«IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato la seguente D E C I S I O N E sul ricorso in appello iscritto al NRG 11679 dell’anno 2003 proposto da: COMUNE DI MILANO rappresentato e difeso da: Avv. MARIA RITA SURANO Avv. RAFFAELE IZZO con domicilio eletto in Roma VIA CICERONE 28 presso RAFFAELE IZZO contro MIOZZI PATRIZIA rappresentata e difesa da: Avv. ARTURO MARZANO Avv. FELICE C. BESOSTRI con domicilio eletto in Roma VIA SABOTINO,45 presso ARTURO MARZANO STENDARDI ESTERINA rappresentata e difesa da: Avv. ARTURO MARZANO Avv. FELICE C. BESOSTRI con domicilio eletto in Roma VIA SABOTINO,45 presso ARTURO MARZANO WILLE ANNE MARIE rappresentata e difesa da: Avv. ARTURO MARZANO Avv. FELICE C. BESOSTRI con domicilio eletto in Roma VIA SABOTINO,45 presso ARTURO MARZANO MUSUMARRA ANTONINO rappresentato e difeso da: Avv. ARTURO MARZANO Avv. FELICE C. BESOSTRI con domicilio eletto in Roma VIA SABOTINO,45 presso ARTURO MARZANO WISER FLAVIO non costituitosi; DAMIANI MARIA LUISA rappresentata e difesa da: Avv. ARTURO MARZANO Avv. FELICE C. BESOSTRI con domicilio eletto in Roma VIA SABOTINO,45 presso ARTURO MARZANO VELLA ALBERTO rappresentato e difeso da: Avv. ARTURO MARZANO Avv. FELICE C. BESOSTRI con domicilio eletto in Roma VIA SABOTINO,45 presso ARTURO MARZANO BESOSTRI FELICE C. rappresentato e difeso da: Avv. ARTURO MARZANO con domicilio eletto in Roma VIA SABOTINO,45 presso ARTURO MARZANO e nei confronti di REGIONE LOMBARDIA non costituitosi; A.E.M. SPA non costituitosi; AZIENDA OSPEDALIERA “OSPEDALE NIGUARDA CA’ GRANDA” non costituitosi; per l’annullamento della sentenza del TAR LOMBARDIA – MILANO:Sezione II 4513/2003, e sul ricorso in appello iscritto al NRG 12125 dell’anno 2003 proposto da: AEM SPA rappresentato e difeso da: Avv. FRANCO GIUSEPPE FERRARI Avv. LUIGI MANZI con domicilio eletto in Roma VIA F. CONFALONIERI, 5 presso LUIGI MANZI contro REGIONE LOMBARDIA non costituitosi; COMUNE DI MILANO non costituitosi; AZ. OSPED. OSPEDALE NIGUARDA CA’ GRANDA non costituitosi; MIOZZI PATRIZIA rappresentata e difesa da: Avv. ARTURO MARZANO Avv. FELICE C. BESOSTRI con domicilio eletto in Roma VIA SABOTINO,45 presso ARTURO MARZANO STENDARDI ESTERINA non costituitosi; WISER FLAVIO non costituitosi; MUSUMARRA ANTONINO non costituitosi; WILLE ANNE MARIE non costituitosi; DAMIANI MARIA LUISA rappresentata e difesa da: Avv. ARTURO MARZANO Avv. FELICE C. BESOSTRI con domicilio eletto in Roma VIA SABOTINO,45 presso ARTURO MARZANO VELLA ALBERTO rappresentato e difeso da: Avv. ARTURO MARZANO Avv. FELICE C. BESOSTRI con domicilio eletto in Roma VIA SABOTINO,45 presso ARTURO MARZANO BESOSTRI FELICE C. rappresentato e difeso da: Avv. ARTURO MARZANO con domicilio eletto in Roma VIA SABOTINO,45 presso ARTURO MARZANO per l’annullamento della sentenza del TAR LOMBARDIA – MILANO:Sezione II 4513/2003, Relatore alla pubblica udienza del 6 aprile 2004 il consigliere Carlo Deodato; Uditi gli avvocati Maria Rita Surano, Luigi Manzi, Ferrari Franco Giuseppe e Felice C. Besostri; Visto il dispositivo di sentenza 252/04; Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue: FATTO Con la sentenza appellata venivano accolti due ricorsi (riuniti) proposti da diversi cittadini, residenti nelle vicinanze del luogo di realizzazione dell’opera, contro le delibere del Comune di Milano di approvazione del progetto definitivo e di quello esecutivo aventi ad oggetto la realizzazione di una strada di collegamento tra Viale Fermi e Via Imperatore, giudicate illegittime, e, quindi, annullate, in quanto non precedute dalla valutazione di impatto ambientale, ritenuta necessaria. Avverso tale decisione proponevano rituale appello, con due distinti ricorsi, il Comune di Milano e l’AEM S.p.A. (quest’ultima quale società incaricata di realizzare l’impianto di illuminazione della strada), riproponendo le eccezioni pregiudiziali di inammissibilità del ricorso in primo grado, già disattese dal T.A.R., contestando nel merito la correttezza del giudizio di illegittimità delle delibere di approvazione dei progetti dell’opera in questione e concludendo per l’annullamento della sentenza impugnata. Si costituivano i Sigg.ri Patrizia Miozzi, Maria Luisa Damiani, Alberto Vella, Felice C. Besostri (in entrambi i ricorsi), Esterina Stendardi, Annemarie Wille e Antonino Musumarra (nel solo ricorso n.11679/03), contestando la fondatezza delle censure dedotte a sostegno degli appelli e domandandone la reiezione. Non si costituivano, invece, in entrambi i ricorsi, le altre parti appellate. Alla pubblica udienza del 6 aprile 2004 il ricorso veniva trattenuto in decisione. DIRITTO 1.