. 3 (Pari opportunità) una misura di riequilibrio fra le candidature avente, però, carattere provvisorio. Si legge al 1°comma:“Nell’insieme delle liste circoscrizionali aventi un medesimo contrassegno, nelle prime due elezioni dei membri del Parlamento europeo spettanti all’Italia, successive alla data di entrata in vigore della presente legge, nessuno dei due sessi può essere rappresentato in misura superiore ai due terzi dei candidati; ai fini del computo sono escluse le candidature plurime; in caso di quoziente frazionario si procede all’arrotondamento all’unità prossima”. Esaurita la vincolatività temporale della misura di cui all’art. 3, Legge n. 90/2004, ma non la discriminazione fra i generi nell’accesso alle cariche elettive pubbliche, ed essendo intervenuto già dal 2003, un principio costituzionale specificamente vincolante e a carattere permanente (art. 51 Cost. modificato ex L. cost. n. 1/2003), si impone la previsione di una nuova norma che garantisca la parità di accesso fra i generi anche alle candidature per il Parlamento europeo, e questa volta con carattere di stabilità.

Quanto al secondo profilo, il Giudice delle Leggi, con sentenza n. 4/2010, ha già affrontato il problema della legittimità della “preferenza di genere” e lo ha risolto positivamente, a proposito della legge elettorale campana, Legge n. 4/2009, dichiarando la summenzionate disposizioni, “in quanto volte a ottenere un riequilibrio della rappresentanza politica dei due sessi all’interno del Consiglio regionale, in linea con l’art. 51, primo comma, Cost., nel testo novellato dalla legge costituzionale 30 maggio 2003, n. 1 (Modifica dell’articolo 51 della Costituzione), e con l’art. 117, 7° comma, Cost., nel testo modificato dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione)”. A giudizio della Corte la “nuova regola elettorale”, non attribuendo ad alcuna candidatura maggiori opportunità di successo rispetto ad altre, “ma solo una eguaglianza di opportunità particolarmente rafforzata da una norma che promuove il riequilibrio di genere nella rappresentanza consiliare”, si pone in sintonia con i princìpi dell’ordinamento “complessivamente ispirato al principio fondamentale dell’effettiva parità tra i due sessi nella rappresentanza politica, nazionale e regionale, nello spirito dell’art. 3, secondo comma, Cost., che impone alla Repubblica la rimozione di tutti gli ostacoli che di fatto impediscono una piena partecipazione di tutti i cittadini all’organizzazione politica del Paese”. Né “la condizione di genere cui l’elettore viene assoggettato, nell’ipotesi che decida di avvalersi della facoltà di esprimere una seconda preferenza” – sempre a giudizio della Corte – potrebbe essere considerata lesiva della libertà di voto, tutelata dall’art. 48 Cost., trattandosi di “una misura promozionale, ma non coattiva”. “Si tratta di una facoltà aggiuntiva, che allarga lo spettro delle possibili scelte elettorali – limitato ad una preferenza in quasi tutte le leggi elettorali regionali – “e quindi tutt’al più idonea ad ampliare la sfera della libertà individuale, ad arricchire il contenuto del diritto politico per eccellenza. La c.d. “doppia preferenza di genere”, invero, è stata anche adottata anche dalla legge n. 215/2012 per le elezioni comunali e provinciali. La stessa legge prevede un rapporto fra i sessi di un terzo due terzi nella composizione delle liste.

Risulta inoltre palesemente violata la Convenzione sull’eliminazione di tutte le forme di discriminazione contro le donne (CEDAW), adottata dall’Assemblea Generale dell’Onu il 18 dicembre 1979, che l’Italia ha ratificato il 10 giugno 1985, mentre il Protocollo opzionale è stato sottoscritto il 29 ottobre 2002. L’art. 7 recita: “Gli Stati Parti prendono ogni misura appropriata per eliminare la discriminazione contro la donna nella vita politica e pubblica del paese e, in particolare, assicurano alle donne, in condizioni pari agli uomini, il diritto di: a) votare in tutte le elezioni e referendum pubblici e di essere eleggibili in tutti gli organismi cui si accede mediante elezione pubblica; b) partecipare all’elaborazione delle politiche di governo ed alla loro attuazione e altresì di ricoprire cariche pubbliche e di esercitare tutte le funzioni pubbliche ad ogni livello dell’amministrazione statale; c) partecipare ad organizzazioni non governative ed associazioni che si occupano della vita pubblica e politica del paese. La violazione dell’art 10 Cost. e quindi dell’art. 117,c.1 della nostra Carta è palese.

