di Franco Astengo, Felice Besostri |

Elezioni. Riprendere il dialogo Gramsci-Matteotti per misurarsi con le idee di uguaglianza, solidarietà, libertà messe alla prova dalle nuove contraddizioni sociali Siamo proprio sicuri che «a sinistra del Pd tutto tace», come di recente ha scritto sul manifesto Antonio Floridia, riprendendo editoriali e altri articoli di commento e analisi pre e post voto? In effetti il tema di fondo rimane quello della costruzione di una rappresentanza politica. Una rappresentanza da realizzarsi su due piani:

a) la ripresa di una “continuità storica” con le grandi organizzazioni del movimento operaio italiano, quelle socialiste e comuniste e la loro proiezione sindacale e cooperativa;

b) l’aggiornamento dell’elaborazione a partire dall’individuazione delle nuove fratture sociali come base indispensabile dal punto di vista analitico – progettuale per – appunto – ricostruire una soggettività e, con essa, la base materiale e politica di un’alternativa politica e sociale. Senza alcuna pretesa di esclusività, stiamo operando a diversi livelli attraverso iniziative di confronto e di aggregazione basate sui principi che hanno ispirato un documento di progetto denominato “Gramsci – Matteotti: linee di successione”. Il “Dialogo Gramsci /Matteotti” inizia dal riferimento della capacità di preveggenza che i due esponenti, l’uno del comunismo italiano, l’altro del socialismo riformista, seppero esercitare al loro tempo soprattutto nell’individuazione del pericolo del fascismo (si aprirebbe a questo punto il discorso sui difetti rappresentati dagli eccessi di ritardi o di anticipazione, ma non è questa la sede).

In realtà la nostra ricerca si basa, prima di tutto, sull’individuazione delle nuove contraddizioni sociali che hanno modificato il quadro di relazione storicamente esistente tra l’idea di uguaglianza, quella di solidarietà e quella di libertà nell’ideazione che appare quanto mai urgente di un socialismo del XXI secolo. Il tema è quindi quello del raccordo tra la migliore tradizione della sinistra storica (avendo presente peraltro tutte le difficoltà che ne hanno contrassegnato il cammino nel secolo alle nostre spalle), le nuove contraddizioni sociali, l’elaborazione di una progettualità rivolta ad affrontare la modernità nei suoi vari aspetti partendo dal dominio della tecnica e dell’economia sulla politica.

Senza dimenticare il contesto internazionale con le conseguenze del venir meno dei punti di riferimento storico-ideologici tradizionali dell’Urss. e delle democrazie popolari da un lato e delle grandi socialdemocrazie europee dall’altro. Sul piano della dinamica politica immediata il nostro intendimento rimane quello di considerare centrale il disegno di democrazia repubblicana contenuta nella Costituzione, le cui finalità di solidarietà effettiva e di eguaglianza sostanziale sono incompatibili con la massificazione individualistica dell’ordo-capitalismo. Gli aspetti che ci stanno particolarmente a cuore sono la centralità del Parlamento e la possibilità di espressione istituzionale per tutte le sensibilità politiche presenti nel Paese in adeguata dimensione, ristabilendo il diritto di voto eguale, libero e personale, rubato, in nome della governabilità da liste bloccate, premi di maggioranza, candidature multiple e coalizioni di potere.

La sentenza della Corte Costituzionale relativa al referendum sul maggioritario proposto da 8 Regioni per conto della Lega ci conforta nell’individuare la possibilità di continuare nella nostra iniziativa per la quale chiediamo a tutti i soggetti politici e culturali dell’area di sinistra l’apertura di un confronto nel merito senza pretese egemoniche di perpetuazione a priori di gruppi di potere. Il positivo risultato dell’Emilia-Romagna dimostra che non è tempo di rassegnazione, che la tendenza negativa può essere invertita, ma una regione in più, la Calabria, passa alla destra, come tutte quelli rinnovate nel 2018 e 2019 tranne il Lazio. I fattori di instabilità del nostro sistema politico e delle stesse istituzioni non sono contingenti, ma strutturali.

Il governo deve temere i contraccolpi sia delle sconfitte elettorali, sia dove ci ha messo la faccia, come in Umbria, sia dei successi, dove la gestione è stata regionale, se il prezzo è pagato, come in Emilia-Romagna dal M5S. Ogni confronto con il 2014, attesa l’irrisoria percentuale dei votanti pari ad 37,71%, è privo di senso, ma nel 2010 il Pd con 857.682 voti e il 40,65% era il partito egemone, dieci anni dopo con 749.027 voti, ne ha persi 108.586 in valori assoluti solo apparentemente più che compensati dai 124.402 voti ottenuti dalla lista di diretto sostegno alla candidatura Bonaccini, perché parliamo di una regione, che alle prime elezioni del 1970 con il 96,59 % di votanti Pci e Psi avevano il 52,05% e con lo Psiup il 55,88% e 1.459.005 voti.

La coalizione di centro-sinistra ha avuto 1.040.482 voti e il candidato presidente, il vero vincitore, 1.195.742. Il grande dissenso sull’autonomia differenziata giustifica che a sinistra Bonaccini non sia popolare, ma presentare 3 liste a sinistra del Pd per l’ 1,21% e raccogliere 26.165 voti è stato un errore politico che indebolisce il fronte contro l’autonomia differenziata: uno dei temi sui quali raccogliere l’ampio schieramento della sinistra costituzionale.