Nel giro di pochissimo tempo siamo passati dall’esigenza di conoscere, alla sera delle elezioni, chi governerà (porcellum, italikum) ad una legge (rosatellum), che non è in grado di far spere chi sia stato eletto, ed incertezze permarranno anche per la composizione delle Camere per la seduta di insediamento. Un’incertezza che nel caso del Senatore siciliano mancante non può essere risolta senza un intervento normativo. Alla prova pratica i difetti del Rosatellum sono maggiori di quelli previsti e temuti e sono diretta conseguenza delle incostituzionalità della nuova legge elettorale. Non si può dire con certezza se sono frutto del caso e dell’impreparazione tecnico-giuridica dei redattori del testo, ovvero che ci fosse un disegno di ingovernabilità formale, che potesse essere superato da intese post-voto, anche grazie a pressioni europee, le cui istituzioni sono rette d un asse PPE-PSE, tra i corrispondenti italiani di quei partiti europei, Forza Italia e PD.

Paradossalmente proprio l’ingovernabilità sarebbe stato il viatico di quell’alleanza tra i partiti di due coalizioni contrapposte. Le coalizioni del Rosatellum sono apparenti, costituite al solo fine di vampirizzare i piccoli partiti alleati per disincentivarli dal correre da soli ingannati dall’abbassamento della soglia di accesso al 3%, dando un contentino ai loro leader. Non è previsto un programma comune della Coalizione, né un capo unico della stessa. Il disegno è stato sconfitto dal voto segreto degli italiani, che ha confermato il destino delle leggi elettorali, concepite per avvantaggiare chi le approva, alla loro prima applicazione: così è avvenuto per il Mattarellum e per il Porcellum.
Nel 2008 il PD aveva 12.095.306 voti e Forza Italia 13.629.464, rappresentavano 25,7 milioni di elettori e il 70,6% del corpo elettorale. Nel 2018 PD 6.134.727 E FI 4.590.774, cioè 10, 7 milioni di elettori pari al 32,7%, secondo i calcoli di Federico Fornaro, un parlamentare di LeU.

Per il PD i risultati di Bersani del 2013, pretesto pe la vittoria di Renzi alle successive primarie, sarebbero stati un’immeritata benedizione. Più di 20 anni di pensiero maggioritario e un Parlamento composto dalle oligarchie, nel migliore dei casi, dominanti nei partiti in assenza di ogni selezione affidata agli elettori, ma alle liste bloccate sono l’impasse maggiore del dopo elezioni. La classe politica, senza distinzione di vincitori e perdenti, è incapace di fare i conti con la capacità di coalizione e di distinguere tra le scelte istituzionali e quelli di governo. La prima vittoria della destra portò alla Presidenza della Camera una certa Irene Pivetti, una scelta di compensazione politica interna alla coalizione vincitrice.

Il modello fu seguito con le presidenze Casini e Fini e purtroppo il modello è stato seguito dal Centro Sinistra con Bertinotti e Boldrini. La vituperata Prima Repubblica tarata da un sistema elettorale proporzionale fu invece capace di eleggere la presidenza della Camera prima un Pietro Ingrao e poi una Nilde Iotti. Sarebbe stato inconcepibile far approvare, dopo la traumatica esperienza della Legge Truffa nel 1953 e la reazione dell’allora Presidente del Senato Paratore, una legge elettorale con ripetuti voti di fiducia. Con Parlamenti di nominati di fatto è stato abrogato l’art. 67 Cost. con il divieto di mandato imperativo e i cui guasti si sono visti nell’iter di approvazione della de-forma costituzionale e delle leggi elettorali della XVII legislatura. La presidenza delle Camere non deve essere un surrogato della maggioranza di governo, che dovrà scaturire dalle consultazioni, quindi da presidenze in carica e dalla costituzione dei gruppi parlamentari. La decisione di sciogliere le Camere in caso di stallo non può essere riservata al solo Presidente della Repubblica. Altra questione, evitata di un soffio e a mio avviso molto opportunamente un vuoto nella composizione della Corte Costituzionale, che si sarebbe aggiunto alla vacanza di oltre due anni del giudice Frigo di nomina parlamentare impone che si provveda con urgenza.

Ci deve essere una Consulta a pieni ranghi per esaminare il Rosatellum e assumere le decisioni necessarie per superare le reticenze della Corte ad applicare i principi affermati nelle sentenze n. 1/2014 e 35/2017.
Non sarebbe tollerabile che un Parlamento eletto con legge incostituzionale restasse al suo posto per rifare un legge elettorale e che addirittura potesse por mano ad una revisione costituzionale, che sconfessi il voto popolare referendario del 4 dicembre 2016. E’ necessario individuare procedure più rapide di accesso alla Corte Costituzionale in modo che possa intervenire con un procedimento di convalida ancora in corso: la sola proclamazione non può più, proprio per l’esperienza di questi anni, essere il limite agli effetti di una pronuncia di incostituzionalità di una legge elettorale: una specie di premio ai suoi autori e sostenitori.
Il CDC e il gruppo egli avvocati antitalikum dovrebbero chiedere alle forze politiche di dimostrare che l’opposizione al Rosatellum non era di pura facciata, ma un impegno da perseguire anche contro apparenti vantaggi, come le liste bloccate. La scelta di impugnare con tutti i mezzi disponibili non è una scelta tecnicogiuridica ma politica che deve coinvolgere e comitati locali e i partiti politici, che hanno sostenuto i ricorsi contro l’Italikum.