di Felice C. Besostri  |

Nel merito e proceduralmente la soluzione escogitata per ovviare alla mancata proclamazione di un seggio senatoriale nella Regione Autonoma Sicilia nelle elezioni del 4 marzo 2018 è quella più pericolosa come precedente e quella più lesiva di norme e principi costituzionali a cominciare dallo stesso art. 66 Cost., fondamento dell’autodichia. L’autodichia ex articolo 66 si viola sia arrogandosi competenze delle Camere, sia attribuendo alle Camere competenze dalla Costituzione alle stesse mai attribuite e che le Camere hanno regolamentato in autonomia ed indipendenza da ogni altro potere. Il letterale tenore dell’art. 66 Cost. non lascia adito ad alcun dubbio:” Ciascuna Camera giudica dei titoli di ammissione dei suoi componenti …”.

Senza un titolo di ammissione, delibato da altro organo previsto da una legge attesa la riserva di legge formale e procedurale in materia elettorale ex artt. 48 e 72 c. 1 e 4 Cost., non c’è competenza della Camera di appartenenza, poiché senza la proclamazione non è oggettivamente e soggettivamente un membro presunto della stessa, a titolo provvisorio, perché nelle forme del regolamento è possibile fare ricorso e per tutti è prevista la convalida. L’importanza di quest’ultima è stata molto diminuita dalla sentenza n. 1/2014 di annullamento parziale della legge elettorale n. 270/2005, e quindi di converso è stata valorizzata la proclamazione, impeditiva di effetto ad una dichiarazione di incostituzionalità della norma che l’aveva consentita[1]. Qui non si versa nella competenza giurisdizionale alla verifica dei titoli dei soggetti già proclamati nel seggio, ma nella competenza para-amministrativa al calcolo dei risultati con il conseguente accertamento costitutivo in ordine alla titolarità del seggio mediante la proclamazione del suo titolare. E’ ben vero che l’estensione impropria dell’autodichia alle operazioni elettorali preparatorie è stata avallata dalla magistratura amministrativa (Cons St.,IV, n.1053/2008, pres. Trotta) ed ordinaria ( SS.UU., n. 9151/2008, pres. Carbone), ma è pacifico dopo l’art. 44 c. 2 lett. d) legge n.69/2009 (scientemente non attuato dall’esecutivo, malgrado un testo assentito da una Commissione speciale del Consiglio di Stato), che si sia trattata di una forzatura dell’art. 66 Cost., dettata dal connubio politica/ vertici del potere giudiziario.

La violazione della Costituzione è stata molteplice perché riguarda sia l’art 57 c.1 della base regionale dell’elezione del Senato, che il c.4 (la Regione Umbria, già beneficiata dal c. 3 sul numero minimo di 7 senatori per regione, ne ha 8), che l’art. 48 sul voto personale[2] (la candidata umbra non era stata apprezzata dagli elettori umbri e farà la senatrice con i voti di elettori siculi, che ignoravano persino la sua esistenza), ma soprattutto dell’art. 66 perché  nella relazione  della Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari (Doc. XVI n. 2 del 23 luglio 2019) si legge “In ogni caso, l’Ufficio elettorale regionale rileva che spetta a questa Giunta la competenza esclusiva in relazione alla risoluzione delle controversie riguardanti l’assegnazione dei seggi rimasti vacanti”, un’affermazione che lascia intendere che la competenza della Giunta sarebbe stata individuata dall’Ufficio Elettorale Regionale.

La decisione dell’Ufficio elettorale di non proclamare rientra nelle sue competenze, ma non quello di indicare a quale organo spetti, perché in quel momento perde ogni competenza: la sua speciale competenza, rispetto agli uffici elettorali della Camera di riferimento nella proclamazione, esiste soltanto in una elezione “su base regionale”  e l’applicazione in via sussidiaria delle norme del Testo unico sull’elezione della Camera dei Deputati non compete in ogni caso all’Ufficio Elettorale Regionale.

