di Felice Besostri |

INTRODUZIONE di Giorgio Galli

Gli scritti di questo libro di Besostri coprono un periodo — dal colpo di stato in Cile del settembre 1973 allo stallo contingente della costruzione europea dell’autunno 2003 — sufficientemente lungo per consentire una valutazione globale dei problemi affrontati c della capacità previsionale della scienza politica. Il giusto rilievo secondo cui la lezione cilena avrebbe dovuto essere posta “al centro del dibattito politico”, soprattutto dalla sinistra, è accompagnato, a un anno di distanza dal ’73, dalla valutazione che “questo non sia avvenuto”: un indice importante della tendenza della stessa sinistra a riflettere con ritardo sugli eventi, del che avremmo avuto non pochi esempi nei decenni successivi. Besostri, dal canto suo, individua alcuni nodi della vicenda, sul rapporto tra democrazia rappresentativa e rischi autoritari (se ne parlava molto nell’Italia di quegli anni), a partire da una constatazione e da una previsione: “In questo anno (1974, ndr) due regimi fascisti sono caduti in Portogallo e in Grecia e presto, molto presto, sarà la volta della Spagna”, constatazione e previsione accompagnate da una domanda (“ma, se per quanto abbiamo fatto vi è soddisfazione, può questa dirsi completa?”).

L’implicita risposta negativa è accompagnata da un’altra previsione, concernente il Cile e che si è puntualmente realizzata: “affidarsi a contrasti interni della borghesia cilena significa di fatto già precostituire un dopo-golpe che rimetta in gioco democristiani e conservatori”. E quanto è avvenuto: e lo si è potuto verificare proprio a trent’anni di distanza dall’11 settembre 1973. Quali problemi si pongono dunque alla sinistra, per usare le parole di Besostri del 1974, se la sinistra vuole pensare “alla costruzione del socialismo, o più modestamente di una società più giusta”?

Oggi la sinistra, dopo la crisi del Muro del 1989, non pensa più alla ‘costruzione del socialismo”; ma una “società più giusta” rimane all’ordine del giorno, di fronte al modello del turbo-capitalismo. Quali, dunque, i problemi? La parte della considerazione secondo cui “Allende non è caduto per le difficoltà economiche o per i suoi presunti errori, ma perché la logica dell’imperialismo Usa nell’America latina non poteva tollerare l’esperimento cileno”, ci aiuta a individuare, tra i problemi per la sinistra, due che sono cruciali. primo è che, nel paese a forte presenza della cultura cattolica, la prospettiva di una società più giusta “viene ridotta ai rapporti con la Dc e la gerarchia”, mentre in Cile “di fronte a una sostanziale e crescente unità di base sui luoghi di lavoro si registravano divaricazioni e contrasti fra i partiti componenti la coalizione di Unidad Popular.

Il secondo problema è il “ruolo dei servizi segreti, composizione sociale degli ufficiali delle forze armate, della polizia e dei carabinieri, grado di dipendenza della Nato e dagli Usa”. Sono due problemi che la sinistra dovrebbe affrontare anche nell’Italia di oggi? Il primo sembrerebbe superato: la Dc non esiste più, la gerarchia pare non pensare più al partito unico dei cattolici. Ma non è così. Il problema dei rapporti tra la sinistra e la cultura cattolica è tuttora attuale. Basti pensare ai recenti contrasti, anche nell’ambito del centro-sinistra, su problemi quali la fecondazione eterologa e l’impostazione della scuola. E mentre può essere vero che i rapporti “diplomatici” della sinistra con la gerarchia e il cattolicesimo organizzato devono essere accompagnaci da “crescente unità di base sui luoghi di lavoro” e, più in generale, nella società civile, non si può trascurare il fatto che, nell’Italia di oggi, le fratture e le polemiche tra Cgil e Cisl sono state, recentemente, un fattore che ha favorito le scelte politiche del governo di centro-destra. Per quanto riguarda il ruolo dei servizi segreti e il grado di dipendenza della Nato e dagli Usa, il problema è ancora attuale, nonostante la fine della guerra fredda.

