Non ancora sciolto il nodo della legge elettorale

NEI PROSSIMI giorni, probabilmente venerdì, saranno note le motivazioni su cui la Corte Costituzionale ha fondato la recente sentenza che ha affossato l’Italicum. Il combattivo avvocato Besostri, esponente del piccolo gruppo di legali che ha al suo attivo, oltre allo scalpo dell’Italicum, anche quello del vecchio Porcellum, è di nuovo sul chi-va-là. Si è già rivolto ai capi partito ammonendoli a non confezionare altre leggi pasticciate che cadrebbero anch’esse sotto la mannaia: la sua, sembra di capire, prima ancora di quella impugnata dalla Consulta. Ovviamente si parla di armonizzare le due leggi elettorali di Camera e Senato, secondo l’indirizzo del presidente della Repubblica a cui le forze politiche, magari qualcuna “obtorto collo”, hanno dovuto uniformarsi. E infatti l’idea di votare a giugno era rapidamente evaporata già nei giorni scorsi.

Il problema è tuttavia quello indicato da Besostri con studiata malizia: “armonizzare” è più facile a dirsi che a farsi. La strada è tortuosa, ci si deve muovere con circospezione fra i paletti messi dalla Corte e perfino il ripristino delle coalizioni a cui attribuire il premio di maggioranza potrebbe essere complicato. Qual è il rischio? Che il paese cominci di fatto una campagna elettorale destinata a durare quasi un anno, fino al febbraio 2018; una campagna estenuante e disordinata, resa tale dalla mancanza di chiarezza circa il modello elettorale con cui gli italiani saranno chiamati alle urne.
Se il Parlamento si limiterà a recepire il sistema proporzionale, con l’utopia del premio alla lista che supera il 40 per cento (ipotesi al momento irrealistica per tutti), avremo un paese nella sostanza ingovernabile. Se riuscirà nell’intento di disegnare un modello fondato sulle coalizioni, occorrerà verificare chi è in grado di allearsi con chi. Su questo giornale Massimo Giannini scriveva ieri che l’Europa sarà la discriminante delle prossime elezioni, con il campo populista o “sovranista” molto determinato e il fronte opposto, i difensori dell’Unione e della moneta unica, assai impacciato. In effetti è così. È bastato l’accenno tedesco alle due velocità per capire come non ci sia spazio per le posizioni intermedie o furbesche. Peraltro i nodi non sciolti della legge elettorale finirebbero senza dubbio per condizionare il quadro. Qualcuno in questi giorni, a cominciare dall’ex premier Renzi, osserva con ammirazione l’ascesa di Macron in Francia: è lui l’uomo destinato a sconfiggere Marine Le Pen e a restituire una speranza agli europeisti del Duemila?

È possibile, ma non si deve dimenticare che il sistema francese-il doppio turno uninominale di collegio- è forse il migliore del mondo, concepito per tagliare le unghie agli estremisti di destra e di sinistra. Suo pregio è mettere a confronto il candidato con i suoi elettori, collegio per collegio: in tal modo la selezione della classe politica è efficace perché i migliori vengono individuati fra il primo e il secondo turno. Aver rinunciato a battersi per introdurre in Italia il modello francese, in favore di un Italicum in parte incostituzionale, è stato un grave errore e già ora se ne pagano le conseguenze. Se Macron diventerà presidente, lo dovrà in buona misura alla legge elettorale. Sul piano teorico ci sarebbe tempo per imitare la Francia, ma non accadrà. In definitiva, se il sistema italiano sarà proporzionale, avremo il fronte anti-Europa ispirato a Trump e a Marine Le Pen intorno al 45-48 per cento (M5S, Salvini, Fratelli d’Italia).

A meno di un colpo di scena, uno scarto da parte di Grillo: ma per ora non ci sono indizi al riguardo. Sarebbe la premessa della paralisi. Se invece saranno favorite le coalizioni, c’è da capire chi sarà in grado di formarle. A destra Berlusconi come farà a trovare un’intesa con Salvini? Sulla base delle solite manovre di potere, non sarebbe impossibile. Ma se la linea divisoria passa attraverso l’Europa, non è concepibile che il lepenista Salvini – e la Meloni con lui – possa allearsi con Berlusconi membro del Partito Popolare europeo, lo stesso di Angela Merkel. A sua volta il Pd, al netto delle polemiche verso la Commissione che hanno segnato senza gran costrutto la stagione renziaria, avrà qualche difficoltà a coalizzarsi con una sinistra piuttosto diffidente sul progetto di aderire al primo gruppo dell’Unione, con tutti i sacrifici che ciò comporterebbe (si veda l’articolo di Stefano Fassina su Huffington Post ).

di Stefano Folli

Fonte: La Repubblica