IL RETROSCENA

ROMA. Al Quirinale tutto tace. Ma chi ha avuto modo di parlare negli ultimi giorni con Sergio Mattarella, assicura che il capo dello Stato non è preoccupato per le minacce di Articolo 1-Mdp. Il capo dello Stato, in trasferta ieri a Malta, è convinto che alla fine il premier Paolo Gentiloni e il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan troveranno un modo per raggiungere un’intesa con il partito di Pierluigi Bersani. Obiettivo: garantire in Senato la maggioranza assoluta (161 voti) necessaria per far passare il Documento di economia e Finanza.

Quella di Mattarella non è una sottovalutazione del problema. Il Presidente segue con «grande attenzione» ciò che accade a sinistra del Pd e nella maggioranza di governo. Ed è convinto che a conti fatti Articolo 1-Mdp, grazie anche alla contrarietà di Giuliano Pisapia, non abbia alcun interesse ad aprire la crisi di governo. Tanto più che la crescita superiore alle previsioni del Pil regala un tesoretto da 5 miliardi che palazzo Chigi e l’Economia vogliono investire nella lotta alla disoccupazione giovanile e in misure di «chiara impronta sociale». Temi cari, appunto, a Mdp.

L’ottimismo lascia il posto al disincanto quando Mattarella affronta il dossier-legge elettorale. E’ ormai evidente che è caduto nel vuoto l’appello al Parlamento lanciato il 26 aprile scorso affinché approvasse «in tempi rapidi» le nuove regole per il voto. Matteo Renzi, nonostante il pressing di Ap, Forza Italia e di mezzo partito (Orlando e Franceschini si sono incontrati ieri confermando l’orientamento a dare battaglia per introdurre il premio di coalizione), non ha intenzione di fare la riforma senza i Cinquestelle. E i Cinquestelle, dopo aver affossato in giugno l’intesa sul sistema tedesco, escludono di tornare al tavolo della trattativa. «E comunque prima dimostrino di essere seri approvando la riforma dei vitalizi», dice Danilo Toninelli.

Così è da escludere, vista la situazione, che Mattarella lanci nuovi appelli. Ed è probabile che il capo dello Stato non si metta di traverso se, una volta approvata entro il 31 dicembre la legge di bilancio, Renzi chiederà a gennaio lo scioglimento del Parlamento. Per il Colle votare a marzo o a fine aprile non è dirimente, tanto più se la maggioranza si dimostrerà incapace di varare nuove leggi come lo ius soli e il testamento bilogico. Molto più importante, invece, sarebbe per il Colle garantire una fine della legislatura ordinata e prospettive di governabilità per il dopo elezioni. Traduzione: il varo della legge elettorale.

I capigruppo della Camera hanno deciso proprio ieri di portare il tema in Aula il 30 settembre. Ma a condizione che sia concluso in Commissione l’esame del testo di riforma: ipotesi da escludere visto che ormai tutti, a cominciare da Renzi, prima di qualsiasi mossa hanno deciso di aspettare le elezioni siciliane del 5 novembre: il voto atteso da Orlando e Franceschini per andare, in caso di sconfitta del Pd in terra sicula, all’assalto della premiership del segretario.

C’è infine da annotare l’intenzione di un pool di giuristi guidati da Besostri di ricorrere alla Consulta per abbassare la soglia (8%) del Senato e per togliere anche lì le coalizioni. Non è da escludere che la Corte intervenga di nuovo in assenza di una riforma votata dal Parlamento.

Alberto Gentili

Fonte: Il Messaggero del 14 settembre 2017