Signor Presidente Signore e Signori Giudici,
Le questioni essenziali sono state scritte. In questo giudizio rappresento tre parti costituite ma la discussione può essere unica, come abbiamo richiesto in quanto le posizioni sono identiche e non in conflitto. La Sardegna e il Friuli-Venezia Giulia sono entrambe regioni Autonome a Statuto Speciale. Il sardo e il friulano sono due -e di gran lunga con il maggior numero di parlanti- delle 12 lingue minoritarie, storiche riconosciute e tutelate ai sensi dell’art. 6 Cost. dalla legge n. 482/1999, di cui ho avuto la ventura di essere stato il relatore nel Senato, quando fu definitivamente approvata. Il rapporto dell’Italia con le sue minoranze linguistiche, anche con quelle prive di uno stato nazionale estero di riferimento, non è stato facile, come dimostra il fatto che dei trattati internazionali conclusi nell’ambito del Consiglio d’Europa e sottoscritti dall’Italia, quali la Carta europea delle lingue regionali o minoritarie del 5 novembre 1992 e la Convenzione-quadro per la protezione delle minoranze nazionali del 1º febbraio 1995 soltanto la seconda sia stata ratificata con la legge 28 agosto 1997, n. 302, ma attraverso il richiamo operato dall’art.2 della 482/1999 all’ “attuazione dell’articolo 6 della Costituzione” e all’ “armonia con i principi generali stabiliti dagli organismi europei e internazionali” si deve ritenere che i principi di quelle convenzioni internazionali, anche quella formalmente non ratificata facciano parte del nostro ordinamento e rientrino tra i parametri da rispettare ai sensi dell’art. 117 c. 1 Cost. dalla nostra legislazione.

Di più si tratta della legge per la elezione dei membri del Parlamento Europeo spettanti all’Italia, non dei membri italiani del Parlamento europeo, una distinzione da tenere sempre presente. E’ pacifico che in questa elezione i cittadini UE, quale che sia la nazionalità posseduta, godano dell’elettorato attivo e passivo. Con il Trattato di Lisbona è radicalmente cambiata la definizione e la natura del Parlamento Europeo, che non rappresenta più ” la popolazione degli Stati membri” bensì i cittadini UE, che vi sono direttamente rappresentati. Nel diritto dell’UE il principio di eguaglianza è fondamentale, come nella nostra Costituzione, anche per la collocazione nel TUE al TITOLO I – DISPOSIZIONI COMUNI l’ art. 2 (rilevante anche per il problema delle minoranze ) al TITOLO II – DISPOSIZIONI RELATIVE AI PRINCIPI DEMOCRATICI, gli artt. 9 (uguaglianza dei cittadini) e 10, par. 1 (democrazia rappresentativa), 2 (rappresentanza diretta dei cittadini nel PE) e 3 (“Ogni cittadino ha il diritto di partecipare alla vita democratica dell’Unione”); nonché nella CARTA DEI DIRITTI FONDAMENTALI DELL’UE gli artt. 20 (uguaglianza) e 39 (Diritto di voto e di eleggibilità).

Per il nostro art. 3 Cost. il principio di eguaglianza non ammetterebbe distinzioni di lingua, ma se sono ammesse in base al principio di tutela di un gruppo particolare, che merita un trattamento differenziato, non si può ad avviso dei ricorrenti derogare all’art. 3 per alcune lingue diverse dall’italiano negando la deroga ad altri in presenza di un art. 6 Cost. e di una legge come la n.482/1999 che ne da attuazione e che le equipara. Non ci sono norme particolari, applicabili alla legge n. 18/1979 e s.m.i., dei trattati di pace tra l’Italia e la Francia per quanto concerne il francese della Val d’Aosta, o discendenti da una disposizione di attuazione dell’accordo De Gasperi Gruber per il tedesco dell’Alto Adige/Südtirol e men che meno dal trattato di Osimo per lo sloveno del Friuli –Venezia Giulia. Se ci fossero delle norme specifiche di diritto internazionale bilaterale esse sarebbero incompatibili con il Trattato di Lisbona, perché non vi è più quel margine di discrezionalità in capo allo Stato nazionale, in attesa della legge elettorale uniforme previsto dall’art. 223 par. 1 del TFUE, finché nel Parlamento Europeo erano rappresentate le popolazioni degli Stati membri. Nella legge elettorale europea non vi è neppure quel riferimento a minoranze di Regioni autonome, nel cui statuto speciale vi siano norme di tutela della minoranza linguistica, contenuto nelle vigenti norme elettorali per la Camera e il Senato. Norme della cui costituzionalità si dubita perché la non tutela dipende da un’omissione della Regione ovvero dal fatto di vivere in una regione a statuto ordinario.