In via del tutto subordinata, anche senza ammettere o concedere qualsivoglia competenza dell’UER, il rinvio al Senato non può che essere all’assemblea plenaria, anche perché non si può sottrarre ad ogni senatore la possibilità di esprimersi sulla composizione dell’organo di appartenenza e, comunque, di assumersi la responsabilità di essere fedele alla Costituzione o di violarla. Se la competenza fosse stata della Giunta delle elezioni e delle immunità, avrebbe dovuto esservene menzione nel Regolamento previsto dall’art.64 Cost. e la relativa procedura essere normata nel REGOLAMENTO PARLAMENTARE PER LA VERIFICA DEI POTERI, sempre che vi sia un rinvio a tali fonti normative nella legge elettorale perché sempre nelle Linee Guida del Codice di Buona Condotta in Materia Elettorale è chiaramente detto: “2.     Livelli normativi e stabilità del diritto elettorale

  1. Ad eccezione delle disposizioni tecniche e di dettaglio – che possono avere un carattere regolamentare – le norme del diritto elettorale devono essere almeno di rango legislativo.”

Una soluzione in autodichia richiedeva un’argomentazione di ben altro spessore, che quella del difficile ma necessario bilanciamento tra “tre principi costituzionali distinti, ossia quello della salvaguardia del plenum del Senato (art. 57, secondo comma), quella attinente alla elezione su base regionale dello stesso (art. 57. primo comma) ed infine quello del rispetto della volontà popolare, che costituisce un corollario del principio democratico di cui all’art. 1 della Costituzione”. Intanto la Giunta si è dimenticata di altri articoli come del terzo e quarto comma dell’art.57 sotto un doppio profilo quale il rapporto tra popolazione e numero dei senatori, di cui l’Umbria aveva già beneficiato con il numero minimo di 7 senatori[3]. Il voto non è più uguale e personale (art. 48.2 Cost.), perché gli elettori umbri pesano di più di tutti gli altri, ma allo stesso tempo eleggono un senatore scelto non con i loro voti, ma grazie a quelli di elettori siciliani, e con lo slittamento dei seggi da una regione ad altra non ci si candida in condizioni di eguaglianza in violazione dell’art. 51, primo comma della Costituzione. Al plenum del Senato, ma in difformità dalla Costituzione e della rappresentanza della Sicilia, si è sacrificato tutto e soprattutto la volontà popolare, per rispettarla c’era solo un modo: un’elezione suppletiva!!!

La legge non la prevede, ma l’elezione di un umbro al posto di un siculo non solo non era previsto dalla legge, ma vietato dalla Costituzione. Se si fosse voluto dare una veste decente allora sarebbe stato meglio, quantomeno formalmente, rispettare la procedura della verifica poteri, piuttosto che inventarsi una procedura e una competenza. Dalla relazione della Giunta si apprende (§2 I RICORSI ELETTORALI p. 4 Doc.XVI n.2), che un cittadino elettore del collegio plurinominale Lazio 3 aveva individuato/indovinato la soluzione con largo anticipo rispetto alla Giunta. Se il ricorso fosse stato dichiarato ammissibile, si poteva ammettere il principio, ma non accogliere le conclusioni, perché, rifatti i calcoli (da chi?) il miglior quoziente non utilizzato non era quello di Lazio 3, ma dell’Umbria.

