Tra il 21 dicembre 2015 e il 23 giugno 2016 ci son sei mesi nei quali la sinistra spagnola non ha fatto passi avanti per presentarsi come alternativa al PP. PSOE-Podemos e IU avevano i numeri per costituire un governo di minoranza, se riuscivano ad assicurarsi un’astensione dei partiti regionalisti ed indipendentisti: non ci hanno neppure provato Podemos inchiodato dall’indipendestimo catalanista e il PSOE prigioniero del ricordo di un’egemonia perduta.
Partiamo da dati concreti, anche se senza conoscere il sistema elettorale spagnolo e la Costituzione del 1978, possono trarre in inganno. I seggi sono assegnati alle circoscrizioni provinciali nelle Comunità Autonome, grosso modo corrispondenti alle nostre Regioni, con la stessa distinzione nostra tra ordinarie e speciali: Catalogna, Paese Basco, Galizia, Navarra, Paese Valenciano e Andalusia hanno un’identità più forte e poteri e competenze più estesi della media delle altre Comunità, in alcuni casi con fondamento in privilegi o fueros risalenti ai regni, principati o ducati, in cui era divisa la Spagna.

Le circoscrizioni con più di 10 deputati sono appena 7 e di queste solo 2 , Barcellona e Madrid, con più di 30. Ne risultano delle diseguaglianze che colpiscono i partiti nazionali, cioè che raccolgono voti in tutto il paese e avvantaggiono oltre misura quelli con impianto regionale o addirittura provinciale. La volta scosa nel diembre 20117 Podemos con la sua scelta di presentarsi con alleanze differenziate in Galizia, Catalogna e Paese Valenziano ha profittato al massimo del sistema elettorale. Nelle tre Comunità autonome ha raccolto complessivamente 2.170.807 voti cioè il 7,99% del totale con 27 seggi, pari al 7,63% dei 350 seggi in palio. Unidad Popular-IU con 926.783 voti e il 3,68% appena 2 seggi pari allo 0,57%. Presentandosi insieme ci sarà un aumento sicuro di una ventina di seggi a parità di voti. In spagna le due Camere dei deputi e Senato hanno un rapporto numerico più equilibrato che nella deforma costituzionale, da sconfessare in ottobre, di 350 a 208, ma ancora più squilibrato geograficamente in quanto ogni Provincia ha 4 senatori a parte le isole Baleari e Canarie, Ceuta e Melilla, che ne hanno da 1 a 3.

Senza l’approvazione del Senato di norma i 3/5 dei componenti non può esserci revisione costituzionale. In casi particolari basta la maggioranza assoluta del Senato e i 2/3 della Camera, ma soggetta referendum a richiesta di un decimo di ciascuna Camera. In caso di revisione totale o parziale che riguardi i diritti fondamentali o la forma di Stato prima dell’approvazione finale occorrono elezioni generali e una maggioranza dei due terzi e un referendum se richiesto da un decimo dei componenti di ciascuna Camera. Questa digressione è fondamentale per capire che l’indipendenza della Catalogna è impossibile alla luce dell’art. 2 della Costituzione, che fa parte del Titolo Preliminare che richiede una procedura aggravata di modifica costituzionale, che non avrà la maggioranza qualificata dei 3/5 o 2/3 del Senato né con i risultati del 2015, né con i prossimi: bastano i voti del PP, 124 su 208 per ora, per bloccarla, anche se i socialisti cambiassero idea.

