«L’epoca berlusconiana o berlusconian-bossiana volge alla fine, ma ogni decadenza non comporta automaticamente  una caduta brusca, poiché, anche se , in questo caso, non licet parva componere magnis,  basta pensare all’Impero romano o in tempi più recenti all’agonia del sistema sovietico a partire da Breznev o del franchismo spagnolo. Le rivoluzioni dei garofani non sono frequenti e dobbiamo anche chiederci, se nella situazione italiana, siano anche auspicabili: bene o male abbiamo alle spalle un sistema democratico e una Costituzione repubblicana, con valori ancora validi, malgrado gli attentati portati da cambiamenti alla costituzione materiale da sciagurate leggi elettorali e da un sistema dei partiti in crisi di identità e di missione, oltre che da alcune modifiche come quelle al titolo V della Parte Seconda nella XIIIa Legislatura: una legislatura a maggioranza di centro-sinistra, non dimentichiamolo! Troppo comodo dare la colpa al solo Berlusconi, al conflitto di interessi e alle sue televisioni, come se errori politici gravi come quelli delle elezioni del 2001 e del 2008, non avessero padri e madri nel centro-sinistra, con nomi e cognomi.

Nel 2001 si è consegnato, senza colpo ferire, il Senato alla destra e centro destra alleati al populismo leghista, e sacrificato sull’altare delle liste civetta, cioè nell’esclusivo interesse della rielezione di un pezzo di nomenklatura, un accordo politico al Senato con Rifondazione e/o Di Pietro. Nel 2008 l’anticipata caduta del secondo governo Prodi, di cui portano responsabilità i mal di pancia della sinistra antagonista e l’accelerazione bipolare della costruzione del PD, con la sua scelta di coalizione con la sola IdV. Il risultato del 2006 aveva nascosto i guasti della legge elettorale approvata senza una decisa opposizione del Centro-Sinistra, la cui parte maggiore DS e PP ne approvava i motivi ispiratori di fondo e di cui, tutti, proprio tutti, amavano allo spasimo le liste bloccate. Senza quel meccanismo non sarebbe nemmeno venuta alla luce la Sinistra Arcobaleno: un accordo burocratico di vertici partitici  auto-referenziali. Il porcellum ha il suo padre in Calderoli, ma la sua madre è la legge elettorale toscana, Regione responsabile anche del successivo fallimento del progetto di Sinistra e Libertà, senza esclusiva, peraltro.

Da tempo, con la scomparsa  o la trasformazione profonda dei partiti della Prima Repubblica, le scelte politiche hanno come unica bussola i destini personali nelle istituzioni dei gruppi dirigenti e della loro corte, che nella sostanza non hanno nulla da invidiare “ai nani e ballerine” di formichiana memoria. Da questo punto di vista il porcellum ha un merito: ha reso chiari i criteri con i quali si seleziona il ceto politico, al massimo livello in uno Stato democratico rappresentativo, il Parlamento.  Il radicamento nell’elettorato o nelle articolazioni sociali, nei movimenti o le competenze non sono un criterio di scelta degli eleggibili, ma la vicinanza a questo o quello dei decisori, un gruppo di persone, non superiori a 2 decine, che si autolegittimano reciprocamente e che a loro volta rispondono a gruppi di interessi economici lobbisti, che li finanziano direttamente o indirettamente   o che mettono a disposizione i loro media.  

 L’oligarchia partitica dispone inoltre della riserva di caccia  della Radio Televisione “pubblica”  e delle trasmissioni dei grandi conduttori, che decidono inappellabilmente chi ha diritto di esprimere idee politiche nel dibattito pubblico.

La sinistra, in tutte le sue varianti, da quelle riformatrici a quelle antagoniste, è fuori dal gioco, anche per la sua assenza nelle istituzioni rappresentative nazionali ed europee, con qualche eccezione una volta Bertinotti o in tempi più recenti Vendola, ma purché siano personaggi con appeal mediatico, non come rappresentanti di un’area politica, per il resto sistematicamente esclusa, come se non esistesse. Quest’area esiste e come fiume carsico ogni tanto viene alla superficie come per i referendum o nelle elezioni amministrative di questa primavera, con l’elezione a sorpresa di sindaci, come Pisapia a Milano, De Magistris a Napoli o Zedda a Cagliari.