La legge n. 165/2019 paga il prezzo di essere stata adottata a meno di un anno dalle elezioni, ma questa è una cattiva abitudine, senza un largo dibattito, anzi comprimendolo con ben 8 voti di fiducia (3 alla Camera e 5 al Senato) con buona pace dell’art. 72 c. 4 Cost. e senza tener conto delle critiche emerse in sede di audizioni. Le furbizie, per aggirare la Costituzione e le sentenze della Corte costituzionale in materia elettorale, si pagano. Dopo la sentenza n. 1/2014 era difficile/problematico avere un premio di maggioranza e liste bloccate, da qui la scelta della legge n. 52/2015, anch’essa approvata in violazione dell’art. 72 c. 4 Cost. alla sola Camera, di puntare sul premio di maggioranza nobilitato dal ballottaggio e di sbloccare parzialmente, molto parzialmente, le liste. Il nuovo annullamento ha imposto di rinunciare formalmente al premio di maggioranza ma di blindare le liste. Una furbizia perché con il voto congiunto e i 232 collegi uninominali la lista o coalizione di maggioranza relativa (che è una minoranza assoluta) sul complesso del territorio nazionale sarebbe stata premiata: secondo attendibili simulazioni la lista o coalizione che avesse raggiunto il 37,5/38% dei voti validi poteva aspirare alla maggioranza assoluta nella Camera dei deputati. Pluri-candidature e liste corte anzi cortissime, massimo 4 candidati, assicuravano infine che i nominati sarebbero stati eletti. Nella legge c’erano altre amenità, come lo speciale trattamento degli elettori trentin-altoatesini anche alla Camera dei Deputati, non richiesta dagli accordi De Gasperi-Gruber, ma anche questa è una costante, nella legge per le europee c’è una norma ad hoc per il capolista della SVP, che consente di prevederne l’elezione prima delle votazioni, quale che sia la sorte della lista nazionale collegata. Il premio di maggioranza nascosto non ha funzionato perché al Nord ha vinto la coalizione di centro-destra e al Sud la lista del M5S e la coalizione del PD si è assicurata 28 seggi uninominali, il 12%. Le pluri-candidature e le liste corte hanno rispettato le scelte dei partiti, ma non la volontà degli elettori, come risulta evidente dall’unico caso senatoriale.

Come rimediare? La decisione non è impugnabile davanti a nessuna giurisdizione domestica. La legge elettorale è stata approvata in violazione del Codice di Buona Condotta in Materia Elettorale e dell’art. 72 c. 4 Cost. , su quest’ultimo punto pendono 3 ricorsi a Messina, a Cosenza e a Roma, che teoricamente potrebbero approdare in Corte Costituzionale, ma non avrebbero effetto sulle elezioni del 2018.

La Corte europea dei diritti dell’uomo, sentenza 6 novembre 2012 (Ekoglasnost contro Bulgaria), appl. n. 30386/05, ha dichiarato che l’articolo 3 del Protocollo addizionale alla Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle liberà fondamentali (CEDU) costituisce parametro per valutare il giusto equilibrio tra le esigenze della collettività e le situazioni giuridiche soggettive incise da modifiche apportate alla legge elettorale; in particolare, come la Corte europea dei diritti dell’uomo già aveva ritenuto con la sentenza 11 gennaio 2007 (Russian conservative party of entrepreneurs and others v. Russia), ciò avviene sulla scorta del Codice di buona condotta elettorale del Consiglio d’Europa. Tale testo, elaborato dalla Commissione per la Democrazia attraverso il Diritto del Consiglio d’Europa (Commissione Venezia) adottato nel corso della 52ª sessione (Venezia, 18-19 ottobre 2002), è stato poi approvato dal Consiglio d’Europa (CDL-AD(2002)023rev) il 23 maggio 2003. Ne fanno parte (come parere n° 190/2002) le LINEE GUIDA ed il RAPPORTO ESPLICATIVO nei quali, tra l’altro, si legge: «la creazione di commissioni elettorali indipendenti ed imparziali, partendo dal livello nazionale fino al livello di seggio, è indispensabile per garantire delle elezioni regolari o almeno affinché non pesino sul processo elettorale, pesanti sospetti di irregolarità (§ 71). In questo caso la proclamazione è avvenuta direttamente da parte d’organi di composizione politica e senza un’istruttoria tecnica. Per la Camera dei Deputati in caso di traslazione di seggi da circoscrizione ad altra interviene l’Ufficio Elettorale Centrale presso la Cassazione, in questa procedura non coinvolto in quanto la proclamazione per il Senato spetta all’Ufficio Elettorale Regionale proprio in virtù dell’art. 57 Cost., che è stato violato.