La violazione della parità tra uomo e la mancata previsione di norme per favorire il genere più svantaggiato costituisce, con l’entrata in vigore il 1 dicembre 2009 del Trattato di Lisbona e l’equiparazione della Carta dei diritti fondamentali UE ai Trattati violazione di norme europee comunitarie e quindi violazione anche dell’art.117 c.1 Cost.:gli artt. 2, 3 par.3, c. 2 e 8 TUE e 23, c. 1 e 2 CDFUE non lasciano dubbi e se ci fossero sarebbero chiariti da una questione pregiudiziale alla Corte di Giustizia della UE.

12. La legge elettorale europea n. 18/1979 e s.m.i. presenta problemi di costituzionalità in relazione alle norme speciali e derogatorie previste per alcune minoranze linguistiche e precisamente la francese della Val d’Aosta, la tedesca della Provincia di Bolzano e la slovena del Friuli Venezia Giulia (artt. 12, comma 8, 21, comma 1 nn. 1) e 3), e 22 comma 2 e 3 L. n. 18/1979, come modificata dalla legge 10/2009). Ci sono tre ordini di problemi: A) Il trattamento differenziato rispetto alle norme elettorali per l’elezione della Camera dei Deputati; B) il trattamento differenziato delle minoranze linguistiche francese, tedesca e slovena rispetto alle altre minoranze riconosciute con la legge n. 482/1999 di tutela delle minoranze linguistiche storiche; C) il trattamento in favore delle minoranze linguistiche rispetto alle minoranze politiche. Si trascrivono le norme di favore:

Art. 12 C.c. 8 e 9 L. 18/1979 «8. Ciascuna delle liste di candidati eventualmente presentate da partiti o gruppi politici espressi dalla minoranza di lingua francese della Valle d’Aosta, di lingua tedesca della provincia di Bolzano e di lingua slovena del Friuli-Venezia Giulia può collegarsi, agli effetti dell’assegnazione dei seggi prevista dai successivi articoli 21 e 22, con altra lista della stessa circoscrizione presentata da partito o gruppo politico presente in tutte le circoscrizioni con lo stesso contrassegno. 9. A tale scopo, nella dichiarazione di presentazione della lista deve essere indicata la lista con la quale si intende effettuare il collegamento. Le dichiarazioni di collegamento fra le liste debbono essere reciproche.»

Art. 22 C.c. 2 e 3 L. 18/1979 «2. Quando in una circoscrizione sia costituito un gruppo di liste con le modalità’ indicate nell’articolo 12, ai fini della assegnazione dei seggi alle singole liste che compongono il gruppo l’ufficio elettorale circoscrizionale provvede a disporre in un’unica graduatoria, secondo le rispettive cifre individuali, i candidati delle liste collegate. Proclama quindi eletti, nei limiti dei posti ai quali il gruppo di liste ha diritto, i candidati che hanno ottenuto le cifre individuali più elevate. 3. Qualora nessuno dei candidati della lista di minoranza linguistica collegata sia compreso nella graduatoria dei posti ai quali il gruppo di liste ha diritto, l’ultimo posto spetta a quel candidato di minoranza linguistica che abbia ottenuto la maggiore cifra individuale, purché non inferiore a 50.000.».

