di Felice Besostri |

Il Movimento Roosevelt organizzando questo convegno ha scelto 3 personaggi la cui fine tragica ha interrotto la loro vita ma non i percorsi   di rinnovamento politico e sociale, di cui sono stati iniziatori e protagonisti. Con la loro morte sono stati, però, ritardati e comunque non hanno potuto esprimere tutte le loro potenzialità. Ringraziando per l’onore che mi è stato fatto d’invitarmi come relatore testimone su Olof Palme, mi permetto di suggerire per un prossimo convegno i nomi di Giacomo Matteotti, Antonio Gramsci e Salvador Allende. Sono tutti esempi del valore della testimonianza, non per un singolo atto eroico, ma per un impegno personale e politico di tutta una vita, senza mai perdere il senso della missione di cui erano esponenti e protagonisti, ma senza mai l’arroganza e la superbia dei leader contemporanei prodotti e gonfiati dai media e senza aver mai esercitato un potere assoluto e senza limiti o aver incentivato o tollerato alcuna forma di culto della personalità, anche quando erano Capi di Stato, come Allende, o di Governo, come Palme.

Olof Palme era nato nel 1927 ed è morto assassinato, mandanti e killer rimasti sconosciuti, il 28 febbraio 1986 a Stoccolma all’età di 59 anni, quando era Primo Ministero rinominato nel 1982 dopo esserlo stato dal 1969 al 1976. La sua origine sociale, da una famiglia della grande borghesia con radici in Svezia, Finlandia e Lettonia e i suoi studi, scuola superiore per élite e accademia militare, non lasciavano certo presagire il suo impegno successivo nella socialdemocrazia per la giustizia sociale, il disarmo e lo sviluppo del Terzo Mondo.

Ne parlo per metterlo a confronto con un altro personaggio della socialdemocrazia, l’ex Cancelliere federale tedesco Gerhard Schröder (Cancelliere dal 1998 al 2005, 7 anni come il primo mandato di Palme), nato nel 1944, figlio di un padre lavoratore precario e senza fissa dimora prima del matrimonio e morto in guerra senza averlo mai conosciuto e di una madre donna delle pulizie, che, per mantenere i figli, doveva ricorrere ai servizi sociali: un vero proletario.  Studente serale e lavoratore dall’età di 15 anni si maturò a 22 anni. Soltanto a questo punto il suo percorso di formazione assomigliò a quello di Olof Palme con gli studi universitari di diritto e la carriera politica come deputato e Presidente del suo Land, la Bassa Sassonia, deputato federale e Kanzler (Primo ministro). Ora al termine della sua carriera vive da grande borghese grazie ai ben remunerati incarichi internazionali. La scelta del proprio destino è frutto della propria personalità e sensibilità non meccanicamente delle proprie origini sociali. In Olof Palme un ruolo decisivo fu giocato da una borsa di studio di una Fondazione svedese-americana, che gli consentì di studiare negli Stati Uniti e di visitare nei weekend fabbriche e di relazionarsi con sindacalisti. Alla fine intraprese un viaggio attraverso 34 degli stati nord-americani e questa esperienza statunitense, secondo una sua elaborazione posteriore, fu alla base della sua opposizione all’ingiustizia sociale.