- L’identità della sentenza impugnata con i due appelli indicati in epigrafe impone la riunione e la trattazione congiunta dei relativi ricorsi. 2.- Come già rilevato in fatto, il Tribunale Milanese, giudicando ritualmente introdotti i ricorsi proposti dai cittadini residenti nella zona interessata dalla realizzazione dell’infrastruttura contestata, ha ritenuto le delibere impugnate viziate dall’omessa acquisizione della valutazione di impatto ambientale. Tale conclusione è stata raggiunta dai primi giudici in esito ad una complessa ed articolata analisi della ratio della direttiva CEE n.85/337 del 27 giugno 1995, alla conseguente disapplicazione del d.P.R. 12 aprile 1996, o, comunque, ad una sua interpretazione conforme al citato atto comunitario, ed all’apprezzamento delle caratteristiche oggettive della strada che imponevano, secondo le argomentazioni svolte nella decisione gravata, la verifica delle implicazioni ambientali della realizzazione dell’opera, con le modalità prescritte dalla direttiva (giudicata direttamente applicabile nell’ordinamento interno). 2.1- Gli appellanti ripropongono, in via pregiudiziale, le eccezioni di inammissibilità del ricorso in primo grado, già disattese dal T.A.R., criticano, nel merito, la correttezza del convincimento, assunto a fondamento della decisione gravata, della necessità dell’acquisizione della v.i.a. per l’approvazione dei progetti dell’opera in contestazione ed invocano, quindi, l’annullamento della decisione appellata e la conseguente reiezione dei ricorsi di primo grado (o la declaratoria della loro ammissibilità). 2.2- Gli appellati (originari ricorrenti) contestano la fondatezza delle eccezioni pregiudiziali, difendono, nel merito, la correttezza del giudizio di illegittimità reso in primo grado, ribadiscono la necessità della soggezione del progetto alla procedura di v.i.a. e concludono per la reiezione degli appelli. 2.3- Si premette che la sostanziale identità delle questioni di diritto introdotte con i relativi ricorsi (nonostante le trascurabili differenze registrabili tra le relative prospettazioni difensive) ne consente una disamina congiunta. 3.- Ordine logico impone il preliminare esame delle eccezioni di rito riproposte dagli appellanti. Si rileva, al riguardo, che l’infondatezza nel merito dei ricorsi di primo grado, per come appresso argomentata, esime il Collegio dalla verifica della loro rituale introduzione e che, comunque, la natura della posizione soggettiva azionata: interesse all’osservanza delle regole procedimentali prescritte a tutela dell’ambiente e la documentata vicinitas della situazione abitativa dei ricorrenti alla zona interessata dall’opera impediscono di qualificare la situazione degli istanti come interesse diffuso, imponendone, di contro, la classificazione come qualificato e differenziato, e ne legittimano senz’altro la tutela giurisdizionale per mezzo dell’impugnazione delle delibere approvative dei progetti di un’opera asseritamente pregiudizievole per le condizioni ambientali di vita degli interessati. 4.- Nel merito le parti controvertono in ordine alla necessità del rispetto della procedura di v.i.a. per l’approvazione del progetto in contestazione e, in particolare, in ordine all’ascrivibilità della strada in questione al novero delle opere pubbliche che esigono l’osservanza di quell’adempimento procedimentale. 5.- La soluzione delle questioni controverse postula una preliminare ricognizione della normativa di riferimento, onde ricavarne i parametri di giudizio della legalità dell’approvazione del progetto contestato. 