A prescindere che ci sono Regioni ordinarie, che tutelano statutariamente le loro minoranze linguistiche come la Puglia e una Regione autonoma come il Friuli che tutela statutariamente lo sloveno, il friulano e le parlate germaniche di alcune valli alpine Altra caratteristica che accomuna il francese della Val d’Aosta, il tedesco della Provincia autonoma di Bolzano , il sardo e il friulano è di essere lingue minoritarie rapportate al territorio italiano nel suo complesso, ma maggioritarie in uno specifico ambito territoriale, regionale o di provincia autonoma.. I parlanti sardi e friulani sono superiori numericamente ai tedeschi alto atesini e alle altre 2 minoranze riconosciute, e nelle 12 minoranze riconosciute dalla legge n. 482/1999 le minoranze occitana e albanese sono equivalenti a quella slovena.
Il primo tentativo di impugnare profili di costituzionalità della legge europea, coinvolgendo anche le norme speciali delle tre minoranze linguistiche è stato in occasione delle elezioni europee del 2009 ed impugnando la proclamazione degli eletti, cioè ho seguito l’unica strada ammissibile secondo quanto suggerito dalla vostra sentenza n. 110/2015.

L’esito non è stato soddisfacente, ma questo è normale, ma dalla vicenda sono emersi problemi di carattere generale, che hanno motivato la scelta di adire la magistratura ordinaria in occasione, anzi in anticipo rispetto allo svolgimento ed in alcuni casi alla stessa convocazione dei comizi elettorali delle europee 2014. Le sei azioni per l’accertamento del diritto di votare in conformità della Costituzione e dei Trattai Europee sono state promosse:
DUE con atto di citazione, cioè sul modello dell’azione in quel momento solo radicata innanzi alla Corte di Cassazione, che aveva emesso l’ordinanza n. 12060 del 17 maggio 2013, che diede poi luogo alla “storica” sentenza n. 1/2014, che ho avuto l’occasione di discutere dinnanzi a questa Corte insieme agli avvocati Aldo Bozzi e Claudio Tani;
Altre QUATTRO, tra le quali quella che ha dato pretesto alla vostra sentenza n. 110/2015, invece con un rito sommario che non prevede istruttoria, il ricorso ordinarioi ex art. 702 bis c.p.c., non si trattava, infatti, di procedimenti speciali in materia elettorale in senso stretto e involgenti questioni di elettorato passivo. Una scelta nel complesso giusta dal momento che altri due sono sospesi per il giudizio incidentale di costituzionalità, chiamato alla Pubblica Udienza di oggi. Non posso riferirvi del quarto perché, dopo che il giudice si è riservato di emettere l’ordinanza nella primavera del 2015, si son perse le tracce.

Il primo promosso con atto di citazione era andato a sentenza ma la sostituzione del giudice ha comportato la rimessione in ruolo per la ri-precisazione delle conclusioni.
Nel ricorso proposto innanzi alla giustizia amministrativa vi erano questioni connesse alla soglia del 4%, alle norme speciali e allo slittamento dei seggi da una circoscrizione ad altra in applicazione dell’art. 21 c.1 n.3 della legge n. 18/1979, immutato nella sua formulazione malgrado l’inserimento di una soglia di accesso del 4% evocata al nuovo numero 1 bis e al numero 2 del citato articolo. Dal rispetto della soglia di accesso erano esentate le liste rappresentative delle tre minoranze linguistiche riconosciute e le sole al momento dell’approvazione della legge per l’elezione diretta dei parlamentari europee. Due di queste concentrate nella circoscrizione II Nord-Est. Di fatto la sola minoranza tedesca alto atesina/sudtirolese ha profittato sempre ed in pieno delle norme speciali, come si è accennato nella memoria per la Pubblica Udienza. Altra questione era quella dello slittamento dei seggi delle singole circoscrizioni, cui erano assegnati in relazione alla popolazione residente, in relazione ai votanti e non tenendo conto delle liste sotto soglia nazionale, quando anche l’avessero superata nella circoscrizione. Uno degli effetti della soglia d’accesso nazionale era che la Lega Nord, che allora era ancora per l’indipendenza della Padania ebbe due parlamentari in più, perché non era stata votata nelle Circoscrizioni IV Italia meridionale e V Italia insulare, che, invece, avevano votato in maniera consistente per liste rimaste sotto soglia a livello nazionale. In quell’occasione avevo fatto riferimento alla giurisprudenza del Bundesverfassunggericht della Repubblica Federale Tedesca e nello specifico alla sentenza del Secondo Senato del Tribunale Costituzionale federale sugli Überhang mandate, i mandati aggiuntivi per riproporzionalizzare la composizione del Bundestag , del 25 luglio 2012. In tale sentenza in base all’art. 38 GG, sovrapponibile al nostro art. 48 Cost. si afferma, che nessun candidato può essere favorito o sfavorito dal comportamento di elettori di circoscrizioni, in cui non sia candidato.

