di Felice Besostri |

Caro Andrea,

prima di diventare l’Esimio Direttore,

ho letto decine di lettere di felicitazioni per la tua nomina democratica a direttore e, pertanto non mi sono sentito in colpa di non essere stato tra i primi. Il voto dovrebbe essere inscindibile dalla scelta democratica della sinistra, che è pratica permanente o non è nulla. Nei miei primi anni nel PSI a partire  dal 1961, era il costume abituale non solo per eleggere i delegati ai congressi di tutti i livelli, ma anche per eleggere gli organi a voto segreto. Era una scelta, ma anche una necessità per convincere chi la pensava diversamente, che maggioranza e minoranza erano soggetti intercambiabili e politicamente provvisori.

Ce ne siamo dimenticati, per praticare un consenso di facciata o celebrare l’ennesima chiassosa scissione o l’allontanamento silenzioso. Le liste bloccate non le ha inventate il Porcellum.  

Avevo fatto il passo di iscrivermi ad un partito in seguito al luglio ’60, per i moti di Genova e i morti di Reggio Emilia. Una rivolta di popolo spontanea in memoria e in onore della Costituzione, che aveva riscattato la Patria venduta allo straniero dalla Repubblica Sociale di Salò.

A quel tempo esistevano ancora, nel linguaggio corrente, i social-comunisti, benché dal 1953 presentassero liste autonome, con l’eccezione, al Senato, della Regione Trentino-Alto Adige e delle regioni meno popolate. L’ultima candidatura unitaria, sempre al Senato, è del 1958 in Sardegna. Scelsi il PSI per un’esperienza personale di tredicenne, studente di tedesco in Austria a contatto con i coetanei esuli in fuga dalla repressione (nel linguaggio contemporaneo liquidabili come anodini “effetti collaterali”) della Rivoluzione ungherese o fatti d’Ungheria, espressione della classica langue de bois di una sinistra dogmatica.

Solo dopo molti anni ho saputo che pochi avevano visto giusto dal filosofo Lukásc al redattore dell’Avanti! Fulvio Papi, che filosofo sarebbe diventato, ad Antonio Giolitti. Budapest ha anticipato di 12 anni un altro evento la Primavera di Praga del 1968, che aprì una riflessine più ampia nella sinistra sul socialismo realmente esistente o real existierender Sozialismus, da cui è nato il Manifesto.

Quello che c’è, è il solo possibile, anche se idealmente deprimente: bisogna farsene una ragione. Eppure nell’attesa del compimento del mio 80° anno di vita, sono sempre più convinto che aver sostituito con convinzione o rassegnazione il Principio di realtà al Prinzip Hoffnung di blochiana memoria sia stato l’errore principale. E’ stata una scelta individuale e collettiva, che, anche da semplici testimoni o spettatori, ci ha reso complici del degrado, più che crisi, della sinistra in Italia e in Europa, per non parlare delle involuzioni di lotte di liberazione una volta giunta al potere: un nome per tutti Frente Sandinista de Liberación Nacional.

Non è vero, che la sinistra non c’è più, ce ne sono migliaia e sono emerse anche in questa occasione del cambio di direzione del Manifesto, che ha riaperto i ricordi di protagonisti delle crisi del passato.

Non ho ricette, per mia fortuna non sono tra quelli convinti che ci sia una sola sinistra, giusta, ma anche possibile: la propria! Una constatazione che mi ha indotto a immaginare un sistema elettorale che ne consenta la rappresentanza nelle istituzioni, perché non basterebbe una legge rigorosamente proporzionale senza soglie di sbarramento: bisognerebbe assicurare un diritto di  tribuna  a tutti quelli che si presentano alle elezioni, specialmente in caso di elezioni con astensione superiore al 50%, come sarà sempre più frequente.

Il 2015 riassumibile in «Senza orizzonti, né classi sociali la ”gauche” muore» (1° aprile 2015), e la sua disperata constatazione nell’intervista allo Straniero del 2010 inclusa nel libro “Per un’altra globalizzazione” che con la crisi della sinistra socialdemocratica, comunista e “gauchista” «non esiste più la base politica, sociale e culturale della democrazia» l’unica speranza poteva venire dal movimento delle donne che rovesciasse l’ultima incarnazione del potere maschilista il neo-liberismo, ancora di successo malgrado i suoi fallimenti delle crisi cicliche ravvicinate e delle diseguaglianze crescenti, che paradossalmente favoriscono elettoralmente il  populismo sovranista di destra, più che la sinistra, che aveva la missione storica di ridurre/eliminare le diseguaglianze.

Nello stesso 2010 apparve la prima edizione francese di “Ma Gauche” di Edgar Morin, che nella ricomposizione dei filoni ideali storici socialista, comunista e libertario della sinistra indicava la possibilità di una rinascita. Il Manifesto, non rinunciando ad essere comunista, può e deve dare il suo contributo.  Con questo augurio Ti do il benvenuto.