Soltanto le liste espressione delle minoranze linguistiche specificate possono partecipare alle elezioni in coalizione con altre liste, con l’unico limite che si tratti di una lista presente in tutte le circoscrizioni. Questa possibilità consente soltanto a queste liste di potersi sottrarre alla soglia di accesso del 4% su scala nazionale. Si pone una questione di disparità di trattamento, vietata dal combinato disposto degli artt. 2 e 3 Cost. e, trattandosi di elezioni, anche dell’art. 51 Cost., in quanto un candidato in una lista espressione di minoranza linguistica, tedesca o slovena partecipa alle elezioni in una condizioni di maggior favore. Sia ben chiaro che i ricorrenti, in quanto contrari alle soglie di accesso per le elezioni europee, non si dolgono che certe facoltà siano concesse alle minoranze linguistiche, ma che si limitino ad esse. La possibilità di coalizione deve poter essere sempre riconosciuta anche in altri casi: per esempio l’appartenenza allo stesso partito a livelli europeo, come è il caso di PdL-Forza Italia e UCD, membri del PPE, o di PSI e SEL rispetto al PSE. Con recente Raccomandazione del 12 marzo 2013 la Commissione Europea ha invitato gli Stati Membri ad introdurre nelle legge elettorale per il Parlamento Europeo l’indicazione, nel logo o simbolo delle liste concorrenti, il riferimento al Partito di appartenenza a livello europeo. Nello stesso senso si è espresso il Parlamento Europeo con Risoluzione del 12 giugno 2013. La deroga alla soglia del 4% nazionale può essere accordata a formazioni che si presentino in una sola circoscrizione, in quanto espressione di un determinato territorio, i cui problemi vogliono portare all’attenzione del Parlamento Europeo. L’obbligo di coalizione solo con lista presente in tutte le circoscrizioni viola la libertà di voto ex art. 48 Cost. ed è conseguenza della irragionevolezza di stabilire soglie di accesso nazionale, pur in presenza di situazioni riferite a singole circoscrizioni, come è il caso della minoranza francese della Val d’Aosta nella circoscrizione europea I (Nord Ovest) e della minoranze tedesca e slovena nella circoscrizione europea II (Nord-Est). Il trattamento di favore del comma 3 dell’art. 22 legge cit. rappresenta un unicum, che può essere giustificato come discriminazione positiva, altrimenti una minoranza per definizione non potrebbe accedere a determinate cariche pubbliche, ma non è ammissibile con norma di legge ordinaria, dal momento che è vietato dall’art. 3, 1° comma Cost., a meno che non sia estesa anche a formazioni che per ragioni politiche difendono interessi di livello circoscrizionale. Nei Paesi dove vi è una tale riserva per le minoranze linguistiche, ad esempio Slovenia, sono norme di rango costituzionale. La questione può essere sollevata come impugnazione ex art. 130 C.p.a, dal candidato con quoziente superiore che debba cedere il posto al candidato espressione di una lista di minoranza linguistica. Problema di carattere generale è, invece, la differenza di regolamentazione con il TU per l’Elezione Camera dei Deputati – il DPR 361/1957 e s.m.i., art.83, comma, 1 n. 3) – che prevede « 3) individua quindi:

le coalizioni di liste che abbiano conseguito sul piano nazionale almeno il 10 % dei voti validi espressi e che contengano almeno una lista collegata che abbia conseguito sul piano nazionale almeno il 2 % dei voti validi espressi ovvero una lista collegata rappresentativa di minoranze linguistiche riconosciute, presentata esclusivamente in una delle circoscrizioni comprese in regioni il cui lo statuto speciale prevede una particolare tutela di tali minoranze linguistiche, che abbia conseguito almeno il 20 % dei voti validi espressi nella circoscrizione;

le singole liste non collegate che abbiano conseguito sul piano nazionale almeno il 4 % dei voti validi espressi e le singole liste non collegate rappresentative di minoranze linguistiche riconosciute, presentate esclusivamente in una delle circoscrizioni comprese in regioni il cui statuto speciale prevede una particolare tutela di tali minoranze linguistiche, che abbiano conseguito almeno il 20 % dei voti validi espressi nella circoscrizione, nonché le liste delle coalizioni che non hanno superato la percentuale di cui alla lettera a) ma che abbiano conseguito sul piano nazionale almeno il 4 % dei voti validi espressi ovvero che siano rappresentative di minoranze linguistiche riconosciute, presentate esclusivamente in una delle circoscrizioni comprese in regioni il cui statuto speciale prevede una particolare tutela di tali minoranze linguistiche, che abbiano conseguito almeno il 20 % dei voti validi espressi nella circoscrizione».