Bisogna sancire con un voto popolare la fine del regime, minato anche dall’interno con la perdita di carisma parallela di Berlusconi e Bossi, incapaci persino di uscire di scena con una successione già individuata. La sola uscita legittima in una democrazia rappresentativa è però ostacolata proprio dalla legge elettorale, una legge che ha alterato la forma di governo parlamentare delineato dalla Costituzione.    Il guardiano della Costituzione di allora, peraltro una persona degnissima come Ciampi, ha promulgato una legge con un premio di m aggioranza abnorme, perché svincolato da ogni quorum in seggi o percentuale di voti e l’indicazione sulla scheda elettorale del Capo politico designato di fatto alla carica di Primo Ministro, dalla quale, a causa delle liste bloccate, sono scomparsi persino i nomi dei candidati al Parlamento. Un altro guardiano, altrettanto per bene ha consentito l’entrata in vigore di una legge elettorale per il Parlamento Europeo in cui soglia di accesso alla rappresentanza, coincide con quella del rimborso delle spese elettorali, un caso unico in Europa, con l’effetto di ridurre anche in futuro il sorgere di nuovi soggetti politici, oltre che costringere i candidati e gli elettori di liste sotto soglia a finanziare i loro concorrenti, che si dividono una torta, cui contribuiscono tutti gli iscritti alle liste elettorali, senza un rapporto diretto con i voti effettivi conseguiti.  La legge elettorale vigente ha come conseguenza che l’art. 67 della costituzione è stato caducato: i parlamentari non rappresentano più la Nazione, ma chi li ha collocati in posizione eleggibile nella lista bloccata.

La fedeltà al Capo è, non tanto paradossalmente, più forte in chi ha tradito chi l’ha nominato.  Con la legge elettorale in vigore, nessuno può trovare conferma delle scelte effettuate nel suo collegio, deve trovare un nuovo Capo che lo riconfermi in posizione eleggibile e in una situazione incerta la legislatura deve durare il più a lungo possibile, anche a rischio di far precipitare l’Italia in una crisi economica, politica e sociale incontrollabile.  Se alla fine si trovasse il modo di vincere le loro resistenze si andrebbe ad elezioni anticipate con la stesa legge elettorale! In questo paese di gattopardi e nel quale, come ci insegna Fabio Vander, il trasformismo ha una storia lunga e di successo, oso prevedere che un gruppo di parlamentari dell’attuale maggioranza trovi la quadratura del cerchio, facendo mancare la maggioranza alla Camera al governo, in cambio di un collocamento in posizione eleggibile alle  prossime elezioni   con il porcellum.  Un obiettivo raggiungibile anche nell’improbabile evenienza che il referendum elettorale, specchio per le allodole, sia dichiarato ammissibile dalla Corte Costituzionale. A proposito di traditori, da Scilipoti a Romano o Calearo, dovremmo smettere di ingiuriarli, se nel contempo non chiediamo di pagare le loro colpo a chi li ha collocati in posizione eleggibile. Nella Cina imperiale i mandarini  erano responsabili delle  azioni dei funzionari da loro nominati, se rubavano o si facevano corrompere. La responsabilità di far nominare parlamentari  è sicuramente maggiore, ma tutti sono ancora là pronti a fare il nuovo giro di nomine.  Non c’è una grande richiesta di un passo indietro, In Italia chi perde le elezioni non si ritira dalla vita politica, al massimo fa un piccolo passo di lato, come Veltroni nel 2001 rifugiandosi a Roma. Nessuno se li può inimicare altrimenti la carriera è finita, anche nei nuovi soggetti l’ambizione è quella di formare liste bloccate o di essere chiamato in una lista bloccata. Nel contempo, senza fare nulla per cambiare la legge elettorale, grillini ed indignati si apprestano a combattere la “casta” in nome dell’antipolitica, per riprodurla nei suoi aspetti deteriori, capi carismatici o masanielli improvvisati, senza soggetti di partecipazione cittadina agli affari pubblici, cioè partiti democratici, regolati da una legge sotto controllo delle loro finanze e del rispetto delle competenze statutarie.  Come sciogliere il nodo gordiano, prima che la crisi del sistema sia risolta da chi ne è stato colonna, come il Vaticano e la Confindustria? Una nuova vittoria dei gattopardi è possibile, c’è tanta buona volontà nell’opposizione a trovare un nuovo leader in un esponente senza stimmate di sinistra nel suo passato, da Montezemolo a Monti, ma senza escludere Tremonti o Maroni, per non parlare di Casini.

Se la risposta per una transizione controllata è nella ricostituzione di un partito di Centro, più o meno di ispirazione cattolica, la sinistra dovrebbe mettere in campo un progetto alternativo di sinistra di governo, larga e plurale e con riferimenti almeno europei. Nel frattempo dimostri che ha un’altra idea di democrazia e legge elettorale nelle regioni poche, dove è al potere. Cominci la Toscana e segua la Puglia ad adottare una legge elettorale regionale, che elimini liste bloccate e premi di maggioranza svincolati da quorum, che preveda primarie obbligatorie per le nomine dirette e comunque forme di trasparenza nella formazione delle candidature, con l’anticipo del termine per il deposito delle candidature rispetto alla data delle elezioni. Chi si dichiara contro la legge elettorale vigente dimostri dove è maggioranza quale è il suo modello. Non sarebbe bene che ogni speranza di cambiamento sia affidata all’iniziativa di quegli elettori che sarà decisa dalla Corte d’Appello di Milano il prossimo  20 ottobre, perché finora la magistratura ha sempre coperto la tranquillità della classe politica dalle decisioni del Consiglio di Stato sulle elezioni nazionali del 2008 e quelle europee del 2009.

Felice Besostri