Croissant fragranti, maritozzi romaneschi e persino un caffè espresso niente male. Per siglare la pace con i comitati del No al referendum costituzionale — dopo le polemiche scatenate dieci giorni fa dal mezzo endorsement a favore del Sì — l’ambasciatore americano John Phillips ha invitato a colazione i «campioni» dell’opposizione al ddl Boschi. Una chiacchierata di cento minuti e, alla fine, la variegata delegazione ha lasciato Villa Taverna soddisfatta per l’esito «molto positivo» dell’incontro. «Le mie dichiarazioni sono state amplificate ed esagerate dalla stampa» ha esordito Phillips, determinato a chiudere il caso diplomatico. «La vittoria del Sì sarebbe una speranza per l’Italia, mentre il No sarebbe un passo indietro» aveva scandito l’ambasciatore il 13 settembre, scatenando le reazioni di tutti i partiti contrari alla nuova Costituzione.
«Una roba da non credere, per chi ci prendono?», si era infuriato Pier Luigi Bersani. Ecco allora che, alle 10.30 in punto, le porte di Villa Taverna si aprono per i rappresentanti di tre comitati di opposizione al governo. Per i «professori» arrivano Alessandro Pace, Massimo Villone e gli avvocati Felice Besostri e Pietro Adami. Il Comitato popolare per il No ha accreditato Giuseppe Gargani ed ecco spuntare l’ex senatore Guido Calvi, che presiede i comitati fondati da Massimo D’Alema. Il presidente emerito della Corte costituzionale Antonio Baldassarre ha accettato di buon grado l’invito, mentre restano vuote le sedie di Gustavo Zagrebelsky, Stefano Rodotà e Michele Ainis.

Phillips si dice «molto felice» di ascoltare la campana del No e chiarisce il senso delle parole che tanto scompiglio avevano provocato: «Rappresentare gli interessi degli investitori americani in Italia rientra tra le mie competenze».
Qui l’ambasciatore smentisce ingerenze e intromissioni («Nessun endorsement, i problemi italiani devono essere risolti dagli elettori»), ma non cambia di molto la sostanza dei suoi ragionamenti: «Se è vero che la riforma porterebbe stabilità politica, di certo gli investitori stranieri ne beneficerebbero…». Lo scambio di opinioni si fa vivace. L’avvocato Besostri, che scherzando lamenterà di aver «assaggiato solo tre tipi di torta», ricorda a Phillips i punti dolenti della riforma. E invita l’ambasciatore a notare come l’articolo go della Costituzione non sia stato modificato: «Come si fa a dire che i poteri del premier non sono stati toccati?

Alla maggioranza di governo basterà trovare u voti in più per poter mettere in stato di accusa il presidente della Repubblica». Il padrone di casa tace perplesso, poi domanda se una modifica dell’Italicum muterebbe il loro atteggiamento. Gli ospiti scuotono le teste brizzolate e rispondono pressoché in coro: «No. Il problema è la riforma in sé, non il combinato disposto con la legge elettorale». L’incontro si chiude alle 12.10 come da programma, con un duetto tra l’ambasciatore e Villone, che ha studiato ad Harvard e parla l’inglese ancor meglio dell’italiano. «Piuttosto che un cattivo Senato, sarebbe stato meglio abolirlo», sentenzia l’ex senatore. E qui l’ambasciatore la butta sulle origini friulane della sua fami-glia: «I Phillips si chiamavano Filippi…». Lunedì si replica. Ma questa volta attorno al tavolo, nel bel salone con vista sul giardino, ci saranno i rappresentanti del Sì.

Monica Guerzoni

Fonte: Corriere della Sera

quesito_ref