di Fabio Vander
Quella del 26 maggio è una sconfitta tombale per la sinistra italiana. Di chiusura definitiva di un ciclo. Quando si prende l’1,7% non si tratta di una sconfitta come le altre, da cui si possa uscire magari con un congresso straordinario. Questo era possibile in altre epoche politiche, quando una sconfitta poteva essere soltanto elettorale, legata alle contingenze della fase, alle scansioni del ciclo politico ecc. Ma qui si tratta di altro. Di una débâcle che è elettorale, politica, strategica, di classe dirigente. E che conclude un ciclo ultradecennale.
Riguarda certo la sinistra moderata del PD, con la sua crisi di senso a fronte del governo giallo-verde, ma soprattutto la sinistra radicale e la sua ultima lista in ordine di tempo: La Sinistra.
Manca sia il centro-sinistra, sia la sinistra. La vera forza dei giallo-verdi è questa.
Per il PD la minima ripresa percentuale rispetto al disastro delle politiche non ha risolto nessuno dei problemi di fondo. Chi credeva (e crede) che superato Renzi tutto sarebbe ripreso come prima, evidentemente non realizza che la sconfitta del 2018 e quella ancor prima al referendum costituzionale hanno segnato un punto di non ritorno. È stato vulnerato l’intero progetto-PD, la sua idea di politica, di democrazia, di alternativa, di modernizzazione del sistema politico e di compimento della democrazia.
Per altro l’ultimo incredibile scandalo che ha visto coinvolto Lotti pezzi del CSM svela i termini di una crisi che sembra aver aggredito le fibre profonde della democrazia. Se il nuovo presidente dell’ANM Poniz ha potuto dire che la magistratura italiana ha “una gigantesca questione morale” e Luigi Ferrajoli parlare sul Manifesto di “traffici penosi” e “degenerazione di talune correnti dell’Associazione Magistrati in oscuri gruppi di potere”, la misura evidentemente è colma.
Vista dal versante del PD questa situazione conferma che “Mafia Capitale” non ha insegnato niente. Quel partito rimane preda proprio di pratiche oscure, extraistituzionali, all’epoca anche di rilievo penale, da cui non riesce a liberarsi. Mancano le risorse, gli anticorpi, le energie nuove. Manca una idea di politica, di prospettiva, di alternativa. Aver scelto una figura minore e debole come Zingaretti per cercare di uscirne è sintomatico. E che pezzi di sinistra abbiano deciso di candidarsi con il PD “da Calenda a Tsipras” lo è nondimeno. Tanto più che l’ultima direzione ha ribadito la “vocazione maggioritaria” del partito.
Ma si diceva la sinistra. Per le europee si è improvvisata una lista sulla base di un rapporto con Rifondazione atto solo ad evitare l’onere della raccolta delle firme. Dov’è la politica? Dove la strategia? Sulla base di cosa si chiedono i voti? Il verdetto degli elettori non poteva non essere senza appello per l’ennesima lista senza futuro: dopo Sinistra Arcobaleno, Lista Ingroia, Lista Tsipras, LEU. Dio acceca coloro che vuole perdere. E noi evidentemente vogliamo perdere. Altrimenti non si spiega.
Dal 2008 non ne siamo più venuti fuori. Sconfitta tombale soprattutto per un intero ceto politico. La generazione che da Vendola in poi ha dato luogo ai peggiori fallimenti, opportunismi, trasformismi. La stessa che dal 2007 ha impedito la nascita di un nuovo partito di sinistra in Italia. Senza mai un’autentica assunzione di responsabilità. Da qui fenomeni come il “campo progressista” passato armi e bagagli nel PD e la parabola di Zedda, che ha lasciato Cagliari per l’avventura in Regione e alla fine ha perso l’una (consegnando la città a un fascista) e l’altra (andata a Salvini). Emblematico il parallelo con Veltroni, che lasciò Roma ad Alemanno per tentare l’avventura delle politiche. Perse l’una, le altre e pure la carica di segretario (a seguito sempre della fatal Sardegna).
25 anni di centro-sinistra ci lasciano solo questo cumolo di macerie.
Ha scritto bene Fulvia Bandoli sul Manifesto: “anche chi non aderì al PD porta la pesante responsabilità di non aver dato vita, in 12 anni, a un soggetto politico con qualche senso”. Ma per questo occorre un salto di qualità. E occorre subito. È urgente, necessario. 12 anni (a dir poco) sono troppi.
La soluzione di continuità deve essere inequivoca: nessuno dei gruppi dirigenti di SI e Rifondazione potrà essere alla guida del processo che è necessario innestare. I rispettivi congressi dovranno dare luogo solo a leadership provvisorie e alla messa a disposizione per un progetto più ampio.
A partire da un doppio scarto: dal PD e da SI. Solo la scelta di pensarsi del tutto al di fuori della logica del centro-sinistra può cambiare nel profondo la scena politica italiana. Fissare un punto fermo a sinistra servirà tanto a favorire il processo di superamento del progetto-PD, quanto a riallacciare i legami con quei settori sociali che in questi anni si sono volti verso i 5Stelle o addirittura la Lega. Come ha scritto Ilvo Diamanti: “gli operai guardano altrove. A centro-destra. E a Destra”. Questa deriva politica e sociale però si contrasta non con un populismo o sovranismo ‘di sinistra’, ma appunto con un più alto livello di proposta politica, fatto di rappresentanza sociale, sintesi egemonica, nuovi gruppi dirigenti, nuove idee.
Dopo, soltanto dopo, in un altro quadro e con altri soggetti, potrà tornarsi a parlare di alleanze e di liste.