In questo testo le minoranze linguistiche non sono nominate, ma ci si riferisce con certezza a minoranze linguistiche che si presentino esclusivamente in una delle circoscrizioni di regioni a statuto speciale prevedendo una particolare forma di tutela . La trasposizione di una norma analoga per via interpretativa, come il Consiglio di Stato ha fatto nella sentenza Gargani, non pare possibile, in quanto nelle elezioni europee le circoscrizioni sono pluriregionali e nessuna minoranza linguistica ha una lista rappresentativa che raggiunga il 20% in una circoscrizione europea. Dal punto di vista del rispetto degli artt. 3 e 51 Cost., nonché dell’art. 48 Cost., non è giustificato nella legge elettorale europea il trattamento più favorevole a tre sole minoranze linguistiche, anche in relazione al fatto che sicuramente due minoranze riconosciute e tutelate dalla Legge n. 482/1990 ed insediate in regioni a Statuto Speciale, la friulana e la sarda, hanno una consistenza di parlanti superiore alla minoranza germanofona: rispettivamente 650.000 ed un milione e mezzo di cittadini/e. Sono, inoltre, escluse minoranze consistenti, complessivamente superiori a quella francese e slovena, cioè gli Occitani in Piemonte e gli Albanesi in diverse regioni dell’Italia Meridionale, quali la Calabria, la Sicilia, la Basilicata e la Campania. Rispetto a queste minoranze la Legge. n. 18/1979 opera una discriminazione costituzionalmente illegittima e contraria ai Trattati e alla Carta dei diritti fondamentali della UE. Il mancato riconoscimento nella legge elettorale di altre minoranze linguistiche riconosciute e tutelate da legge dello Stato e da convenzioni internazionali sottoscritte (La Carta europea delle lingue regionali o minoritarie conclusa a Strasburgo il 5 novembre 1992) e anche ratificate (Convenzione-quadro per la protezione delle minoranze nazionali fatta a Strasburgo il 1° febbraio 1995, ratificata con L. 28 agosto 1997, n. 302 in Gazzetta Ufficiale n. 215 S.O. del 15 settembre 1997 ) dall’Italia, oltre che integrare una grave discriminazione in violazione dell’art. 3 Cost., limita gravemente la libertà di voto e la possibilità di candidarsi per gli appartenenti alle minoranze linguistiche diverse da quelle slovena, francese e tedesca, in palese violazione degli artt. 48 e 51 Cost. Per una conoscenza dello stato di tutela delle lingue minoritarie si rinvia al documento di cui al link: http://www.interno.gov.it/mininterno/export/sites/default/it/assets/files/16/0022_III_Rapporto_protezione_minoranze.pdf. Il divieto di discriminare gli appartenenti alle minoranze è norma del diritto europeo (art. 2 TUE e delle norme sull’uguaglianza dei cittadini dei Trattati e della Carta dei Diritti Fondamentali UE più volte citate) e, quindi, viola tale diritto, nonché l’art. 117, c. 1 Cost., vincolante anche per la legislazione nazionale che nell’elezione del Parlamento europeo ha, comunque un obbligo di cooperazione (art. 4, par. 3 TUE). Non bisogna, inoltre, dimentire che le norme comuni per l’elezione del Parlamento europeo (art. 223 TFUE) prevedono la doppia conformità: alle norme comunitarie per gli atti degli organi/istituzioni della UE (Consiglio e Parlamento europeo) e alle norme costituzionali dei singoli Stati membri per la normativa nazionale.

