Fino a che punto può spingersi l’azione giudiziaria nel libero esercizio di un parlamentare e quali sono i limiti di chi esercita l’attività parlamentare per non sfociare in un illecito penale? Questo l’argomento del quale si è discusso ieri a Santa Maria Capua Vetere, presso la facoltà di Giurisprudenza della Sun, Università della Campania-Vanvitelli, con il consigliere parlamentare Giampiero Buonomo; il giudice del tribunale di Napoli (già giudice a Santa Maria), Antonio Baldassarre; il direttore del dipartimento prof. Luigi Chieffi e il prof. Andrea Patroni Griffi che ha coordinato l’incontro nell’ambito del Corso di Diritto Pubblico e Costituzionale. Un focus giuridico per parlare di «Libero mandato e compravendita di parlamentari: garanzie e patologia delle immunità». Lo spunto è stata la sentenza di condanna a 3 anni emessa nel 2015 a carico dellex premier Silvio Berlusconi e il faccendiere Valter Lavitola, comminata dal collegio del tribunale di Napoli di cui il giudice Baldassarre è stato componente ed estensore.
È stato proprio il magistrato ad offrire alla platea di studenti alcuni temi stabiliti dalla «storica» sentenza, i cui reati come spiegato dallo stesso relatore sono andati prescritti qualche mese dopo la decisione di primo grado e che attende ancora quella d’Appello che li dichiarerà in ogni caso prescritti. Un verdetto, quello della I sezione del tribunale di Napoli (presidente Corleto) che, pur accogliendo la verifica dibattimentale chiesta dalla Procura la quale aveva puntato sul cosiddetto «cambio di casacca» – ha condannato gli imputati in questione non perché sono venuti meno allarticolo 67 della Costituzione (libero mandato e portatore dellinteresse dalla nazione, secondo la propria visione), ma perché in quella dazione di danaro tra un senatore e un leader politico non è stata rilevata «una forma di espressione politica, ma la configurazione di una corruzione per un voto non libero, ma condizionato».
Nella fattispecie, il corrotto nella persona dell’ex senatore Sergio De Gregorio dellItalia dei Valori (di Antonio Di Pietro), il quale durante il Governo Prodi aveva scelto di fare quello che gli veniva detto in cambio del denaro di Berlusconi: inchiesta nata dal ritrovamento di alcuni assegni in casa di De Gregorio (anche riferiti ad ambienti usurai), il quale ha poi ha iniziato a rendere dichiarazioni accusatorie.
È stato incentrato sull«autodichìa», ovvero la prerogativa degli organi costituzionali di risolvere controversie interne attraverso propri organi costituzionali senza tribunali esterni, lintervento di Giuseppe Buonomo (autore di Scudo di Carta) che ha storicizzato largomento con riferimenti alla House of Commons del 1600. Caso diverso invece l’archiviazione (avanzata due volte dalla Procura di Roma e accolta dal gup) per Domenico Scilipoti (difeso dagli avvocati Nando Trasacco e Antonio Pulcini) il quale fu denunciato da Di Pietro, pur non passando mai da Idv a Fi e votando contro la mozione di sfiducia dell’allora Governo Prodi.
Fonte: Il Mattino – Caserta