«”It’s the economy, stupid”: vecchio slogan di una campagna USA (la prima di Clinton contro Bush padre, se non ricordo male), attualissimo ancora oggi.

Il 40% ottenuto da Renzi ieri (al tradizionale voto democrat si è aggiunta una consistente dose di voto “anti-sfascista”) non cambia di una virgola la situazione economica. Il debito pubblico rimane di 2000 miliardi di Euro, nessuno sa come tagliare una spesa pubblica intorno agli 800 miliardi – anche e soprattutto per le insufficienti informazioni fornite dal sistema di contabilità nazionale; il patto di stabilità e i trattati che limitano gli spazi di manovra dei governi nazionali sono ancora in forza, e lo stesso vale per il patto di stabilità interna.

Negli ultimi mesi non si è vista una sola idea seria in tema di politiche industriali. I rilancio dell’economia di quello che fu uno dei paesi più avanzati dell’Occidente sarebbe affidato all’edilizia scolastica, ai piani contro il dissesto idrogeologico, alla valorizzazione del patrimonio culturale. E, soprattutto, a “riforme di struttura” di sapore innegabilmente liberista.
Tuttavia secondo le stesse stime del governo, come scritto negli allegati al DEF, le tanto decantate misure volte a eliminare le rigidità del mercato del lavoro non avranno alcun effetto sull’occupazione. Nei prossimi anni il tasso di disoccupazione è destinato a salire sino al 12.8% , per poi scendere, nel 2016, al 12.2%: lo stesso valore del 2013. Una discesa miracolosa si avrebbe nel 2017 (11.6%) e nel 2018 (11%), ma sull’affidabilità di previsioni a cinque anni avrei seri dubbi. Lascio a voi il compito di ricordare quanto il tasso di disoccupazione riferito all’intero Paese debba essere moltiplicato per ottenere il tasso di disoccupazione giovanile, o quello nel Mezzogiorno. Possiamo immaginare che questa sia una situazione politicamente stabile e sostenibile? A mio parere, no.

In compenso Renzi oggi si è scoperto rooseveltiano, ed ha evocato i vari piani di rilancio dell’economia europea, basati su investimenti, in genere sulle reti infrastrutturali, per qualche centinaio di miliardi. Il suo è un piano da 150 miliardi.
Purtroppo non si è posto il problema del perchè piani simili (Hollande ne propose uno da 120 miliardi appena eletto; la DGB tedesca ha lanciato niente meno che un “Piano Marshall per l’Europa” da 200 miliardi, e l’ICE “New Deal for Europe” immagina un piano da 350-400 miliardi) non sono andati oltre la fase della mera enunciazione.
La realtà è che la soluzione della crisi è possibile solo in Europa, ma in un’Europa molto diversa da quella che abbiamo davanti oggi. Avremmo bisogno di uno stato autenticamente federale, mentre l’Unione ha una costituzione materiale farraginosa, che rallenta qualunque processo decisionale e rende assai probabili risultati del tipo “troppo poco, troppo tardi”.
Aggiungerei poi due considerazioni.
Innanzitutto, il programma elettorale del PPE non gradisce per nulla soluzioni simili – e infatti non le cita per nulla, anzi, respinge l’idea che la crescita possa avvenire con programmi di spesa pubblica, ma si affida al potere salvifico delle “riforme strutturali” per aumentare la competitività dei diversi paesi dell’Unione.
In secondo luogo, con un Parlamento fortemente influenzato da forze euroscettiche, populiste e neo-fascistoidi, è facile prevedere che la paralisi dell’Unione sarà ancora più grave del solito.

Tutto questo significa che non ci sarà alcuna inversione del ciclo economico indotta da significativi cambiamenti delle politiche dell’Unione, ma in compenso le politiche superficiali e rispondenti ai soliti cliché adottate dal nostro governo nazionale lasceranno il tempo che trovano.

Dal mio punto di vista, se non scongiuriamo il realizzarsi di questo scenario con proposte radicali in tema di politiche fiscali, il problema che avremo entro pochi anni non sarà quello della ricostruzione di una rappresentanza politica degna di questo nome per la sinistra socialista, ma quello della tenuta del tessuto sociale e del sistema democratico di questo Paese.
Auguri a tutti…

Pierpaolo Pecchiari

P.S. siccome bisogna essere propositivi:

  1. riforma del sistema di contabilità nazionale, passaggio a un ordinamento federale, spartizione delle imposte al 50% tra Stato centrale e Regioni e ribaltamento sulle stesse del debito pubblico, in ragione della loro capacità di contribuire alla formazione del PIL del Paese
  2. riforma del sistema previdenziale/assistenziale e soprattutto del sistema di ammortizzatori sociali, con l’introduzione di misure di sostegno al reddito degne dei paesi civili (il RMG ci sarebbe già imposto dall’Unione, purtroppo le richieste dell’Europa sono valutate in modo diverso a seconda dei casi…
  3. legge antiriciclaggio come strumento essenziale – anche se non esclusivo – per stroncare in un colpo solo evasione/elusione/sommerso/nero, mafie e corruzione. Non posiamo andare avanti con il triste primato del paese più corrotto d’Europa (corruzione in Europa 120 miliardi anno, di cui 60 in Italia) e con un 20% della nostra economia tra nero e sommerso, per non parlare della presa della criminalità organizzata su intere regioni del Paese, anche nel Nord
  4. definizione di programmi di investimento caratterizzati da un effetto moltiplicatore elevato, e sforamento dei limiti imposti dai trattati – la procedura d’infrazione per deficit eccessivo prevede il pagamento, dopo due anni, di una multa il cui massimale è fissato allo 0.5 del PIL,  basta fare due conti per capire che il problema non è contabile (si tratterebbe di una multa pari a circa 8 miliardi di Euro, vale a dire l’1% della spesa pubblica) ma politico.