13.1 Infine, è contestata la violazione dell’art. 117, 1° comma della Costituzione sotto l’ulteriore profilo dell’invocato diritto di ciascun cittadino ad esprimere liberamente e compiutamente il proprio voto, nonché del divieto di limitare questo diritto, che trovano tutela anche nell’articolo 3 del Protocollo n. 1 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali. Nel fissare la portata e l’interpretazione di questo articolo, la Corte di Strasburgo ha avuto occasione (sentenza Yumak, del 30 gennaio 2007, paragrafo 65 e ss.) di ribadire la portata di quei principi che, negli Stati democratici, devono presiedere alla normativa che disciplina l’esercizio del voto popolare, statuendo “che le limitazioni non riducano i diritti di cui si tratta al punto di disattenderli nella loro sostanza stessa e di privarli della loro effettività, che perseguano uno scopo legittimo e che i mezzi utilizzati non si rivelino sproporzionati” (C.E.D.U. Mathieu-Mohin e Clerfayt c. Belgio, sentenza del 2 marzo 1987, § 52, serie A n. 113). In particolare, nessuna delle condizioni previste all’occorrenza deve ostacolare la libera espressione del popolo sulla scelta del corpo legislativo – altrimenti detto, esse devono riflettere, o non contrastare, lo scopo di mantenere l’integrità e l’effettività di una procedura elettorale mirante a determinare la volontà del popolo a mezzo del suffragio universale (Hilbe c. Liechtenstein (dec.) n. 31981/96, CEDU 1999-VI, e Melhitchenko c. Ucraina, n. 17702/02, paragrafo 56, CEDU 2004-X).” In altri termini, ogni deroga al principio del libero esercizio del voto popolare deve conciliarsi con i principi sottesi dall’articolo 3 del Protocollo n. 1., a quelli relativi all’incidenza della C.E.D.U. nel nostro Ordinamento e a quelli sanciti nelle c.d. “sentenze gemelle” della Corte Costituzionale – sentt. nn. 348 e 349 del 2007, che la Corte di Strasburgo richiama – con le quali la Consulta ha statuito che il mancato rispetto dei principi generali nascenti dai trattati internazionali in generale, e dalla CEDU in particolare, costituisce violazione del primo comma dell’art. 117 della Costituzione. In forza del combinato disposto degli artt. 6, par. 1, comma 1 e 3, par. 2 e par. 3 TUE, e degli artt. 51-53 del TITOLO VII CDFUE le disposizioni della Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali sono parametro d’interpretazione ed applicazione delle norme comunitarie, a loro volta vincolanti per il legislatore nazionale ex art. 117, comma 1 Cost.

13.2. Rilevanza e necessità delle questioni pregiudiziali ex art. 267 TFUE (ex articolo 234 del TCE) Articolazione della questione pregiudiziale alla Corte di Giustizia della UE.

“La Corte di giustizia dell’Unione europea è competente a pronunciarsi, in via pregiudiziale: a) sull’interpretazione dei trattati (omissis)”( art. 267 TFUE)

ll Tribunale non è solo un giudice nazionale ma è, anche e soprattutto, un giudice comunitario, nel senso che, ai fini della applicazione della normativa e dei principi del diritto applicabili in un giudizio, deve far riferimento non solo alle norme interne, ma anche ai principi del Trattato, delle norme comunitarie, delle sentenze della Corte di Giustizia.

Il principio della c.d. “Sovranità dello Stato” è stato sostituito dal diverso principio “sovranità dell’unione europea”, anche a scapito della sovranità dei singoli Stati che ne fanno parte, nell’ottica di un ordinamento comune a tutti cittadini, in un progetto di armonizzazione delle varie legislazioni nazionali ad un unico ordinamento comune a tutti gli Stati dell’Unione Europea.

Nel contrasto tra la normativa nazionale e la normativa comunitaria il giudice adito deve riconoscere prevalenza a quest’ultima, anche disapplicando, eventualmente, il diritto nazionale, ove non sia possibile una interpretazione comunitariamente orientata della normativa interna, interpretazione che deve sempre essere preferita rispetto alla disapplicazione della normativa statale.

Quindi, in via prioritaria, il giudice adito deve disapplicare la normativa confliggente con principi del diritto europeo consentendo la immediata trasposizione del diritto comunitario nel diritto interno, in base ai principi ormai consolidati della preminenza del primo sul secondo, sanciti anche dall’art. 10 della Costituzione che stabilisce espressamente che “l’ordinamento giuridico italiano si conforma alle norme del diritto internazionale generalmente riconosciuto”.

Il giudice italiano e la stessa P.A., in sede di autotutela, hanno il dovere-potere di disapplicare le norme interne contrarie all’ordinamento comunitario.