Personalmente, neanche negli anni Settanta, non ho mai ritenuto che gli Usa potessero condizionare le scelte politiche dell’Italia così come è avvenuto in Cile (e come ormai comprovato attraverso la stessa documentazione della Cia e del Dipartimento di Stato). Pur tuttavia anche in Italia i servizi formano un vero e proprio “Stato nello Stato» (concetto che conto di aver chiarito in una storia della lotta armata in Italia che, col titolo “Piombo rosso”, sta per uscire con l’editrice Baldini, Castoldi e Dalai). La questione di fondo rimane comunque quella che Besostri poneva, già a metà 1976, sotto il titolo “La risposta socialista alle ingerenze Usa in Europa”, perché “una profonda trasformazione del nostro Paese quale risultato di una politica di alternativa non può essere separata dal contesto politico internazionale e specificamente da quello europeo”, soprattutto se si considerano “le dichiarazioni e le minacce di Kissinger sulle conseguenze di una vittoria delle sinistre in Italia, che si traduca in una partecipazione comunista al governo”, facendo pensare a una “nostra condizione di protettorato Usa, piuttosto che di alleato». Nondimeno “sarebbe irresponsabile da parte di una sinistra che si candida alla direzione del Paese credere che tutti i problemi consistano nelle interferenze internazionali nel corso di questa campagna elettorale (del 1976, ndr) e che sia sufficiente esorcizzarle riaffermando la nostra fedeltà alla Nato e alla nostra fede nell’integrazione europea”. Parole di estrema attualità, anche se la guerra fredda Usa-Urss è finita, anche se la Nato, come afferma Francesco Cossiga, è una semplice sopravvivenza: attualità perché in corso “la prima guerra del XXI secolo» (Bush, contro il terrorismo) mentre il centro-sinistra si divide nei voti parlamentari sulla presenza italiana in Iraq. Si è visto come Besostri usasse l’espressione “imperialismo Usa” nel 1974, a proposito del Cile e sull’Avanti; quotidiano del Psi, partito di governo.

Personalmente non userei quell’espressione neanche oggi, ma certamente gli Usa hanno costruito un impero, sinora la sola superpotenza del XXI (ho espresso la mia valutazione in proposito ne L’impero americano e la crisi della democrazia, Kaos edizioni, 2002). E’ questa la realtà da tener presente, da parte socialista avendo come punto di riferimento l’Europa come possibile soggetto politico. Besostri parlava anche di “politica di alternativa”, un’alternativa di sinistra ai permanenti governi delle Dc, che era allora la posizione della corrente del Psi facente capo a Riccardo Lombardi. Era la prospettiva che sostenevo nella rubrica settimanale su Panorama. Oggi il nostro sistema è bipolare, un leader ex comunista, D’Alema, è stato presidente del Consiglio, dimostrazione della pratica dell’alternativa. Ma il problema dei rapporti — dell’Italia e dell’Europa — con la superpotenza americana richiede tuttora un approfondimento.

Antiamericanismo è diventato uno dei termini più usati nel vocabolario politico italiano, sull’onda emotiva dell’11 settembre e da quando il subalterno allineamento alla politica estera (“protettorato”, aveva scritto l’Autore nel 1976) è oggi diventato il carattere distintivo, l’unico, della politica estera del governo di centro-destra. E le accuse di antiamericanismo alla sinistra si sommano talvolta a quella, grottesca, di antisemitismo, quando viene affrontata la questione dei rapporti tra Israele e i Palestinesi. Besostri scriveva nel 1976: “Sono solamente i fantasmi del ghetto di Varsavia, dei campi di concentramento, dei forni crematori, il senso di colpa del nostro latente antisemitismo alimentato da secoli di intolleranza cristiana, che spingono tanta parte della sinistra a rifiutare la negazione dello stato di Israele e a non associarsi alla condanna del sionismo come razzismo? La mia risposta a tutte queste domande è: No. A questo punto dovrebbe iniziare una discussione che, anche tra noi che abbiamo a cuore le sorti del socialismo, del progresso dell’umanità e del popolo palestinese non abbiamo mai fatto”. È vero ed è ancora così. Solo un approfondimento può chiarire anche la posizione sullo Stato di Israele (il termine “negazione” è poco chiaro: forse un richiamo a Martin Buber che voleva una Palestina di due popoli?) e sul sionismo.