Un viaggio che come quello di Ernesto Guevara in America Latina motivò per sempre le sue scelte future. Di ritorno in patria si iscrisse all’Università di Stoccolma, Facoltà di Giurisprudenza, e all’Associazione degli Studenti Socialdemocratici. Alla fine degli studi diventò il Segretario di Tage Erlander, il mitico Presidente del SAP (Sveriges socialdemokratiska Arbetareparti), il Partito dei Lavoratori Socialdemocratici Svedesi, e Primo Ministro dal 1946 al 1969. Alle elezioni del 1968, le ultime prima dell’introduzione del monocameralismo, la socialdemocrazia vinse con la maggioranza assoluta, mentre toccò a Palme perdere le elezioni del 1976 con il 42,7% il peggior risultato dalle elezioni del 1932, pur rimando e lo sono tuttora il primo partito svedese dal 1917. Nessun altro partito socialista può vantare un tale primato, non sufficiente a risparmiarle in diverso destino con la perdita dell’egemonia.  La prima sconfitta socialdemocratica svedese del 1976, con un percentuale superiore al 40%, rappresenterebbe ora un miraggio per la stragrande maggioranza dei partiti del PSE e dei partiti di sinistra nel loro complesso in Europa. Un piccolo paese neutrale ha giocato un ruolo internazionale importante contro la guerra nel Vietnam, per il disarmo e la distensione Est-Ovest, la liberazione delle colonie portoghesi in Africa, la fine dei regimi dittatoriali in Europa (Spagna, Portogallo e Grecia) e contro l’Apartheid in Sud Africa.

Quest’ultima battaglia era tanto vigorosa, che quando nell’attentato terrorista all’areo della Pan Am di Lockerbie 31 dicembre 1988 trovò la morte il già Segretario Generale dell’Internazionale Socialista, il mio fraterno compagno e amico. Bernt Carlsson, socialdemocratico svedese, che mi fece conoscere Palme, i primi sospetti si appuntarono sul BOSS (Bureau for State Security) il servizio segreto sudafricano, mentre fu opera del colonnello Gheddafi.

Palme è rappresentativo dei problemi del socialismo democratico e della sinistra, anche in un paese che ne costituiva una roccaforte, per non essere stato in grado di risolvere le crescenti contraddizioni tra il perseguimento della tradizionale politica socialdemocratica di perseguimento dell’eguaglianza di fronte ai problemi economici provocati dalla crisi petrolifera del 1973 e alle sempre maggiori difficoltà di realizzare le riforme sociali e di rispondere alle esigenze sindacali di dare corpo al piano Meidner  con la creazione del Fondo azionario per i lavoratori, che avrebbe portato al controllo della produzione industriale svedese senza esproprio. Sempre la crisi petrolifera motivò la decisa scelta di Palme per l’energia atomica. Era convinto che fosse una tecnica amica dell’ambiente e che avrebbe facilitato una più alta crescita e una società egalitaria. La scelta divise il Partito e portò in gioco con una politica di protezione dell’ambiente alla fondazione del movimento politico Verde. Ne seguì un cambiamento del sistema politico svedese dopo l’elezione vinta da Palme nel 1985, dove per l’ultima volta si confrontarono ancora 5 partiti 3 borghesi e due di sinistra il SAP e il Vänsterpartiet, VP (Partito della Sinistra) erede del Partito Comunista Svedese, un partito che ruppe con il sistema sovietico per primo in Euroa. Nel 1988 i partiti rappresentati in Parlamento salirono a 6 con l’entrata dei Verdi con 20 seggi, mentre i Democristiani rimasero fuori non avendo superato la soglia del 4%.

A partire dal 1991 i partiti salirono a 7 con l’entrata dei Democristiani e di Ny Democrati (Nuova Democrazia), un partito liberista, nazionalista e populista e l’uscita dei Verdi. Dal 1994 al 2006 i Verdi rientrarono in Parlamento e insieme a SAP e VP formarono maggioranze rosso-verdi, quando non vincevano i 4 partiti borghesi, rimando sotto soglia i Democrati Svedesi (Sverigedemokraterna-SD) pur in costante crescita (2,93% nel 2006).  Con l’irruzione di Democratici Svedesi nel 2010 con il 5,70% e 20 seggi si altera una volta di più il sistema politico svedese mettendo fine al tradizionale bipolarismo tra Sinistra e Blocco borghese con l’ottavo partito nazionalista e xenofobo.  Il nuovo assetto è stato confermato e rafforzato nel 2014 con SD al 12,9% e 49 seggi e nel 2018 al 17,5% e   62 seggi.  In Scandinavia fenomeni analoghi si sono verificati in Danimarca e Norvegia con il Partito del Progresso (non fate caso al nome!) e i Veri Finlandesi in Finlandia. L’Italia dal 2013 non è quindi un’eccezione. I nuovi partiti nazionalisti e xenofobi non sono soltanto una minaccia per la sinistra, ma anche per la democrazia in quanto la loro crescita, è il caso della Svezia, sottrae consenso al centro-destra democratico.