Detto di sfuggita con un tale principio non sarebbe ammissibile in Germania un premio di maggioranza distribuito da un algoritmo sull’intero territorio nazionale.
Il TAR Lazio Sez. 2 bis prima di decidere il ricorso ed altri di tenore analogo aveva sospeso il processo con un’ordinanza dichiarata inammissibile con la vostra sentenza n. 271/2010,in quanto essendo possibili diverse soluzioni per rimediare alla prospettata incostituzionalità soltanto il legislatore poteva intervenire La reiezione del ricorso era quindi scontata e cosi decise il TAR Lazio con sentenza n. 38644/2010, confermata dal Consiglio di Stato con la decisione della Sezione Quinta n.4876/2011 del 16 agosto 2011. Perché vi è interesse a questa storia? Presto detto perché nelle elezioni del 2014 non avevo più interesse a sostenere la tesi contro lo scivolamento dei seggi e cosa scopro? che la stessa Sezione del Consiglio di Stato, in diversa composizione, tranne uno, ma né presidente né estensore, con decisione n. 2886 del 13 maggio 2011 aveva accolto un ricorso individuale. Il ministro degli Interni anni dopo in vista delle elezioni europee, invece, di modificare il testo dell’art. 21 c.1 n.3 della legge come auspicato dalla Corte Costituzionale, chiede un parere ex art. 15 della legge n. 205/2000 alla Prima Sezione del Consiglio di Stato per sapere come comportarsi se cioè adottare un’interpretazione conforme alla sentenza n. 2886/2011 ovvero attenersi alla lettera della norma.

Con parere espresso nell’adunanza del 27 novembre 2011 il Consiglio di Stato conferma che l’interpretazione dell’abrogazione tacita va seguita ovviamente né nella richiesta di parere, né nel parere c’è traccia della contraria successiva sentenza n. 4876/2011, il cui accoglimento avrebbe comportato la decadenza di 5 parlamentari europei e non di uno solo. Questo parere è stato fatto proprio dalla Commissione Elettorale Nazionale, che conferma così la sua natura amministrativa pur essendo composta da magistrati della Cassazione. Va da sé che il Tar e il Consiglio di Stato hanno respinto i ricorsi in senso contrario e non hanno rimesso la questione alla Corte di Giustizia della UE come questione pregiudiziale, né alla Corte Costituzionale con ordinanza ex art. 23 legge n. 87 del 1953. Un effetto è stato che per essere eletto nelle circoscrizione V servono la metà dei voti che nelle altre in specie nella I Nord Ovest.
La magistratura amministrativa rispetto alle questioni di costituzionalità della legge per il Parlamento europeo non ha mostrato alcuna sensibilità a differenza della magistratura ordinaria. Non si discute qui se una soglia di accesso sia una soluzione giusta alla frammentazione della rappresentanza, ma se porla sia una questione manifestamente infondata. Difficile alla luce di ben 2 sentenze del Tribunale Costituzionale Federale tedesco che ha dichiarato verfassungswidrig incostituzionale prima una soglia di accesso del 5% e poi del 3% alla vigilia delle ultime elezioni europee con la decisione del 26 febbraio 2014.

Il riferimento alla giurisprudenza costituzionale tedesca non è un vezzo, ma ci sarà una ragione, se a quella giurisprudenza ci si è puntualmente richiamati per motivare la sentenza n. 1/20214: è un ordinamento simile al nostro che non ha costituzionalizzato il sistema elettorale ma solo il diritto di voto in modo analogo quasi identico al nostro art. 48 Cost., con la sola differenza di usare l’aggettivo “diretto” al posto di “personale”.
Se le leggi elettorali sono “costituzionalmente necessarie” esse devono essere “necessariamente costituzionali” e in ogni momento non soltanto al momento dello svolgimento o in caso di insoddisfazione per il loro concreto esito. L’azione che ha portato all’annullamento parziale della legge n. 270/2005 era stata preceduta da un’impugnazione del decreto di convocazione dei comizi elettorali con la motivazione che erano convocati con una legge elettorale incostituzionale. La giustizia amministrativa non era entrata nel merito, ma con un’interpretazione consolidata dell’art. 66 Cost. aveva dichiarato la carenza di controllo giurisdizionale sulle elezioni del Parlamento nazionale e messo in discussione l’impugnabilità dello stesso decreto presidenziale di convocazione dei comizi elettorali con le sentenze TAR Lazio n.1855/2008 del 27/02/2008 e Cons. Stato n.1053/2008 del 13/03/2008.