La sinistra, ma non solo la sinistra, si trova di fronte a una questione di estrema difficoltà. In quello stesso 1976 Friedrich Dürrenmatt scriveva un Saggio su Israele, che iniziava così: ‘Uno come me arriva in Israele con un discorso finito: Con sgomento mi resi conto che il mio discorso né era finito né poteva esserlo. Proprio perché cercavo di dire qualcosa di fondamentale allo stato d’Israele e il mio discorso diventava sempre più vasto, non aveva più fine. E un rischio che si corre su questo tema; e basti pensare alle perplessità che suscitò, dopo 1’11 settembre, in Italia, il libro di Barbara Spinelli “Il sonno della memoria”. L’Europa dei totalitarismi. Mario Pirani ne scelse un brano; e lo commentò sulla Repubblica del 4.11.2001. La citazione: “Per milioni di uomini e non solo per i terrorismi Israele costituisce uno scandalo, per i sacrifici che la sua nascita impose, per il modo in cui la religione di Mosè abita il nostro pianeta … come se a un unico popolo fosse dato, per volontà divina, di vivere una condizione di libertà assoluta”.

Questo il commento: “Confesso di non aver capito fino in fondo che cosa abbia inteso Barbara Spinelli rivolgendo questo invito al mea culpa ebraico”. La scrittrice, come Pirani, è sempre stata una sostenitrice di Israele. Leggendo le ultime parole del libro (“Israele è un frammento d’Europa, incastonato tragicamente in terra di Palestina”) conclude così: “Chissà che (gli Ebrei) non trovino la via stretta che conduce a una sapienza storica capace di farci vivere accanto a un male costante, vicino, mortale, non irresistibile”. E una conclusione molto amara, preceduta da un “chissà”: una possibilità, ma anche un rischio. Se fosse su questo, su un problema del male costante, ma non irresistibile, sul retroterra etico della politica degli Stati Uniti e di Israele che, secondo l’auspicio di Besostri, la sinistra dovrebbe discutere come non ha mai fatto per evitare l’accusa infondata di essere anti-americana e antisemita, è evidente che ci troveremmo di fronte a termini di questioni che vanno oltre l’analisi politologica. Per quest’ultima — se non per una parte consistente degli scritti dell’Autore si tratta, più semplicemente di vedere quale ruolo possa assumere, nei rapporti con gli Stati Uniti e nel Medio Oriente, un’Europa che sia un soggetto politico; e quale contributo possa dare, per costruire tale soggetto, la sinistra socialista.