Nel resoconto della seduta si dà atto dell’intenzione della Presidente del Senato di informare la Corte Costituzionale, che non può, però,  inventarsi una procedura di esame, solo perché il Senato si è inventato una competenza ed una procedura, un’espansione estrema dell’autodichia. L’autodichia si è dotata di un organo di controllo giurisdizionale, ma non pare che vi sia competenza in un caso del genere, che s’ è concluso con la proclamazione di un senatore, anzi di una senatrice. La decisione è stata presa a scrutinio palese in plenaria, ogni senatore ha potuto quindi esprimersi e il popolo sovrano potrà apprezzare le ragioni degli uni e degli altri: questo è l’unico fatto apprezzabile della vicenda e si deve rendere merito alla Presidenza ed ai gruppi parlamentari di non aver neppure tentato di far decidere tutto in Giunta delle Elezioni. Va sottolineato anche che la maggioranza parlamentare che ha espresso il governo in carica e deciso per l’inedita procedura di proclamazione è la prima maggioranza che gode della doppia maggioranza di seggi nei due rami del Parlamento e di voti validi espressi dagli elettori dopo quella uscente di pentapartito, che si è presentata alle elezioni del 1992. Alla Camera dei Deputati Lega e M5S hanno totalizzato 16.430.753 voti validi su 32.841.025, cioè il 50, 03%   e 350 voti alla prima fiducia alla Camera, pari al 55,55% dei seggi, mentre vigente il Porcellum la coalizione con a capo Berlusconi più votata (partecipazione superiore al 80%[4]) vinse con il  46,81% e 340 seggi.                 .

Il sistema politico non si è assestato malgrado le leggi maggioritarie ed incentivanti un bipolarismo di facciata. La maggioranza di governo ha il consenso della maggioranza degli elettori, ma a rapporti di forza invertiti dopo le europee del 26 maggio scorso. La tenuta della maggioranza dipende dall’assenza di alternative, più che dal contratto di Governo e dalla sua realizzabilità nella situazione economica e finanziaria. La carta della maggioranza parlamentare e popolare può essere giocata per una politica di riforme o per imporre gli accordi tra i partner di governo con il minor rischio di un controllo di costituzionalità, quindi privilegiando gli strumenti dell’autodichia, l’area ancora sottratta al controllo di costituzionalità a sessant’anni dalla sentenza n. 9 del 1959, fatto già criticato a quasi quarant’anni di distanza (Dal Canto, Corte costituzionale e autonomia del Parlamento, in Foro italiano, 1997, parte I, p. 371) .

Questa mancata proclamazione di un senatore M5S è stata la conseguenza di scelte sbagliate della legge, come le liste bloccate, o di mancate previsioni, come l’elezione suppletiva ma anche all’abuso di pluri-candidature. Il M5S in materia elettorale è stato un sicuro critico delle leggi elettorali di regime, in prima linea contro la legge n. 52/2015, tra i gruppi parlamentari quello che ha dato il maggior sostegno alla strategia degli avvocati antitalikum e che si è opposto ai voti di fiducia sulle leggi elettorali ed anche in seguito protagonista insieme con pochi altri[5] nei ricorsi per allargare i soggetti promotori di ricorsi per confitto di attribuzione tra poteri dello Stato, tra i quali, si spera più prima che poi dovrà essere riconosciuto il “corpo elettorale[6], espressione del popolo, cui appartiene la sovranità e che la esercita nelle forme proprie  di un democrazia rappresentativa con forma di governo parlamentare. Il ricorso CAPS n. 8/2017 è stato dichiarato inammissibile con Ordinanza n. 181/2018, come i precedenti nn. 6 e 7 del 2017, ma grazie alle motivazioni sono state tappe di un percorso prefigurato da un’altra Ordinanza di inammissibilità la n. 17/2019, La cui conclusione, quando sono in gioco, come nel caso della proclamazione della senatrice umbra, principi e valori costituzionali fondamentali, è l’ammissibilità di un ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato di singoli parlamentari, che rappresentando la Nazione ex art. 67 Cost., rappresentano anche il popolo, cui appartiene la sovranità ex art. 1 c. 2 Cost.