5.1- La direttiva comunitaria n.85/337, come modificata dalla direttiva 97/11/CE, disciplina, all’art.4, l’istituto della valutazione di impatto ambientale, distinguendo i progetti, elencati nell’allegato I, che vi devono essere sottoposti da quelli, elencati nell’allegato II, per i quali viene demandata agli Stati membri la determinazione dei criteri e dei presupposti che rendono obbligatorio il rispetto della relativa procedura. La direttiva si compone, dunque, di due tipi di prescrizioni: una, immediatamente precettiva e vincolante, che impone l’acquisizione della v.i.a. per i progetti indicati nel I allegato, senza che al legislatore nazionale residui alcun margine di apprezzamento in ordine ai presupposti costituivi del relativo obbligo; l’altra, contenuta nel comma 2 dell’art.4, che si limita a riservare alla valutazione discrezionale degli Stati membri la determinazione delle caratteristiche delle opere elencate nell’allegato II che impongono la soggezione dei relativi progetti alla procedura di v.i.a.. Dall’esame dei predetti allegati si ricava che le opere viarie diverse dalle autostrade risultano classificate tra quelle per le quali compete al legislatore nazionale la regolamentazione dei presupposti della v.i.a. e che, quindi, per l’opera in questione non risulta configurabile un’efficacia diretta ed immediata della direttiva. 5.2- Il legislatore italiano ha provveduto a dare attuazione alla citata direttiva, individuando, all’art.1 del d.P.R. 12 aprile 1996 (emanato in esecuzione dell’art. 40, comma 1, della legge 22 febbraio 1994, n.146), le strade di scorrimento in aree urbane a quattro o più corsie con lunghezza superiore a 1.500 metri (o a 750 se ricadenti in aree naturali protette) tra le opere i cui progetti devono essere sottoposti alla procedura di v.i.a.. Come si vede, l’atto normativo interno di recepimento non risulta direttamente confliggente con la direttiva, rivelandosi, anzi, del tutto coerente con la previsione comunitaria che riserva agli Stati membri la determinazione dei presupposti della procedura di v.i.a. per le tipologie di opere alle quali va ascritte quella in contestazione. 5.3- Ne consegue che il giudizio sull’obbligatorietà della v.i.a. va formulato in applicazione del citato regime giuridico nazionale dell’istituto e non anche in attuazione della direttiva comunitaria. L’applicazione diretta delle direttive comunitarie negli ordinamenti degli Stati membri postula, infatti, che sia inutilmente scaduto il termine per il loro recepimento e che l’atto europeo contenga prescrizioni dettagliate e, come tali, applicabili senza bisogno di ulteriore intermediazione normativa (cfr. ex multis Corte di Giustizia, 4 marzo 1999, causa C-423/97) ovvero che una disposizione nazionale (successiva) risulti contrastante con i principi enunciati nella direttiva (anteriore) e che la prima vada, quindi, disapplicata al fine di assicurare l’attuazione della seconda, in ragione della preminenza del diritto comunitario nell’ipotesi di conflitto con atti nazionali difformi (Corte Cost, 8 giugno 1984, n.170). Nella fattispecie in esame risultano inconfigurabili entrambe tali situazioni: la direttiva è stata recepita e risulta, in ogni caso, priva, nella parte considerata, di prescrizioni precise ed incondizionate; l’atto nazionale attuativo si rivela carente di profili di contrasto con i principi nella stessa contenuti (anche tenuto conto dell’ampia discrezionalità riservata ai legislatori nazionali nell’individuazione dei progetti soggetti alla procedura di v.i.a.). 6.- Esclusa, quindi, la diretta applicabilità della direttiva 85/337, l’unico paradigma normativo di valutazione della legittimità dell’attività amministrativa contestata resta il d.P.R. 12 aprile 1996. 6.1- Il presente giudizio si risolve, di conseguenza, nella verifica dell’ascrivibilità dell’opera in questione tra quelle che, secondo la normativa di riferimento, esigono l’acquisizione della v.i.a. e, pertanto, nella sua classificabilità come strada di scorrimento. 6.2- La catalogazione dell’opera risulta complicata dalle circostanze che il Comune di Milano l’ha formalmente qualificata come “strada interquartiere”, che tale tipologia di strada non è, tuttavia, contemplata nella classificazione contenuta nell’art.2 d.lgs. 30 aprile 1992, n.285 (codice della strada) e che risulta, invece, prevista nella direttiva del Ministro dei Lavori Pubblici (oggi delle Infrastrutture e dei Trasporti) del 12 aprile 1995, avente ad oggetto le istruzioni per la redazione, adozione ed attuazione dei piani urbani del traffico. 