Perché l’Europa ha bisogno ancora di socialismo
La sinistra deve superare gli errori capitalistici della Terza Via di Blair e intaccare le rendite di posizione delle multinazionali, a vantaggio dei cittadini

Caro direttore, stretta tra la vittoria straripante di Macron in Francia e la straordinaria rimonta di Corbyn nel Regno Unito, la sinistra europea rischia di navigare a vista, rincorrendo il vincitore di turno. Ma così facendo, le forze progressiste si condannano all’irrilevanza, o meglio alla strenua rincorsa della parabola politica del leader del momento. Come nella storia di Achille e la Tartaruga, i progressisti sono destinati ad essere sempre in ritardo rispetto alla moda del momento. Anche perché, in questo tempo di grandi trasformazioni, si fatica a trovare una tendenza uniforme e le mode così come i leader si cambiano in fretta. Se c’è una lezione da apprendere da questa fase è che le giravolte non servono né pagano. Invece di inseguire il vento bisogna anticipare i cambiamenti, mantenendo con costanza e coerenza una posizione chiara. Qualsiasi analisi sulla sinistra oggi non può inoltre sfuggire da un approccio critico. L’ ex Primo Ministro francese Lionel Jospin dopo la sconfitta di Mitterrand nel 1995 invocò un «droit d’inventaire», l’urgenza di fare l’inventario, di analizzare criticamente le scelte passate. Non ci sarà futuro per la sinistra se non avrà il coraggio di criticare se stessa e capire le ragioni del suo declino. Perché l’indebolimento della socialdemocrazia non è il risultato di un processo ineluttabile ma è la conseguenza di gravi errori di analisi e di strategia.

Bene ha fatto Giuliano Amato sul Corriere della Sera ad analizzare criticamente la Terza Via. In quella scelta vi è in nuce una delle ragioni della crisi attuale. Va riconosciuto a Tony Blair e a Tony Giddens di essere stati gli unici ad avere sviluppato una visione complessiva per la sinistra dopo il crollo del Muro. Ma bisogna anche ammettere che la risposta fornita è stata sbagliata in quanto si fondava su una sostanziale abiura del patrimonio della sinistra. Rinunciando a qualsiasi progetto di trasformazione radicale del sistema economico, le forze progressiste perdevano la propria caratteristica. In più, pezzi della sinistra non si sono limitati ad accettare in maniera passiva il nuovo modello capitalistico ma per certi versi ne sono diventati fautori e primi sostenitori. Il passaggio da un capitalismo industriale e nazionale, pilotato e regolata dalla politica, ad una nuova economia immateriale, finanziaria e globalizzata è stato reso possibile grazie al sostegno delle classi dirigenti progressiste negli anni Novanta. Comportandosi come apprendisti stregoni, le forze socialdemocratiche non hanno tuttavia compreso che quel modello di globalizzazione avrebbe indebolito la sua base sociale, impoverendo le classi popolari e precarizzando le nuove generazioni.

La fine del Muro di Berlino avrebbe invece dovuto spingerci a scegliere un altro modello di globalizzazione, basato su un nuovo sistema multilaterale, sulla diffusione della democrazia non per via militare ma attraverso una grande intesa per lo sviluppo mondiale, un patto che unisse le migliori energie del cambiamento. Così non è stato e la sinistra è diventata più realista del re. La terza via ne ha modificato il codice genetico e ha dato vita ad ibridi pericolosi. Chi ricorda la famigerata tecnica della triangolazione lodata dagli strateghi di Clinton per cui la sinistra doveva sparigliare le carte e pescare tematiche legate alla destra? Questa confusione ha reso indistinguibile la sinistra, non l’ha annacquata ma, ancora peggio, ne ha cancellato l’identità. Per sopravvivere a se stessa, la sinistra non deve smarrire il senso di questa lezione. E ciò deve portarci a valutare con estrema attenzione l’avventura di Macron. Il presidente francese punta infatti a forzare la logica della Terza Via, l’idea cioè che si debba creare un nuovo fronte post-ideologico che cavalchi i processi di globalizzazione come sviluppatesi negli ultimi 20 anni. A differenza del blairismo, il suo tentativo ha il merito della chiarezza in quanto dichiara apertamente di volere cancellare le forze socialiste. Per chi si riconosce a sinistra, sostenere Macron rischia di voler dire pertanto auto-cancellarsi. Diverso è intavolare un dialogo, sviluppare una dialettica che è oggi indispensabile soprattutto per ridare una prospettiva al processo europeo.

La via da seguire è però un’altra. Ridare senso alla parole «socialismo» e «sinistra» attraverso una grande battaglia di idee, riscoprire il senso della differenza fra destra e sinistra polarizzando le nostre convinzioni. A partire dalla politica economica. Restano vivi infatti anche a sinistra i cascami di bizzarre teorie quali la cosiddetta «austerità espansiva», l’idea cioè che l’austerità possa in ultima istanza portare crescita. Ne percepiamo l’eco quando si invoca una riduzione prioritaria del debito pubblico in Italia, facendo finta di non capire che questo penalizzerebbe soprattutto le categorie più deboli. Ciò di cui oggi abbiamo bisogno è al contrario una politica di investimenti coraggiosi che si concentri sulle spese d’avvenire, sull’istruzione, il sapere, le nuove generazioni. Non investimenti a pioggia ma un programma che rinnovi il patto generazionale assicurando un futuro dignitoso anche ai più giovani. E va cambiato il capitalismo, stroncando le rendite di posizione. Negli ultimi 20 anni si sono rafforzati colossi finanziari che per taglia e vocazione non sono più sottoposti al controllo dei poteri democratici. Come interpretare altrimenti le pratiche consolidate di evasione fiscale che permettono a grandi multinazionali di evadere ogni anno centinaia di miliardi di euro? Un attacco alla sovranità democratica, il tentativo di poteri mastodontici di sottrarsi a responsabilità e controlli democratici.

Lo stesso commercio internazionale va ripensato sulla base delle esigenze non solo del sistema economico ma soprattutto dei cittadini. Una politica commerciale progressista deve mirare non tanto all’aumento dell’interscambio commerciale quanto all’innalzamento degli standard sociali, ambientali e democratici nel resto del mondo. La lista delle cose da fare è lunga. E conta anche di più l’approccio. Il culto della governabilità, l’idea che si debba a ogni costo stare al governo ha portato a una deformazione che va corretta. Bisogna concentrarsi meno sulle posizioni da conquistare e più sui risultati concreti da ottenere. Insomma, se la sinistra vuole sopravvivere e rilanciarsi, il tempo dei compromessi al ribasso deve finire davvero. Serve una sinistra combattiva che, al di là del leader di moda del momento, é pronta a rischiare per le proprie idee.

Gianni Pittella *Presidente del gruppo dell’Alleanza progressista di Socialisti e Democratici al Parlamento Europeo

Fonte: Corriere.it