Qui si scontrano due concezioni di fondo in merito al popolo, quella della Costituzione, per la quale la sovranità si esercita “nelle forme e nei limiti della Costituzione” e quella del popolo come corpo mistico, con legami di sangue e territorio (Blut und Boden, secondo l’originaria espressione germanica [aggettivo non scelto a caso rispetto a “tedesca”]), che quando si esprime a maggioranza vuoi direttamente che attraverso i suoi rappresentanti, non conosce limiti, perché volontà popolare. A mali estremi, estremi rimedi. Per rimediare al caso della mancata proclamazione del seggio siciliano, sottratto al M5S, ma del quale non ci si sarebbe occupati, se il M5S fosse stato all’opposizione e il margine della maggioranza non fosse ridotto nel Senato della Repubblica, come, infatti è avvenuto per i seggi “fantasma” della Camera dei Deputati nella XIV legislatura[7], la via maestra da percorrere era la revisione della legge elettorale eliminando le contraddizioni anche soltanto potenziali con il dettato costituzionale, perché   se  “le leggi elettorali sono costituzionalmente necessarie[8] esse debbono “essere necessariamente costituzionali“.

Invece la legge n. 165/2017 è diventata la legge elettorale per eccellenza con la legge n. 51/2019, di accompagnamento della drastica riduzione dei Parlamentari, cui manca un solo passaggio per diventare norma costituzionale. I difetti della legge n. 165/2017 si amplificano con la riduzione del numero dei parlamentari e l’aumentare dei casi di mancata proclamazione. Quando si tratta di principi[9] il criterio numerico è irrilevante, ma appunto per questo bisogna impedire che si crei il precedente. La legge n. 165/2017 è oggetto di ricorsi tesi ad accertare il diritto di elettori di votare secondo Costituzione, mentre la legge n. 51/2019 non ancora, quindi, tra il novero degli strumenti di tutela della Costituzione vi è anche il ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato promosso da senatori assenti o dissenzienti. Teoricamente dalla proclamazione decorrono 20 giorni per ricorrere alla Giunta delle Elezioni e delle Immunità, cioè all’organo che ha inventato la soluzione. Un tentativo che spetta ad elettori siciliani del collegio rimasti senza rappresentanza o a elettori umbri, che non avevano votato la candidata senatrice, ovvero da chi volendo ricorrere alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, volesse dimostrare d’aver esaurito tutti i rimedi interni.

Note


[1] In effetti non è dato sapere, se in presenza di formali ricorsi ex art. 9 REGOLAMENTO GIUNTA DELLE ELEZIONI DELLA CAMERA contro la proclamazione degli eletti non ancora convalidati alla Camera dei Deputati e non ancora decisi alla data di pubblicazione in G.U. 15/01/2014 SS n. 3 della sentenza n. 1/2014 . quale sarebbe stata la proposta della Giunta e la decisione finale dell’Assemblea. I precedenti non lasciano ben sperare: surroghe e sostituzioni, per esempio quelle fatte dopo le europee 2014, sono state fatte ignorando la sentenza n. 1/2014. L’arroganza delle maggioranze parlamentari è tale per cui avrebbero ben potuto decidere in contrasto con la sentenza della Consulta e la proposta della Giunta che si fosse conformata alla sentenza, forti del fatto che la convalida è atto non impugnabile. Il difetto sta nel manico, nella previsione di un giudizio politico e non in diritto, come solo un tribunale, al limite la stessa Corte costituzionale, come in Germania, può dare su una decisione della Camera. Non a caso il Codice di Buona Condotta in Materia Elettorale, Parere n° 190/2002 della COMMISSIONE EUROPEA PER LA DEMOCRAZIA ATTRAVERSO IL DIRITTO (COMMISSIONE DI VENEZIA), nelle Linee Guida raccomandi che “In tutti i casi, un ricorso davanti ad un tribunale deve essere possibile in ultima istanza.” (II Condizioni per l’attuazione dei principi, 3 Le garanzie procedurali, 3.3 L’esistenza di un sistema di ricorso efficace lett.a)