Se il voto di destra e centrodestra si salda con i movimenti estremisti non ci sono prospettive di vittoria elettorale per la sinistra in quasi tutti i paesi europei. E gli spazi si riducono ulteriormente, quando i partiti socialisti aderiscono alle politiche di austerità e di smantellamento del welfare, e passa il messaggio dei populisti che le leggi sociali possono essere conservate, ma solo per i cittadini, non per gli stranieri. Ha indebolito la socialdemocrazia, anche, la perdita di un impegno internazionale paragonabile a quello sviluppato negli anni ‘70 e ’80 con persone come Palme, Brandt, Gonzalez, Soares o Mitterrand, tutti personaggi che ho potuto conoscere da vicino come dirigente della IUSY, l’Internazionale della Gioventù Socialista. Ora soltanto un socialista come Antonio Guterres, ex Primo ministro portoghese, nono segretario delle Nazioni Unite, e in precedenza Alto Commissario per i Rifugiati, è presente sulla scena internazionale dopo essere stato Presidente dell’Internazionale Socialista dal 1999 al 2005. Ho intitolato questo intervento Palme e il destino del socialismo europeo, che è in grave difficoltà dopo una serie di sconfitte elettorali, che in paesi come la Francia e l’Olanda, hanno condannato i loro partiti all’irrilevanza o li hanno ridimensionati in Germania e in Paesi già loro bastioni, come la Danimarca e la Norvegia.

Vorrei ricordare, di passaggio, come la sinistra italiana, nella sua grande maggioranza, sia rimasta indifferente alla strage di Utøya del 22 luglio 2011. In quell’isola norvegese un suprematista bianco massacrò 77 giovani socialisti: vi immaginate l’emozione/indignazione se un colono israeliano avesse massacrati 77 palestinesi della stessa età o un terrorista islamico 77 boyscout cattolici. Nei paesi dell’Europa Centrale e Orientale il problema è quello di partiti in parte eredi dei partiti comunisti al potere, passati dal comunismo al liberismo e al capitalismo senza controlli senza nemmeno una pausa socialdemocratica. Dovessi scegliere una definizione più precisa per questo destino, parlerei di eclisse del socialismo democratico piuttosto che di tramonto. Nell’iconografia socialista degli inizi del secolo scorso il sole dell’avvenire è un sole che sorge e forse si incominciano a vedere i primi raggi o luci dell’alba con le vittorie nelle elezioni più recenti dei partiti socialisti di Finlandia e Spagna sconfiggendo la destra vecchia e nuova.

Una rinascita socialista è necessaria per la sinistra nel suo complesso, perché le perdite socialiste, con la sola eccezione della Grecia, sono andate alla loro sinistra in misura ridotta. Le prossime europee saranno un banco di prova: la sinistra dovrà impedire che la dialettica politica in Europa si riduca alla sterile contrapposizione tra europeisti generici e sovranisti populisti. Nei Trattati europei piena occupazione e progresso sociale da un lato e stabilità dei prezzi e un’economia fortemente competitiva dall’altro sono obiettivi fondamentali sullo stesso piano: ma sono i rapporti di forza politici che determinano gli obiettivi privilegiati e quelli dimenticati e/o trascurati Questo la sinistra deve capire anche se senza compagni come Palme alla guida sarà molto, ma molto più difficile.

Milano, 3 maggio 2019 Museo del Risorgimento. Convegni del Movimento Roosevelt Rosselli-Palme-Sankara.