Il prof. Gustavo Zagrebelsly ha rilasciato, da par suo, una pregevole intervista al Fatto Quotidiano. Già il titolo riassume il contenuto ed è un forte messaggio politico “Politici, maggiordomi della finanza: hanno il terrore delle urne”. Il rafforzamento degli esecutivi a danno delle assemblee legislative, con leggi elettorali maggioritarie truccate e revisioni (riforma è una parola per bene) costituzionali preconizzate da una banca d’affari, vanno in questo senso. Pochi decisori, anzi, ancora meglio, un solo decisore sono funzionali alla finanza e alle multinazionali: meno persone da convincere richiede meno tempo e anche, a voler essere sospettosi, meno risorse da investire in attività di lobbying e se non bastano di corruttela.

Se proprio devono intervenire dei parlamenti, meglio se poco numerosi ed eletti con procedure di secondo grado: il senato di Renzi era perfetto. Insopportabile il pensiero di dover convincere un Parlamento come quello italiano di 950 membri, anche se controllati da leggi elettorali come il Porcellum. L’Italia ha raggiunto i vertici dell’asservimento alle esigenze della finanza con leggi proporzionali come il Porcellum e l’Italikum, con premi di maggioranza abnormi, minimo il 55% dei seggi: un ossimoro chiaro, ma i sistemi maggioritari all’inglese o alla francese impongono di acquisire il controllo del parlamento, conquistando la maggioranza dei collegi (50%+1) uno per uno. Il primo progresso da fare è quello di abbattere l’Italikum, come la Corte Costituzionale, per iniziativa di semplici cittadini elettori ed avvocati fedeli ai valori democrazia costituzionale, ha fatto con il Porcellum annullando il premio di maggioranza e le liste bloccate.

L’Italikum va abrogato nella sua totalità perché approvato con il ricorso al voto di fiducia alla Camera in violazione dell’art. 72 c. 4 Cost. e con forzature procedimentali equivalenti al Senato. Tuttavia ci si potrebbe accontentare con l’annullamento del “premio di maggioranza abnorme”, secondo le parole del prof. Zagreblsky , in ogni caso, che si tratti del primo turno che, di conseguenza, del ballottaggio e dei capilista bloccati. In tutti i casi vuoi con il ritorno al Consultellum, cioè una legge elettorale omogenea nei principi nelle due Camere, o con l’annullamento del premio di maggioranza previsto per la Camera si tornerebbe al proporzionale. Resterebbe solo il problema delle diverse soglie di accesso, eccessive per il Senato con la metà dei membri nel primo caso e nel secondo anche che alla Camera possono concorrere solo liste e al Senato liste o coalizioni di liste. Se le cose stanno così non capisco più il professore nel definire il ritorno al proporzionale come “una legge elettorale ad hoc” per impedire la vittoria del M5S. Sembra addirittura, sposando la tesi sull’inammissibilità dei ricorsi antitalikum dell’Avvocatura dello Stato, che non si possa “buttare via una legge mai usata, roba da perdere la faccia”, invocando addirittura la Commissione di Venezia e, senza citarlo il suo Codice di Buona Condotta Elettorale del 2002, nonché una Sentenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo del 2012 per cui “non si cambia legge elettorale nell’imminenza delle elezioni”.

A mio avviso prevale l’altro principio, che non si vota con una legge elettorale incostituzionale: se le leggi elettorali sono “costituzionalmente necessarie”, come afferma la giurisprudenza della Consulta esse devono essere, secondo i ricorrenti, che compariranno davanti alla Corte Costituzionale il prossimo 24 gennaio, necessariamente costituzionali. Il ritorno al proporzionale sarebbe l’ultimo tentativo contro il M5S: “ E ora non sanno più come neutralizzarli se non col proporzionale, che ci riporterà alle larghe intese PD-Forza Italia”. Trasecoliamo.

Il M5S si è espresso contro il voto subito anche prima della decisione della Corte Costituzionale, come volevano Renzi, La Lega Nord e Fratelli d’Italia e per loro si deve votare dopo il vaglio di costituzionalità della legge elettorale approvata nel 2015. Per non lasciare dubbi hanno rivendicato di avere sottoscritto, come gruppo di parlamentari più numerosi, i ricorsi promossi dagli avvocati antitalikum. Se si deve evitare ad ogni costo le larghe intese bisognava lasciar stare l’Italikum e votare SI’ al referendum costituzionale, e Zagrebelsky è stato, invece, uno dei campioni del NO.
Il proporzionale con le grandi intese non c’entra nulla, PD e Forza Italia sono le formazioni più sensibili alle sirene della finanza internazionale. L’altro fattore è l’inesistenza di una grande formazione di sinistra di governo, cosa ben diversa da una sinistra al governo: si può essere sinistra di governo anche stando all’opposizione con un programma credibile di alternativa alle politiche economiche e sociali di questa maggioranza, sul quale far convergere in autonomia il M5S.

Basterebbe il reddito di cittadinanza e l’attuazione della Costituzione a creare i presupposti di una base di intesa. Mentre, a mio avviso non è necessario seguire il M5S prevedendo l’automatica decadenza di un parlamentare se cambia lo schieramento nel quale è stato eletto. Le ragioni sono importanti. Se confrontiamo il programma della coalizione Italia Bene Comune nel 2013, che le ha fatto conquistare la maggioranza assoluta nella Camera dei Deputati e quelli dei governi a guida PD da Letta a Gentiloni via Renzi, chi ha tradito gli elettori sono i deputati, che li hanno sostenuti. Se vogliamo un controllo sui cambi di casacca ci sono solo due strade:

a) con collegi uninominali con possibilità di revoca,

b) il voto di preferenza e nei regolamenti parlamentari non premiando, come avviene ora, chi forma gruppi parlamentari senza presentarsi alle elezioni. Il divieto di mandato imperativo è l’unico modo per garantire, che i parlamentari agiscano nell’interesse della Nazione (art. 67 Cost.) e che si comportino con disciplina e onore (art. 54 Cost.) e non di interessi privati o di partiti, non regolamentati da una legge in attuazione dell’art. 49 Cost.

Felice C. Besostri

Coordinatore del gruppo avvocati anti-italikum
Presidente del Gruppo di Volpedo

 

Pubblicato su Il Fatto Quotidiano del 15 gennaio 2017

Il fatto quotidiano 15 gennaio 2017