La sinistra, IU-Psoe-Podemos (nelle 4 articolazioni) ha ottenuto il 20 dicembre 2015 11.684.936 voti, un rispettabile 46,34% corrispondente a 161 seggi su 350, il 46%: la maggioranza assoluta è di 176 seggi. A parità di voti senza la dispersione dei voti di Izquierda Unita la somma dei seggi potrebbe aumentare e teoricamente avvinicinarsi alla maggioranza assoluta, dipende da quanti seggi in più Unidos Podemos conquista non a spese del PSOE. Nelle precedenti elezioni elezioni il PSOE con il 22,00% dei voti ottenne il 25,71% dei seggi, con il metodo spagnolo di riparto dei seggi il guadagno del PP era stato ancora maggiore perchè con un 28, 71% dei voti ottenne 123 mandati, cioè il 35,71% dei seggi. Se la sinistra avesse avuto un’intesa programmatica come nel Fronte Popolare del 1936 in Francia o, più recentemente con il Programma comune della sinistra del 1972, che diede i suoi frutti soltanto con l’elezione a Presidente di Mitterrand nel 1981, si sarebbe potuto pronosticare una vittoria. Invece per mancanza di intesa si son dovute rifare le elezioni mantenedo al governo Mariano Rajoy e il PP e con una campagna elettorale polemica a sinistra compresi i colpi bassi di dipingere Sanchez come un razzista, quasi che la posta in gioco principale non fosse la fine di un partito corrotto fin nel midollo ed esecutore delle politiche anti-popolari dettate dal pensiero unico neo-liberista, ma piuttosto chi dovesse avere l’egemonia a sinistra, vale a dire se ci fosse o no il sorpasso, termine italiano del linguaggio politico spagnolo, cioè Podemos con più voti e seggi del PSOE.

Un obiettivo mancato di poco in voti nel 2015 con Podemos a 5.212.836 voti contro i 5.545. 315 del PSOE, ma distante in seggi con 69 vs 90. Con l’alleanza con IU, che però potrebbe tenere lontani gli alleati regionalisti di Galizia e del Paese Valenciano, il sorpasso degli elettori è assicurato con una base di partenza di 6.142.816 voti e quello in seggi possibile recuperando quella ventina di seggi marginali persi nelle circoscrizioni piccole e medie. Tuttavia i sondaggi danno il PP in aumento e Ciudadanos stabile vale a dire la stessa situazione che ha impedito la formazione di un governo con le elezioni precedenti. Se il referendum per l’indipendenza della Catalogna resta un punto essenziale del programma di Podemos non c’è maggioranza col PSOE. Se si aggiunge la prassi politica che in caso di coalizioni la presidenza del Consiglio spetta al partito di maggioranza, cioè a Podemos, se Sanchez accettase sarebbe meso in minoranza nel PSOE e in caso di stallo si rafforzerrebbero i baroni andalusi, sostenitori di un’intesa larga con PP e Ciudadanos. Finora solo IU si era resa conto del pericolo, ma per salvare la sua forza e ritornare sopra i 10 seggi deve adattarsi alla strategia di Podemos, che solo in quest’ultima fase ha cercato di fare marcia indietro.

Nella situazione in cui si trova la sinistra in Italia, dentro o fuori dal PD che sia, possiamo fare solo i grilli parlanti o le mosche cocchiere. Non possiamo dare consigli ma constatare che se a sinistra i partiti socialisti perdono voti , questi neppure vadano tutti alla loro sinistra, ma solo in parte, spesso in minima parte, come la Francia e la Germania insegnano, non c’è alternativa. Certamente sul Titanic quelli di terza classe stavano peggio di quelli di seconda per non parlare della prima, ma quando è andato a sbattere contro l’iceberg la sorte è stata la stessa sia per chi stava in sala macchine e chi pasteggiava a caviale e champagne, ascoltando dal vivo un’orchestrina. In una sconfitta essere il primo partito non significa altro che essere il maggior responsabile, ma soprattutto ha un senso tenere come parametro il successo come partito e non mettere avanti gli interessi della maggioranza della popolazione, che si pretende, in astratto di rappresentare? La risposta è negativa ieri in Francia, oggi in Spagna e domani in Italia. Se non abbiamo le risposte cominciamo a porci almeno le domande.

Dove è il luogo fisico o dello spirito in cui la sinistra italiana ed europea elabori una sua risposta agli scenari posti dalla Brexit in Gran Bretagna, al fallimento del PS di Holland in Francia, alla vittoria del M5S in Italia e a una mancata vittoria della sinistra in Spagna pur numericamente possibile? In un momento SPD, Verdi e Linke avevano la maggioranza del Bundestag, se ne uscì con una Grosse Koalition. Ora quella maggioranza puramente numerica non c’è più e i nuovi soggetti politici che si affacciano sulla scena tedesca come Alternative fuer Deutschland o Pegida sono caratterizzati a destra come il Front National in Francia, l’UKIP in Gran Bretagna, il Vlaamse Blok in Belgio: mi fermo qua.

Felice Besostri