6.3- Si tratta, quindi, di ricostruire la natura dei rapporti tra i suddetti atti, normativi ed amministrativi, e di assegnare a ciascuno la corrispondente valenza sostanziale, con l’avvertenza che la classificazione risultante da tale opera ermeneutica non può essere disattesa dal giudice amministrativo sulla base di apprezzamenti sostanzialistici (non praticabili, a fronte di catalogazioni costitutive formali) e di valutazioni tecniche (riservate, in quanto tali, all’amministrazione titolare della relativa competenza). 6.4- Nell’ambito di tale indagine riveste carattere logicamente antecedente la questione, per molti aspetti decisiva, dell’ammissibilità nel nostro ordinamento delle strade interquartiere e del valore della corrispondente classificazione comunale. Deve, al riguardo, osservarsi che la catalogazione delle strade contenute nel d.lgs. n. 285/92 non può reputarsi tassativa, in difetto di qualsivoglia elemento positivo che ne indichi il carattere esaustivo, e che risulta, quindi, legittima la previsione di ulteriori tipologie di strade, purchè contenuta in atti aventi natura normativa. Orbene, l’art.36 del d.lgs. n.285/92, che prescrive, per alcuni Comuni, l’obbligo di adozione del piano urbano del traffico, sancisce espressamente al comma 6, quale relativa regola di azione, il rispetto delle direttive emanate dal Ministero dei Lavori pubblici – così contestualmente investito della potestà di disciplinare la redazione dei piani di traffico veicolare. Il Ministero ha esercitato tale potere con l’emanazione della direttiva del 12 aprile 1995 che, nelle premesse, chiarisce che le relative istruzioni sono indirizzate ai Comuni e che le stesse, per la fase di redazione del PUT, “hanno valenza di prescrizioni”. A tale atto ministeriale, ancorché denominato direttiva e privo dei caratteri formali del regolamento, va, tuttavia, riconosciuta valenza normativa, in quanto contenente una disciplina generale ed astratta dell’esercizio della competenza dei Comuni nella redazione del PUT, dotato di portata innovativa dell’ordinamento giuridico nonché emanato nell’esercizio di un potere attribuito da una norma di rango primario (idonea, in quanto tale, ad assegnare al Ministero la relativa potestà regolamentare, anche se priva di tale qualificazione formale). La direttiva, di contro, risulta, per le medesime ragioni, priva di natura meramente amministrativa, in quanto finalizzata a regolamentare in via generale l’esercizio di funzioni amministrative e sprovvista dei caratteri particolari e tipicamente provvedimentali che caratterizzano indefettibilmente queste ultime. Così riconosciuto il carattere normativo della citata direttiva ministeriale, si deve rilevare che la stessa contempla espressamente, al punto 1.2 dell’allegato, le strade interquartiere, definendole come vie intermedie tra quelle di scorrimento e quelle di quartiere, fra quelle che i Comuni di più vaste dimensioni hanno la facoltà di prevedere nel PUT. 6.5- La riscontrata valenza normativa della direttiva ministeriale implica due corollari: le strade interquartiere sono contemplate nel nostro ordinamento come tipologia autonoma e distinta da quelle di scorrimento; i Comuni hanno il potere di prevedere quel tipo di strade nel regolamento viario e nel conseguente PUT (anche tenuto conto che la direttiva non risulta impugnata dagli originari ricorrenti). Ne consegue, innanzitutto, che la classificazione della strada in questione come interquartiere nel PUT di Milano si rivela coerente con la normativa primaria di riferimento e con le pertinenti competenze pianificatorie del Comune. Non solo, ma a tale catalogazione va riconosciuta valenza costituita del regime giuridico della strada, nel senso che il codice della strada e la relativa direttiva ministeriale si limitano a prevedere, in astratto, le caratteristiche strutturali e funzionali delle strade, mentre la classificazione in concreto dell’opera viaria risulta riservata dalla normativa primaria (e, segnatamente, dagli artt.13 e 36 d.lgs. n.285/92) all’iniziativa provvedimentale dell’ente proprietario. Ciò non significa che quest’ultimo possa catalogare l’opera arbitrariamente ed in attuazione di parametri difformi da quelli stabiliti dalla normativa primaria, ma che la classificazione comunale può essere disattesa, o, meglio, annullata, solo in esito ad un giudizio di legittimità governato dalle regole che presidiano la valutazione giurisdizionale degli atti amministrativi e non anche sulla base di un apprezzamento sostanzialistico che prescinda del tutto dalla considerazione della sua valenza provvedimentale e dall’analisi dei relativi margini di discrezionalità riservati all’ente proprietario (come ha erroneamente fatto il T.A.R.). 