di Avv. Felice C. Besostri, Avv. Giuseppe Libutti |

Sulla questione dei vitalizi spettanti agli ex Senatori se ne sono dette di tutti i colori; molti si sono chiesti ed hanno sbandierato sulle prime pagine dei giornali i nomi di chi ha votato, all’interno del collegio giudicante per il ripristino del vitalizio, ma nessuno, rectius in pochi, si sono chiesti le ragioni di diritto che hanno portato a tale decisione.

L’atto che gli ex Parlamentari hanno impugnato è la deliberazione del Consiglio di Presidenza n. 6 approvata nella seduta del 16 ottobre 2018, con la quale si è provveduto alla “rideterminazione della misura degli assegni vitalizi e delle quote di assegno vitalizio dei trattamenti previdenziali pro rata nonché dei trattamenti di reversibilità, relativi agli anni di mandato svolti fino al 31 dicembre 2011”.

La circostanza che la decisione del taglio dei vitalizi sia stata presa con deliberazione del Consiglio di Presidenza e non con procedura di legge ordinaria, secondo quanto Statuito dalla Commissione Contenziosa, non comporta il radicarsi della giurisdizione civilistica ma, in ragione di due separate ordinanze della Corte di Cassazione a Sezioni Unite (Ord. 8.7.2019 nn. 18265 e 18266), la giurisdizione della Commissione contenziosa del Senato.

Dette pronunce del Supremo Tribunale statuiscono che “le controversie relative alle condizioni di attribuzione degli assegni vitalizi per gli ex parlamentari – istituto riconducibile alla normativa di ‹diritto singolare› che si riferisce al Parlamento e ai suoi membri a presidio della peculiare posizione di autonomia riconosciuta dagli artt. 64, comma 1, 66 e 68 Cost. – spettano alla cognizione degli organi di autodichia…”.

Risolto, quindi, almeno per il momento, il problema del giudice competente a decidere, si possono analizzare brevemente i principi di merito posti alla base della decisione.

Al riguardo, l’organo giudicante richiama le note (a molti addetti ai lavori, ma non a coloro che hanno adottato la delibera) Sentenze della Corte Costituzionale che stabiliscono il perimetro entro il quale sono legittimi gli interventi rimodulativi delle pensioni e precisamente le Sentenze n. 822 del 1988, n. 264 del 2012, n. 116 del 2013 e n. 108 del 2019.

I principi enunciati da dette sentenze sono posti alla base del sistema democratico e tra di essi vi è l’impossibilità di incidere retroattivamente su situazioni giuridiche consolidate.

In virtù di ciò, quindi, la Commissione contenziosa ha accolto parzialmente i ricorsi ed annullato quelle parti della deliberazione del Consiglio di presidenza del Senato che non hanno in considerazione i menzionati principi di diritto.

L’esecuzione del provvedimento è demandata all’amministrazione del Senato che dovrà provvedere alle correzioni ed integrazioni del provvedimento in esame.

Fin qui sono stati enunciati brevemente i principi di diritto presenti nel dispositivo della Sentenza, che sono principi ben noti all’interno del nostro ordinamento e non sono stati di certo introdotti per annullare la delibera in questione.

Probabilmente la fretta di dover approvare un provvedimento bandiera che parlasse alla pancia delle persone ha fatto sì che si radicasse l’autodichia e che si perdesse di vista il merito della questione e le garanzie costituzionali.

Chi di autodichia ferisce di autodichia perisce.