Già nel 1976, sempre sull’Avanti! Besostri sosteneva: “La dimensione europea che è necessaria per ogni strategia socialista … è anche richiesta dalle esigenze dello sviluppo economico, che deve essere sorretto da una dimensione di mercato, da risorse finanziarie, da una ricerca scientifica e tecnologica e da una garanzia di disponibilità di fonti di energia e di materie prime, che difficilmente un singolo Paese è in grado di riunire”. Oggi la “dimensione europea” è sfociata nell’euro e possiamo limitare ii “socialismo” a una società “più giusta”; ma rimane un problema di fondo già allora visto in questi termini nello stesso articolo, dal titolo I nodi di un’alternativa socialista per (Europa: “La sinistra italiana si deve convincere che la democrazia americana è in grado di produrre in proprio anticorpi alle attuali degenerazioni”, ma “il partito laburista nelle sue componenti di centro e di destra è fortemente filo-atlantico e la sua politica estera dovrebbe essere oggetto di uno studio sistematico per mostrare le connessioni intime con la politica estera Usa”. A oltre un quarto di secolo di distanza, questa analisi è di particolare attualità; e per confermarlo bastino altre due citazioni, una sul programma del Psi (del 1978) e un’altra su La Rivoluzione d’Ottobre e il suo significato per la sinistra di oggi, apparsa nel 1979 sulla storica pubblicazione del socialismo italiano, Critica Sociale. La prima citazione, critica, è sul programma: “Manca, dirci completamente, ogni esame che riguardi una politica di difesa e una strategia di difesa per l’Europa”.

La seconda citazione, che segue, dieci anni prima della caduta del muro di Berlino, il drastico rifiuto della definizione di “socialismo reale” per l’Urss e per i Paesi dell’Est: “Il problema non è quello della terza via al socialismo … o della quarta, o della quinta, non esiste una transizione al socialismo e una società socialista finale. Questa separazione corrisponde ad una visione mitica del socialismo quale società senza conflitti”. I due passi mi suggeriscono un quadro d’insieme, che appunto è di grande attualità e che muove da categorie concettuali per giungere alle più scottanti questioni sul tappeto. In primo luogo il “socialismo” come società più giusta non è una corsa a tappe con traguardo finale, ma un processo, si potrebbe dire il vichiano “verum quod factum“. In secondo luogo, nel corso del processo che non può essere che a livello europeo, un’autonomia di sviluppo economico deve essere garantita insieme a una autonoma strategia di difesa. In terzo luogo, si deve avere una realistica fiducia nel fatto che la democrazia americana sappia sviluppare anticorpi di fronte alle “degenerazioni”, che negli anni Settanta erano la “realpolitik” di Kissinger e oggi l’ideologia neo-conservatrice dell’amministrazione Bush.

La quarta questione, la più attuale e scottante, riguarda l’Inghilterra e il suo partito laburista. Con Blair ha riconquistato il governo sulla base di un “New Labour” che vede la netta prevalenza di quello che Besostri definiva il centro-destra del partito e che parla, precisamente, di una terza via nella quale concezioni meritocratiche (si veda la politica scolastica e universitaria) fanno premio sulle aspirazioni a una società più giusta, mentre si conferma il totale allineamento alla politica estera Usa, anche nei suoi aspetti più “imperiali”, consistenti nel trasformare la “guerra al terrorismo” in interventi militari volti a imporre governi amici in sostituzione di quelli ritenuti nemici. È. un fattore da tenere presente nel valutare il molo dell’Inghilterra, qualunque sia il suo governo, soprattutto nella presente battuta d’arresto, sia pure temporanea, nella definitiva approvazione del trattato costituzionale europeo mentre Blair assume un significato emblematico rispetto al ruolo dei socialisti europei, sui quali continua ad esercitare una notevole influenza. Questo ruolo potrebbe richiedere di non poter prescindere da una sorta di richiesta di chiarimento al Labour Party su una scelta europea (costruzione di un soggetto politico) che non può essere subordinata al perenne allineamento britannico a Washington. Un chiarimento sul quarto punto potrebbe essere preliminare alla impostazione degli altri tre. È un’impostazione sulla base della quale Besostri ha continuato i suoi commenti sino ad oggi, sino alla valutazione delle consultazioni elettorali del 2002 e del 2003 in Germania e in Svezia, che confermano le considerazioni svolte nello scritto “Tenere la barra”, dopo i deludenti risultati dei socialisti europei dal 2000 in poi.

