di Felice Besostri |

Lettera al Corriere della Sera |

L’altro giorno ho ricevuto una sentenza della Corte d’Appello di Milano, sez. IV Civile del 13 gennaio 2021, per un giudizio di impugnazione iscritto nei ruoli con il numero 4796/2018, di conferma di un’ordinanza del Tribunale di Milano, sez. I civile dell’ 8 maggio 2018 in un giudizio del 2013.

Le date sono importanti perché nel 2013 non era stata depositata la «storica» sentenza della Corte Cost. n. 2/2014 del 13/01/2014, pubblicata nella G.U. il 15/01/2014, S.S. n. 3.

La conferma della decisione di 1° grado, il totale della condanna dei 9 ricorrenti ammonta a 23.081,25 euro, richiesti dall’Avvocatura dello Stato, come prassi, ad uno solo di loro, dl norma il primo, e cioè il sottoscritto. La sentenza conferma un orientamento della magistratura milanese, che aveva già dichiarato infondati i ricorsi contro il Porcellum e contro Italikum, poi dichiarati incostituzionali dalla Consulta con le sentenze n. 1/2014 e n. 35/2017, avendole ritenute leggi lesive di un diritto costituzionale fondamentale.

Ovviamente farò ricorso in Cassazione, ma quello che mi indigna è un passo della sentenza, per cui i ricorrenti avrebbero fatto valere un diritto privato, per quanto comune ad altri cittadini. Questo significa ignorare l’art. 54 Cost. per cui «Tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la Costituzione e le leggi»; evidentemente basta che i cittadini non disturbino i magistrati milanesi, come abituali promotori di ricorsi.