Il giudice nazionale deve interpretare e applicare il diritto comunitario, e solo in caso di dubbio sulla reale portata di una norma comunitaria può chiedere chiarimenti, in ordine all’interpretazione della stessa, alla Corte di Giustizia. Ecco perché il rinvio pregiudiziale davanti alla Corte di Giustizia costituisce il principale strumento di cooperazione giudiziaria tra giudice comunitario e giudici nazionali, assicurando un’interpretazione e una applicazione uniforme del diritto comunitario in tutti i Paesi membri, prevedendo la facoltà per il giudice nazionale (e l’obbligo, a determinate condizioni, per la Corte di Cassazione, quale giudice di ultima istanza, e per il Consiglio di Stato) di richiedere alla Corte di Giustizia una pronuncia relativa alla corretta interpretazione e alla portata di una o più norme del diritto comunitario, chiedendo anche alla Corte di Giustizia se la corretta applicazione di una norma comunitaria precluda o meno l’applicazione di una norma nazionale (c.d. rinvio pregiudiziale di interpretazione), nonché se un atto vincolante, adottato dalle istituzioni comunitarie o dalla BCE, sia valido ed efficace (c.d. rinvio pregiudiziale di validità).

Compito della Corte di Giustizia è, in sede di rinvio pregiudiziale, definire il contenuto e la portata delle disposizioni comunitarie.

Il Tribunale, la Corte d’Appello, quali organi giurisdizionali ordinari, il TAR e il Consiglio di Stato, quali giudici amministrativi, oltre, ovviamente, alla Corte di Cassazione quale giudice di legittimità, e anche la stessa Corte Costituzionale, quale organo di natura giurisdizionale, sono legittimati ad effettuare il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia al fine di ottenere una pronuncia sull’interpretazione o sulla validità di una norma comunitaria quando tale pronuncia sia necessaria per risolvere la controversia di cui risultino investite. La questione da sottoporre alla Corte di Giustizia può essere sollecitata dalle parti o rilevata d’ufficio dal Tribunale. Il giudice nazionale deve specificare, nella motivazione dell’ordinanza di rinvio pregiudiziale, perché l’interpretazione richiesta è ritenuta necessaria ai fini della decisione della causa.

Il rinvio pregiudiziale può avere lo scopo di verificare, con riferimento al diritto comunitario, la legittimità di una legge nazionale, di un atto amministrativo o una prassi amministrativa. Qualora un cittadino, come nel caso del presente ricorso, ritenga di subire un pregiudizio per effetto dell’applicazione di una norma o di una prassi nazionale, assunta come incompatibile con il diritto comunitario, questi ha il diritto di chiedere al Tribunale ove pende il giudizio di merito di chiedere l’accertamento di una violazione da parte del diritto nazionale, o di chiedere una lettura della norma comunitaria dalla quale potrà eventualmente dedursi una incompatibilità di una norma nazionale. Nel caso di specie vi è anche il problema della compatibilità di norme comunitarie, la Decisione 2002/772/CE nella parte in cui introduce con l’art.1 comma 1 n.3) l’art. 2 bis (ora 3 nella versione consolidata) nella Decisione 76/787/CECA, CEE, Euratom, che ammette la possibilità di introdurre soglie di acceso fino ad un massimo del 5% nazionale con la successiva entrata in vigore del Trattato di Lisbona e della Carta dei Diritti Fondamentali della UE (PUNTO 10.1 e 10.2).

Nel prosieguo del ricorso sono ben chiari gli elementi di diritto sui quali si fonda la richiesta di rinvio pregiudiziale ai sensi dell’art. 267 TFUE alla Corte di Giustizia dell’UE.

Infatti, come più ampiamente è stato illustrato nei PUNTI precedenti, in particolare i PUNTI 9 (rimborsi elettorali discriminatori), 10.1 e 10.28 (soglia di accesso sotto vari profili), 11.1 (esenzione dalla raccolta firme),11.2 (parità di genere) e 12 (minoranze linguistiche e politiche), la Legge n. 18/1979 sulla elezione dei membri spettanti all’Italia nel Parlamento Europeo, così come modificata dalla legge 10/2009, ha introdotto norme che violano non solo la Carta Costituzionale Italiana, ma anche, ed in maniera profonda e radicale, i Trattati TFUE e TUE, nonché la sentenza 23 aprile 1986 in causa 294/1983 Parti Ecologiste-Les Verts vs. Parlament Européen nella parte in cui comprimono e alterano l’efficacia del diritto di voto dei cittadini ricorrenti.