Per la Germania l’Autore mette in luce che la tenuta del Spd è in buona parte dipesa dalla “posizione di netta opposizione alla guerra preventiva all’Iraq”, pur dopo l’effetto negativo dell’errata esagerazione del ministro della giustizia, Herta Däubler-Gmelin, che paragonava, sia pure ellitticamente, la politica estera di Bush a quella di Hitler. È un esempio — l’opposizione alla guerra — che vale anche per la Spagna del 2004. Besostri rilevava che questa tenuta del settembre 2002 veniva dopo sconfitte “in bastioni tradizionali della socialdemocrazia come Amburgo e Brema, sconfitte solo in parte compensate dalla vittoria di Berlino” e abbinate invece a una attenuazione del welfare.

La questione svedese è più complessa e ha dato luogo a uno dei due testi che significativamente chiudono il volume, nel settembre 2003, trent’anni dopo una serie di analisi che, lo si è visto, muovevano da un altro settembre, quello cileno del 1973.  Dopo la riconferma della coalizione di governo a guida socialdemocratica, nel 2002, gli svedesi avevano infatti votato “no” nel referendum per l’entrata del Paese e nell’area Euro e Romano Prodi commentò: “Ha vinto la paura, la Svezia ha voluto preservare il suo antico modello sociale”. Besostri replica con lo scritto No, caro Prodi, la socialdemocrazia non è un modello sociale antiquato: “Gli svedesi hanno votato nel 2002 sul loro sistema sociale dando una grande vittoria ai socialdemocratici. Sull’esito del referendum ha influito il fatto che dopo gli sfioramenti di Francia e Germania l’Euro ha acquistato una cattiva reputazione presso i piccoli paesi. Se sei un grande paese i vincoli non valgono”.

All’argomentazione qui sopra riportata Besostri aggiunge anche delle considerazioni più generali: “Se si diffondesse l’idea che integrazione europea e protezione sociale sono tra loro incompatibili, danneggiata sarebbe l’idea di Europa presso i lavoratori e le lavoratrici. Credo che nelle dichiarazioni di Prodi giochi un antico riflesso anti-socialista: ha sempre ritenuto che con il crollo del comunismo anche il socialismo, per quanto democratico, dovesse scomparire: una vecchia idea di La Pira che assegnava al cristianesimo politico l’eredità del comunismo. Condivido la riflessione di Besostri, ma credo che essa possa essere ampliata, sia per quanto riguarda l’Europa, sia per quanto concerne socialismo. Ho molti dubbi che I’Europa allargata a venticinque Paesi dal 1° maggio 2004, con la distinzione tra grandi e piccoli Paesi che si è vista, possa trasformare l’Europa in un soggetto politico con una politica comune sui quattro punti dianzi indicati. Un’area occidentale di prevista “collaborazione rafforzata” in materie cruciali di Paesi della parte occidentale del continente che hanno in comune una cultura democratica carente all’Est, potrebbe essere una soluzione più realistica di un allargamento che potrebbe ridursi a un’area economica di libero scambio. I socialisti dovrebbero farsene promotori, ritrovando nella “collaborazione rafforzata” un’identità che può essere altrimenti messa in discussione.

É un tema che ho ripreso in altre sedi, tra cui, in ambito socialista, in un seminario (29 maggio 2003) del gruppo regionale lombardo dello Sdi (“Forme di governo e democrazia”, Publishing, Milano) un tema che converge con quanto scrive Besostri, concludendo il citato Tenere la barra: “Proprio la dimensione continentale della crisi della sinistra di ispirazione socialista deve portare a allargare e non restringere l’ambito della riflessione e della discussione (non limitata ai programmi, ma estesa ai valori) e dare avvio a una riforma urgente dei partiti socialisti”: una riforma che tenga conto, appunto, dal possibile convergere tra tecnologie avanzate e antiche culture emergenti, trovandosi le lontane radici del socialismo in valori di eguaglianza ribelle, per cui il 1° maggio riecheggia anche le tradizioni della festa di primavera delle magie druidiche e della notte delle “donne sagge” che la repressione poi definì “streghe’.