di Felice Besostri |

A Rimini dall’ 8 al 10 febbraio s’incontreranno liberamente dei socialisti, senza altre specificazioni, per una conferenza programmatica. Socialisti senza altri aggettivi, che si porterebbero come contraddizione e limite a priori all’idea di un socialismo largo, che è quello che manca in Italia ed in Europa, per limitarsi allo spazio politico e istituzionale, prima ancora, che geografico del nostro agire, con l’avvertenza che l’internazionalismo è una dimensione essenziale del socialismo, altrimenti non può essere speranza per l’umanità intera. Un solo punto comune deve essere chiaro che socialismo e libertà sono indissolubili e questo comporta la scelta della via democratica per la conquista e la gestione del potere. A fondamento di questa scelta citerò soltanto Rosa Luxemburg, di cui ricorre il centenario dell’assassinio sulle rive della Sprea, perché è una figura che grazie al socialista Lelio Basso può essere icona dei diversi filoni ideali storici del movimento operaio e socialista dalla Prima internazionale, fondata 155 anni fa il 28 settembre 1864 a Londra, come  l’Associazione Internazionale dei Lavoratori (AIL), e transitati nella Seconda fondata a Parigi il 14 luglio (data fatidica in sé) 1889, 130 anni fa. Scriveva la Luxemburg “La democrazia è una necessità imprescindibile non perché renda superflua la conquista del potere politico da parte del proletariato, ma al contrario perché la fa necessaria e a un tempo ne rappresenta l’unica possibilità”. Nelle condizioni date diventa una scelta obbligata per la ricostruzione di una sinistra nel nostro paese l’attuazione della Costituzione. I lavoratori, sul cui lavoro è fondata la nostra Repubblica democratica, sono la maggioranza del popolo, comprendendo anche chi un lavoro cerca o l’ha perduto, quindi il principio democratico, -una testa, un voto- è perfettamente rispettato: meglio ancora se ad una testa si accompagnasse un cuore, piuttosto che una pancia, governata da umori gastrici e bassi istinti. Se la democrazia è una scelta, non dipende da come votano gli elettori, gli insuccessi della sinistra in Italia e in Europa non sono colpa di elettori primitivi, ignoranti e disinformati ma dei gruppi dirigenti dei partiti di sinistra, delle loro politiche e pratiche. La disaffezione elettorale ha ovviamente colpito in più forte misura i partiti del PSE che ne rappresentavano la maggior parte e in alcuni paesi l’unica formazione, nei paesi a tradizione laburista (Gran Bretagna e Malta) e paradossalmente nei paesi dell’Europa Orientale, non in tutti, ma in Romania, Bulgaria, Slovacchia e Ungheria, mentre hanno da tempo perso il monopolio della rappresentanza della sinistra nei paesi scandinavi, già bastioni della socialdemocrazia. Altro dato preoccupante è che le formazioni alla loro sinistra, quale che sia la loro natura di nuova sinistra alternativa o comunista, non sono state capaci di catturare i voti da loro perduti, nemmeno dove sono davvero scomparsi dalla scena come in Francia e nei Paesi Bassi, o di raggiungere i loro migliori risultati percentuali ed assoluti, neppure dove li hanno sostituiti al governo come Syriza in Grecia o dove erano vicini al sorpasso, come Podemos in Spagna. E’ proprio il caso di dire che se Madrid piange Atene non ride. Questa situazione pessima ha almeno il piccolo vantaggio che nessuna delle componenti della sinistra può ergersi a giudice, dispensare lezioni e pretendere di essere la guida verso il sole dell’avvenire o i radiosi indomani, che cantano. In confronto deve essere su programmi e azioni conseguenti ai programmi, senza mosche cocchiere o grilli parlanti.

Se l’attuazione della Costituzione è il possibile e realistico terreno comune occorre fare un esame di coscienza pubblico, perché le minacce all’ordine democratico costituzionale non sono venute soltanto da destra in passato ed ora dalla maggioranza gjallo-verdenera, con la riduzione del numero dei parlamentari e l’abolizione del divieto di mandato imperativo, ma dalla tentazione maggioritaria di settori della sinistra, di cui altri settori hanno beneficiato o sono state vittime secondo i tempi e le circostanze.  Era passata l’idea che la conquista del potere potesse prescindere dal consenso maggioritario degli elettori, che potevano, persino, essere espropriati del diritto di scegliere i rappresentanti della Nazione, cioè del popolo sovrano, con un voto, libero, eguale personale e diretto. Per fortuna è rimasto segreto. Non per scelta di lotta politica, ma di decisioni della Corte Costituzionale su iniziativa di elettori, il premio di maggioranza è soggetto a limiti e le liste non possono essere integralmente bloccate: è ancora poco, ma meglio del destino, che ci avevano preparato a partire dai referendum Segni e Guzzetta. Per restituire centralità e rappresentatività al Parlamento, dobbiamo dare dignità ai singoli parlamentari, togliendo privilegi individuali, dispensati dai partiti attraverso i gruppi e gli uffici di presidenza per compensarli della ridotta libertà ed autonomia rispetto a scelte compiute fuori dal Parlamento,  affinché, invece, rispondano politicamente agli elettori e all’opinione pubblica del loro comportamento.

L’altra ferita non ancora rimarginata alla Costituzione e alla centralità del Parlamento è stata la decisione di ammettere il voto di fiducia su due leggi elettorali. Il precedente è stato creato dalla Presidente della Camera nel 2015, ma rafforzato nel 2017 con Camera e Senato all’unisono: la credibilità della sinistra come presidio della Costituzione non era più credibile, malgrado il pentimento personale dell’allora Presidente del Senato. Il primo passo è l’abrogazione del monopolio della presentazione di liste e candidati riservato a partiti e movimento politici organizzati, finché non sarà data completa ed organica attuazione all’art. 49 della Costituzione, il ritorno  al finanziamento pubblico delle sole campagne elettorali con il rimborso delle spese documentate fiscalmente regolari e senza privilegi per nessuno per la raccolta delle firme. Come guida all’azione bastano i primi tre articoli della Costituzione, l’attuazione dei suoi artt. 39 e 49, e nell’ordinamento economico attenersi ai principi del Titolo III della Parte Prima con particolare riferimento alle norme cardine sulla proprietà sia pubblica che privata, gli artt. 41 e 42. Nella nostra Costituzione non c’è contrapposizione tra individuale e collettivo i diritti delle persone sono inviolabili sia come singoli sia come formazioni sociali (art. 2 Cost.), Se abbiamo diritti abbiamo il dovere  di dar loro corpo per tutti e non per pochi. Quanto prescrive l’art. 3 c. 2 Cost.” È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.” deve essere visto in modo differente, se vogliamo non ripetere errori, la Repubblica, che deve rimuovere gli ostacoli  non è  lo Stato ,ma noi tutti, perché l’Italia è una repubblica democratica, dove la sovranità appartiene al popolo, cioè a noi e la dobbiamo esercitare senza deleghe ad entità astratte mitizzate, come  Stato o Partito. Il Socialismo ha bisogno di persone in carne ed ossa normali e numerose, tra loro solidali, più che di un Partito con segretario generale eccezionale, carismatico e geniale, che proprio per queste sue qualità può essere un abbaglio.