13.2.1 Sulla necessità di chiedere l’applicazione del procedimento pregiudiziale accelerato ai sensi dell’art. 104 bis del regolamento di procedura della Corte di giustizia europea.

L’art. 104 bis del Regolamento di procedura della Corte di Giustizia europea statuisce che “Su domanda del giudice nazionale, il presidente, su proposta del giudice relatore, sentito l’avvocato generale, può decidere in via eccezionale di trattare una domanda pregiudiziale secondo un procedimento accelerato che deroga alle disposizioni del presente regolamento qualora le circostanze invocate comprovino l’urgenza straordinaria di statuire sulla questione proposta in via pregiudiziale (…)”.

L’applicabilità della disciplina prevista dal citato articolo è stata riconosciuta dalla stessa Corte di Giustizia europea con nota del 05.12.2009 n° C-297/01. La nota in oggetto si sofferma fra l’altro sul procedimento pregiudiziale d’urgenza (PPU), previsto dall’articolo 23 bis del Protocollo n. 3 sullo Statuto della Corte di Giustizia dell’UE, e disciplinato dall’art. 104 ter del Regolamento di procedura della Corte, il quale è applicabile esclusivamente nei settori di cui al titolo V della parte terza del TFUE (e dunque ai rinvii pregiudiziali relativi allo spazio di libertà, sicurezza e giustizia). In aggiunta al PPU, v’è sempre la possibilità per il giudice nazionale di richiedere l’applicazione del procedimento accelerato alle condizioni previste dall’articolo 23 bis dello Statuto della Corte e dall’art. 104 bis del Regolamento di procedura. (Fonte (Altalex, 15 dicembre 2009, con

Nota di Danilo Desiderio).

Non vi è dubbio che per la delicatezza degli argomenti trattati e per l’avvicinarsi della scadenza del 25 maggio 2014, data fissata per l’elezione del nuovo Parlamento europeo, la richiesta di applicazione del procedimento accelerato trova la sua ragion d’essere nella circostanza che, se i ricorrenti andassero a votare con l’attuale disciplina legislativa, vedrebbero gravemente limitati nel loro diritto di voto, che non sarebbe né libero né conforme alla propria volontà.

14. È appena il caso di ricordare che la Corte Costituzionale con le citate sentenze n. 348 e 349 del 2007 ha imposto ai Giudici nazionali di proporre (anche d’ufficio) il giudizio di costituzionalità incidentale per violazione del primo comma dell’art. 117 della Costituzione, tutte le volte in cui la violazione di uno dei diritti fondamentali riconosciuti dalla Costituzione e dalla CEDU, dedotta in giudizio, appaia rilevante ai fini della decisione del merito e non manifestamente infondata. Come si vede nel nostro ordinamento giuridico oggi finalmente esiste, per merito della stessa Corte Costituzionale, il “diritto al ricorso effettivo” previsto sia dal novellato articolo 111 della Costituzione (in tempi ragionevoli) e sia dall’art. 13 della CEDU. Si è trattato di un notevole balzo in avanti per la civiltà giuridica, che va adeguatamente utilizzato.

15. Poiché l’oggetto della causa non coinvolge alcuna questione di fatto, ma concerne una questione di puro diritto, i ricorrenti ritengono che non occorra disporre mezzi istruttori ulteriori, se non di una decisione in ordine al rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia della UE, e/o la proposizione di questione incidentale di costituzionalità. Di conseguenza i ricorrenti non chiedono l’ammissione di nessun mezzo probatorio.

16. Sulla base di tutti i suesposti motivi, i ricorrenti confidano nell’accoglimento delle conclusioni con il presente atto formulate.

Si dichiara che, ai sensi del combinato disposto dell’art. 10 (esenzioni) del D.P.R. 30 maggio 2002 n. 115 e dell’art. 1 dell’allegato B (atti, documenti e registri esenti dall’imposta di bollo in modo assoluto) del D.P.R. 26 ottobre 1972 n. 642, il presente giudizio, promosso a tutela dell’esercizio dei diritti elettorali, non è soggetto al contributo unificato.

Roma, lì __________________

on. avv. Felice C. Besostri

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avv. Giuseppe U. Sarno

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avv. Anna Falcone

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avv. Francesca la Forgia

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