Ad avviso dei ricorrenti finché la giustizia amministrativa in sede di contenzioso elettorale si limita alle impugnazione delle operazioni elettorali non si potrà avere quel controllo di costituzionalità penetrante, che è necessario se vogliamo salvare i pilastri del nostro ordinamento democratico, che non passa uno dei suoi momenti migliori. In astratto la questione della soglia di accesso può essere fatta valere come impugnazione di un’operazione elettorale, stante la formulazione letterale dell’art. 21 c. 1 n. 1bis legge n. 18/1979, ma non quella prospettata nei ricorsi di Cagliari e Trieste in ordine a norme più favorevoli per alcune minoranze linguistiche e non per altre, come il diverso regime per la raccolta delle firme, perché queste operano come selezione ancora prima delle operazioni elettorali preparatorie sulla STESSA DECISIONE DI PRESENTARSI O MENO: perciò coinvolgono l’art. 49 Cost. e la libertà di voto, che ha la stessa importanza dell’eguaglianza e della personalità del voto. Nella Memoria per la PU i ricorrenti hanno evidenziato le contraddizioni di una tutala non tempestiva del diritto di voto, cioè in presenza di norme vigenti o della entrata in vigore delle norme di sospetta costituzionalità, che di fatto si è avuto la cattiva abitudine di introdurre prima e nell’approssimarsi di una SCADENZA, MA CHE NULLA VIETA SIANO ADOTTATE CON LARGO ANTICIPO.

CON IL PRINCIPIO AFFERMATO NELLA SENTEZA N. 110/2015, che quando, a differenza delle leggi per il Parlamento, sia prevista un’impugnazione giudiziale sia inammissibile un’azione di accertamento del diritto di votare secondo Costituzione e nel rispetto dei Trattati europei ha avuto l’effetto, credo, spero, non previsto, di modificare il controllo di costituzionalità estendendo il potere del giudice a quo come filtro delle questioni di costituzionalità, non dovendosi più limitare alla manifesta infondatezza e alla rilevanza ai fini del giudizio. Le decisioni che ho prodotto non si limitano al profilo dell’incidentalità ma con il semplice richiamo alla sentenza n. 110/2015 si sostituiscono alla Corte emettendo di fatto tante sentenze n. 110/2015 in sedicesimo, in materia non affrontata dalla Corte Costituzionale ovvero soltanto in modo parziale con la sentenza n. 193/2015, peraltro in seguito ad ordinanza di un TAR. La questione delle leggi elettorali regionali, per il loro riflesso sulla composizione del Senato meriterebbe un’attenzione maggiore che una decisione di inammissibilità o quantomeno che questa sia una decisione della Corte Costituzionale. Queste vicende dovrebbero indurre il legislatore, , a differenza delle sentenze n. 15 e 16 del 2008, ad essere attento ai moniti della Corte Costituzionale. L’ampia revisione costituzionale che sarà soggetta a referendum avrebbe potuto essere l’occasione per un’integrazione dell’art. 66 Cost., nel senso di un controllo giudiziale sulle decisioni delle Camere da parte della Corte Costituzionale sul modello tedesco. Ad avviso dei ricorrenti dovrebbe essere interesse di tutti non svolgere elezioni con una legge incostituzionali, piuttosto che ristabilire la legalità con impugnazioni demolitorie dopo la loro celebrazione.

Proprio l’esperienza delle contestuali impugnazioni, presso più tribunali, della legge n. 52/2015, fatta per evitare di affidarsi ad un solo Tribunale, che non colga fin dal primo grado la criticità costituzionale di alcune norme, come fu il caso per la 270/2005 dovrebbe consentire di cogliere la necessità di un accesso diretto alla Corte, ancorché con rigidi filtri di ammissibilità, quando sono in giuoco diritti fondamentali come il diritto di voto. Proprio il contatto con realtà diverse ha consentito di cogliere aspetti problematici, quale non essere bacchettati sulle mani per non essere capaci di redigere ordinanze che superino il vaglio dell’ammissibilità. La tutela differita al momento elettorale, viola il principio del giudice naturale precostituito per legge, ma di q7uesto ho argomentato nella Memoria per la p.u.. In conclusione, subordinata a quella svolta in via principale nel ricorso 31/2015 alla quale mi associo, chiedo che la Corte Costituzionale valuti di porre questione pregiudiziale alla Corte di Giustizia della UE per valutare se sia compatibile con il diritto UE il trattamento privilegiarto di alcune minoranze linguistiche rispetto ad altre.

(pronunciato dall’on. avv. Felice C. Besostri in Roma, Palazzo della Consulta, il giorno 14 giugno 2016)

*Nella foto con l’avv. Enrico Bulfone

Allegato: Memoria per la pubblica udienza del 14 giugno 2016.pdf