6.6- Occorre, in proposito, avvertire che i margini del sindacato di legittimità della controversa classificazione risultano piuttosto ristretti, sia in quanto la disciplina normativa di riferimento si rivela priva di parametri di riferimento precisi ed univoci: il decreto del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti in data 5 novembre 2001, recante norme funzionali e geometriche per la costruzione delle strade, riporta una serie di caratteristiche costitutive prive della necessaria puntualità (diversi elementi strutturali vengono indicati con riferimento alle dimensioni minime e massime e risultano, in parte, coincidenti tra le strade urbane di quartiere e quelle di scorrimento) e le definizioni contenute nel codice della strada risultano carenti ed incomplete, in quanto riferite solo ad alcuni aspetti delle strade, sia in quanto l’individuazione degli ulteriori caratteri costituivi delle strade risulta rimessa alla potestà regolamentare dei Comuni, che la esercitano proprio con il regolamento viario e con il conseguente piano urbano del traffico. 6.7- Sulla base di tali premesse, si rileva che, anche prescindendo dalla controversa questione della rituale impugnazione della delibera approvativa del PUT (che si rivela, a ben vedere, irricevibile per tardività), non consta che il Comune di Milano abbia scorrettamente esercitato la sua potestà valutativa tecnico-discrezionale (chè di questo si tratta, quando si verte sulla legittimità della catalogazione di una strada) e risulta, anzi, che la contestata classificazione è stata deliberata in coerenza con le prescrizioni contenute nella direttiva ministeriale del 12 aprile 1995 e nel decreto ministeriale in data 5 novembre 2001, nei limiti in cui risultano utilizzabili nel presente giudizio, e con il presupposto regolamento viario. A ben vedere, infatti, la strada in questione, per come progettata, risulta priva di banchine pavimentate (previste dall’art.2 d.lgs. n.285/1992 come uno dei caratteri essenziali delle strade di scorrimento), presenta un limite massimo di velocità di 50 km/h (evidentemente significativo della sua destinazione a flussi di traffico veicolare più contenuti di quelli propri delle strade di scorrimento, anche tenuto conto che il PUT di Milano contempla, per queste ultime, un limite massimo di 70 km/h) e risulta vietata agli automezzi superiori a 35 q. (con ulteriore riscontro della sua finalizzazione ad una viabilità locale, diversa da quella tipica delle arterie di scorrimento). 6.8- Tenuto, pertanto, conto che gli altri elementi strutturali non risultano decisivi della natura della strada (rivelandosi, per lo più, coincidenti o sovrapponibili, secondo la stessa normativa regolamentare di riferimento) e che la valutazione concludente di quest’ultima compete all’attività pianificatoria e classificatoria del Comune, connotata, come già rilevato, da un ampio spazio di discrezionalità tecnica, deve concludersi per la correttezza della catalogazione dell’opera viaria in questione come “strada interquartiere” e, quindi, per la sua estraneità al novero delle infrastrutture i cui progetti devono essere preceduti dalla valutazione di impatto ambientale. Con ulteriore argomentazione, riconosciuta fondata dal T.A.R., gli originari ricorrenti hanno denunciato l’illegittimità delle delibere impugnate anche in quanto riferite ad un’opera inserita nel più ampio progetto di realizzazione di una strada lunga 11 km (denominata “strada interquartiere nord”) e, come tale, sicuramente soggetta alla procedura di v.i.a. (in quanto compresa tra quelle elencate nell’allegato I della citata direttiva comunitaria). Gli appellanti criticano la correttezza della valutazione compiuta dai primi giudici in merito all’effettiva lunghezza della strada, sostenendo la mancanza di qualsiasi provvedimento comunale che autorizzi la conclusione che l’opera in questione costituisce un limitato segmento di un’unitaria arteria di collegamento lunga oltre 10 km e già progettata dal Comune. 