L’INTERVISTA

Felice Besostri L’avvocato costituzionalista contesta gli argomenti usati per “blindare ” il testo

Secondo “le norme e le prassi regolamentari” la presidente della Camera non poteva impedire al governo di porre la fiducia sulla legge elettorale. Così Laura Boldrini, dalle colonne del nostro giornale, ha voluto fugare ogni dubbio “sulla terzietà con la quale, anche in questo passaggio, ho esercitato la mia funzione”. Un richiamo strettamente tecnico alla consuetudine parlamentare e alla Costituzione che tuttavia non convince l’avvocato costituzionalista Felice Besostri, noto per aver presentato i ricorsi alla Consulta che hanno condotto all’abrogazione parziale del Porcellum e dell’Italicum: “Premetto che non voglio nemmeno adombrare che la presidente della Camera non abbia agito in buona fede: sarebbe troppo inquietante pensare il contrario di una delle quattro cariche di garanzia costituzionale”.

Del resto, anche se avesse voluto impedire il voto di fiducia, i pareri degli uffici della Camera non lasciano dubbi.

Capisco che venuta meno la prassi di nominare alla presidenza di una Camera parlamentari di lungo corso, con pratica di presidenza come vice, Boldrini non può che prendere per oro colato i suggerimenti degli uffici per i quali la prassi è Vangelo, tuttavia ci sono momenti in cui la sensibilità politica, istituzionale e soprattutto costituzionale della materia impone di verificare fino in fondo la prassi.

Una prassi che però è con-solidata.

Dice? In effetti l’unico precedente che giustifica la presidente è quello da lei stessa creato ammettendo tre voti di fiducia sull’Italicum nel 2015.

Dimentica un precedente illustre nella storia repubblicana: al Senato, nella domenica delle Palme dell’8 marzo 1953 e porta la firma di Alcide De Gasperi.

È vero, e non a caso gli uffici della Boldrini non ne fanno menzione, per tre buone ragioni; si capisce l’imbarazzo nel richiamarsi a una norma passata alla storia come “legge truffa”, ma c’è di più: il presidente della seduta di allora, Giuseppe Paratore, fece mettere a verbale, fatto inusitato, “Questo non rappresenta un precedente”. Inoltre quel “non precedente” non andava evocato dalla presidente Boldrini soprattutto perché Paratore, non avendo gradito l’imposizione del presidente del Consiglio – che si chiamava De Gasperi non Paolo Gentiloni – si dimise il 24 marzo successivo, 16 giorni dopo. Ma era un uomo di 77 anni e non agli esordi di una carriera politica.

Le argomentazioni della presidente di Montecitorio non si fermano alle consuetudini: per Boldrini anche la fiducia rientra nella “procedura normale” di approvazione imposta dall’articolo 72 della Costituzione per i disegni di legge in materia elettorale.

Al contrario: che non rientri nella normalità lo ha già detto la presidente Nilde Iotti nel 1980. Il famoso “lodo Iotti” prescrive che se viene posta la fiducia su una legge si esce dalla procedura normale e si entra in una speciale: del resto se fosse normale, argomenta la Iotti, quella cosa lì doveva stare nella parte seconda del regolamento della Camera dedicata al “Procedimento legislativo”, quindi al come si approvano le leggi e non nella parte terza dal titolo “Procedure di indirizzo, di controllo e di informazione”.

Lo stesso regolamento della Camera, osserva ancora Boldrini, definisce dettagliatamente le materie sulle quali la questione di fiducia non può essere posta e le leggi elettorali non sono menzionate.

Nell’elenco non si menzionano neanche le leggi costituzionali: la presidente abbia il coraggio di sostenere che si può approvare una riforma costituzionale con un voto di fiducia.

Luciano Cerasa

Fonte: Il Fatto quotidiano