[2] Resto di quest’opinione, malgrado il diverso avviso della Corte costituzionale espresso nella sent. n. 44/1961 “sulla base dell’«interesse prevalente», della costituzione di un organo rappresentativo «completo e funzionante»”( cit. da Scagliarini-Trucco, La nuova legge elettorale alla prova dei fatti, RASSEGNA PARLAMENTARE. Fasc. 2(2018), pp. 291-317. Il Tribunale Costituzionale Federale tedesco sulla base dell’art.38 GG di votazione diretta (unmittelbar) ha dato dell’aggettivo “diretta” un’interpretazione  più rigorosa di quella della nostra Corte dell’aggettivo “ personale” almeno fino alla sentenza n.1/2014, che cita in motivazione la sentenza BVerfG 3/11 del 25 luglio 2012 in tema  di “ Mandati aggiuntivi-Überhangsmandaten”, che come la sentenza del 3 luglio 2008 (BVerfGE 121, 266), afferma il principio che nessun candidato può essere favorito o sfavorito dal comportamento di elettori di circoscrizione diversa di quella di sua  candidatura.

[3] Il censimento generale della popolazione italiana del 2011 ha accertato 59.433.744 residenti dei quali 884.248 in Umbria. I senatori elettivi, esclusa Val d’Aosta, sono 308 con una media nazionale di 192.555 ab/sen.  In Umbria con 7 senatori bastano 126.324  ab/sen., assegnandole l’ottavo, il rapporto scende ancora a 110.534 ab/sen.. In Sicilia nel 2011 si sono censiti 5.002.904 abitanti che rapportati a 25 senatori danno un rapporto 200.116 ab/sen, superiore alla media nazionale, in conclusione un elettore umbro vale come 1,8 elettore siculo, per semplificare vale praticamente il doppio o il siciliano a parti inverse la metà: un passo ulteriore verso l’autonomia differenziata. La Giunta, anzi la sua maggioranza non ci ha pensato e l’aula non vi ha posto rimedio.

[4]All’ultima elezione proporzionale del 1992, nel 1994 si votò con il Mattarellum, i votanti 41.479.764, 87,35% (+ 15% rispetto al 2018) diedero 20.892.571 , il  53,24%  dei voti validi e 358 seggi alla maggioranza uscente di penta-partito DC, PSI, PRI, PLI e PSDI, ma quella legislatura durò 2 anni come la successiva, perché il sistema politico della Prima Repubblica era crollato e i suoi protagonisti in via di estinzione. In 26 anni si son persi 7 milioni e mezzo di votanti, una massa di voti equivalente a quella della coalizione di centro-sinistra nel 2018

[5] E’ giusto ricordare i deputati Stefano Fassina, Daniele Farina e Adriana Galgano.

[6]https://www.unioviedo.es/constitucional/docen/derecho/dc1/plan2002/general/casos/partidospoliticosyregimenelectoral/L11ESQ3.pdf per il concetto di corpo elettorale come organo costituzionale. Cfr. altresì Trucco L., Democrazie Elettorali e Stato Costituzionale, Giappichelli, Torino 2011, p. 99 e nota 446.

[7] Problema parzialmente e tardivamente (la XIV legislatura è durata dal 30 maggio 2001 al 27 aprile 2006) risolto con una legge di ”interpretazione autentica”, la legge 4 aprile 2005, n. 47, “Modifiche agli articoli 83, 84 e 86 del testo unico delle leggi recanti norme per la elezione della Camera dei deputati, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 marzo 1957, n. 361, in materia di attribuzione di seggi nell’elezione della Camera dei deputati”(Scagliarini-Trucco, op. cit., nota 31 a p.306).

[8] Corte cost. sentenze n. 13/2012 e 1/2014. Sull’argomento cfr. P. VIPIANA, La legge elettorale come legge costituzionalmente necessaria, n. 1/2019. Disponibile in: http://www.osservatoriosullefonti.it/saggi/1371

[9] Il Presidente Ciampi si oppose vittoriosamente ad un premio di maggioranza su scala nazionale nella legge n. 270/2005 anche al Senato, proprio argomentando dall’art. 57 c. 1 Cost. che il Senato  “è eletto a base regionale”.