7.1- L’assunto è fondato. 7.2- Gli elementi allegati dagli originari ricorrenti a dimostrazione della programmazione della “strada interquartiere nord”, del suo carattere unitario e dell’intento elusivo sotteso alla sua realizzazione frazionata si rivelano, infatti, del tutto insufficienti ed inidonei a documentare, con il dovuto rigore, che la strada in contestazione si inserisce nel progetto di una via di collegamento delle dimensioni riferite. 7.3- La mera ideazione di quella strada nelle linee guida di un piano di riqualificazione urbana elaborato da un professionista privato all’uopo incaricato, l’approvazione del progetto di un ulteriore tratto della presunta arteria di collegamento e la sua previsione nel piano territoriale di coordinamento provinciale non valgono, in particolare, ad attestare l’avvenuta deliberazione da parte del Comune della realizzazione di quell’opera, che, sola, potrebbe consentire l’accertamento del carattere unitario dell’opera e, quindi, della soggezione del relativo progetto alla procedura di v.i.a.. 7.4- Anche sotto tale profilo, quindi, va esclusa la necessità della valutazione delle implicazioni ambientali dell’opera in questione e, di conseguenza, della sussistenza della violazione riscontrata in prima istanza. 8.- Alle considerazioni che precedono conseguono, in definitiva, l’accoglimento degli appelli e, in riforma della decisione appellata, la reiezione dei ricorsi di primo grado. 9.- La complessità delle questioni controverse giustifica la compensazione tra tutte le parti delle spese processuali di entrambi i gradi di giudizio. P.Q.M. Riunisce i ricorsi indicati in epigrafe, li accoglie e, in riforma della decisione appellata, respinge il ricorso di primo grado; dichiara compensate le spese di entrambi i gradi di giudizio. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 6 aprile 2004, dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale – Sezione Quarta – con la partecipazione dei signori: PAOLO SALVATORE – Presidente ANTONINO ANASTASI – Consigliere VITO POLI – Consigliere ANNA LEONI – Consigliere CARLO DEODATO – Consigliere est. L’ESTENSORE IL PRESIDENTE IL SEGRETARIO Il Dirigente Carlo Deodato Paolo Salvatore Giuseppe Testa Dott. Antonio Serrao DEPOSITATA IN SEGRETERIA Il 10/05/2004 (art. 55, L. 27.4.1982, 186) M A S S I M E 1) Valutazione di Impatto Ambientale – P.U.T. – Catalogazione di un’opera viaria quale “strada interquartierale” – Acquisizione della V.I.A. – Esclusione. Nell’ambito della redazione del Piano Urbano del Traffico, l’attività pianificatoria e classificatoria del Comune è connotata da un ampio spazio di discrezionalità tecnica, che rende legittima la previsione e la catalogazione di un’opera viaria quale “strada interquartierale” (contemplata dalla direttiva ministeriale del 12 aprile 1995), atteso che la classificazione delle strade operata dal d.lgs. n. 285/92 non può reputarsi tassativa. Detta catalogazione esclude l’ascrivibilità dell’opera in questione tra quelle che, ai sensi della direttiva comunitaria n.85/337, come modificata dalla direttiva 97/11/CE e del d.P.R. 12 aprile 1996 (emanato in esecuzione dell’art. 40, comma 1, della legge 22 febbraio 1994, n.146), esigono l’acquisizione della v.i.a. (“strade di scorrimento” in aree urbane a quattro o più corsie con lunghezza superiore a 1.500 metri o a 750 se ricadenti in aree naturali protette). Pres. Salvatore, Est. Deodato – Comune di Milano (Avv.ti Surano e Izzo) c. Mozzi (Avv.ti Marzano e Besosti) e altri riunito a AEM s.p.a (Avv.ti Ferrari e Manzi) c. Regione Lombardia (n.c.) e altri – riforma TAR Lombardia, Milano, Sez. II, n. 4513/2003 -CONSIGLIO DI STATO, Sez. IV – 10 maggio 20, n. 2883 Per ulteriori approfondimenti ed altre massime vedi il canale: Giurisprudenza

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